XVI. - La missione

635 89 204
                                    

- Beca! Beatrice, aspettami! –

L'allenamento era finalmente finito e mi stavo trascinando senza fiato verso lo spogliatoio.

Ero stanchissima, ma soprattutto amareggiata. Durante l'allenamento di atletica ero arrivata ultima in tutte le prove. Gianluca, il personal trainer, mi aveva detto di non pensarci, che era normale. Ma io ne ero infastidita e non riuscivo a pensare ad altro.

- Dove stai andando? –

- Nello spogliatoio – risposi, come se fosse ovvio.

- No, Beca. Non qui! – disse allarmata. Mi afferrò per un braccio e mi trascinò per il sub-cardo, che a quell'ora era nel pieno dell'ora di punta. Gruppi di ragazzi dalle tute colorate si spostavano negli spogliatoi, altri uscivano per raggiungere la sala comune. Camminammo a fatica per qualche metro, poi svoltammo in un corridoio. La mia amica si avvicinò ad una delle due porte presenti e passò lo smart sul sensore.

- Questi sono i nostri spogliatoi. Dovevo mostrarteli, ma Jorge mi ha tenuto in campo più del previsto e quando sono uscita tu eri già scomparsa! In ogni caso, ricordo ancora i brividi quando ho visto questo posto per la prima volta, perciò preparati! –

Dopo tutte quelle giornate in cui qualsiasi cosa era una novità, non ero sicura potessi stupirmi ancora. Dovetti ricredermi per l'ennesima volta.

Davanti a noi si spalancò una stanza grande e luminosa. Sul pavimento in legno scuro, al centro, c'erano alcuni divani bianchi rivolti verso il camino acceso; a destra la luce entrava da un'ampia vetrata. Uno screen attaccato al muro trasmetteva il canale della Fenice, mentre una musica si diffondeva per la stanza. Al centro della parete di fronte a noi si apriva un largo corridoio ben illuminato.

- Vieni con me – ordinò la mia amica prima che potessi focalizzare i dettagli di quel posto. La seguii lungo il corridoio. C'erano molte porte ai nostri lati, tutte con una targa vicina. Quando arrivammo davanti all'ultima ci fermammo. C'era il mio nome inciso sulla targa.

La mia amica mi invitò ad usare il mio smart per aprirla.

Quando entrai non potevo credere ai miei occhi.

Era una stanza, una stanza immensa.

- Io... non capisco –

- Benvenuta nella tua stanza! – disse lei battendo le mani euforica.

Le pareti erano bianche, così come gli arredi minimali. La adoravo.

- Un letto? A cosa dovrebbe servirmi un letto? –

- Hai presente quelle giornate in cui i match vengono ripetutamente interrotti per pioggia e devi essere sempre pronta ad entrare in campo appena il giudice arbitro te lo chiede? –

- Certo. Credo di essermi fatta certe dormite o partite a carte nella Casa in attesa di entrare in campo! – risposi con disinvoltura. Era un classico, soprattutto durante il Torneo di Natale, in cui le piogge era all'ordine del giorno.

- Beh, adesso non ne avrai più il bisogno. Amerai questo letto, io ne ho uno identico nel loft! – rispose, camminando per la stanza. Dopodiché aprì la prima porta davanti a noi.

- E questo è... Oh, ecco il tuo guardaroba! –

Non era un guardaroba, era una stanza. Le mie cose erano giù sistemate al suo interno. Le tute nere della Fenice erano allineate sulla sinistra, così come i completini. Più avanti i miei abiti dell'exhibition erano posizionati insieme ad altri mai visti.

- Qualcuno ha firmato con la Nike a quanto pare... – disse lei, notando le mensole colme di scarpe da tennis e da corsa.

- Questo posto è grande quanto la mia stanza – dissi, guardandomi intorno. Lei scoppiò a ridere.

La Fenice 1. Tennis. Misteri. Bugie.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora