XIX. - Tutto quello che non sai

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Quando arrivammo ai campi Riccardo stava già palleggiando con un ragazzo. Era l'hitting partner di Hiro Okada, il migliore dei professionisti della Fenice e numero nove del mondo. Era alla Fenice per preparare la stagione australiana e sarebbe rimasto lì fino a Gennaio. Giulia mi aveva detto che Maurizio organizzava degli incontri con i professionisti o i loro compagni di allenamento quando tornavano a Verdiana.

Ci fermammo ai bordi del campo, il mio cuore era in tumulto. Il fisico di Riccardo non era assolutamente come quello dei ragazzi della mia età. Era piuttosto alto e anche se fuori dal campo sembrava avesse una corporatura esile, quando cominciava a giocare si trasformava: la braccia e le gambe scolpite dagli allenamenti si gonfiavano, la maglietta bianca si alzava mostrando gli addominali che sporgevano lievemente. I suoi movimenti erano dotati di una grazia fuori dal comune, e i passi per arrivare sulla palla sempre misurati.

Riccardo era nato per giocare a tennis, non c'era dubbio. Volsi lo sguardo alla sua espressione concentrata, gli occhi attenti all'altro lato del campo, le labbra leggermente socchiuse mentre decideva dove avrebbe spinto l'avversario con la sua risposta. Rimasi incantata a guardare la preparazione del diritto incrociato, il movimento del polso mentre la palla colpiva la racchetta, la velocità con cui le gambe si riposizionavano al centro del campo. I miei occhi erano calamitati, senza riuscire ad opporre resistenza. Se mi avessero chiesto se mi piaceva più lui o il suo modo di giocare, non sarei riuscita a rispondere.

La palla dell'hitting partner uscì di poco dalla riga di fondo, sancendo la fine dell'allenamento. Riccardo si avvicinò alla rete per salutarlo, poi andò a raccogliere le palline a fondo campo, distogliendo per la prima volta lo sguardo dal campo. I nostri occhi si incontrarono, e per quanto potesse essere banale sentii le vertigini. Non mi staccò gli occhi di dosso, neanche per un secondo, e io non riuscivo a fare diversamente.

Ma c'era qualcosa di strano, di diverso, in lui. Qualcosa di cupo. Qualcosa che avevo sempre notato, ma che adesso acquisiva un'altra profondità. Come se volesse dirmi qualcosa, ma in una lingua incomprensibile.

- Guarda chi è in campo... Il principino con la sua guardia del corpo – disse Orlando, sopraggiungendo alle nostre spalle. Intercettai il suo sguardo. Non stava guardando Riccardo, ma suo padre, dall'altra parte del campo rispetto a noi. Me ne ero accorta il giorno prima, e ricordai di averlo visto anche durante il riscaldamento dell'exhibition di Ottobre.

- E' così inquietante... Non si stacca da lui neanche un secondo – disse schifato, poi si fermò di colpo. Maurizio era davanti a noi.

- Vi sembra questo il modo di allenarvi. Siamo in una giungla, per caso. – domandò con un tono talmente freddo da farmi sentire i brividi.

- Andate a correre. –

Non ce lo facemmo ripetere due volte. Gianluca, il preparatore atletico, ci stava aspettando. Era un quarantenne arzillo, dalla folta e riccia capigliatura, sempre sorridente.

Giulia mi trascinò in testa al gruppo per il riscaldamento. La mia amica parlava con tono concitato rivolta a Claudia. Mi accostai a lei e in silenzio cominciai ad ascoltare. Il giro di riscaldamento percorreva quasi tutta l'accademia, a quell'ora nel pieno del movimento. Le hills erano affollatissime: nel tempo libero erano vuote, ma rimanevano il punto preferito dei preparatori atletici per i loro esercizi.

Molti si erano girati a guardarci. Con tutta quell'attenzione su di me riuscivo a malapena a seguire il filo del discorso. E la sensazione di avere gli occhi degli altri che mi puntavano alle spalle come mirini era tutt'altro che piacevole.

– ...Ti ripeto, non si è neanche disturbata a salutarmi –

- L'hai rivista? – chiese Claudia.

La Fenice 1. Tennis. Misteri. Bugie.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora