6.

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LILY

Quaranta minuti di coda alla cassa.

Quaranta minuti per pagare delle uova e due cartoni di latte.
E tutto ciò soltanto perché l'adorabile anziana davanti a me aveva comprato un quantitativo di roba da mangiare e da bere esorbitante per la famosa, imperdibile e stravagante festa del bingo.

Si, del bingo.

Dopo tutto il tempo trascorso ad aspettare che pagasse, ho scoperto non soltanto il tema e il motivo della festa, ma anche il menù e chi avrebbe partecipato.
Per questo motivo, una volta uscita da quel posto, corro più veloce che posso alla macchina, così da mettere quanto più spazio possibile tra me e quella vecchietta assatanata.
Sembrava la vecchina di Biancaneve, giusto per rendere l'idea. E io non ho mai sopportato quel cartone.

Mai.

Una volta aperta la macchina, entro e appoggio sacchetto e borsa sul sedile di fianco a me. Infilo le chiavi e faccio per accendere, quando mi accorgo di un particolare fondamentale. Non ho ancora attaccato il mio cellulare al cavo AUX, quindi non posso partire.
Se voglio fare le cose in grande stile, la musica a palla è un particolare da non dimenticare. Afferro la mia borsa e cerco il mio cellulare, poi lo prendo tra le mani e faccio per sbloccarlo, quando realizzo che è scarico.

Completamente scarico.

Morto.

Defunto.

Fanculo.

Sbuffando a più non posso, decido di optare per la vecchia e tradizionale radio, sperando che durante il tragitto verso casa Grier, rilascino qualcosa di decente.
Dopo aver fatto manovra ed essere uscita dal parcheggio, mi avvio sulla assai familiare strada, mentre le note di Give me your love di Sigala e John Newman iniziano a risuonare nell'abitacolo, facendomi istintivamente muovere a ritmo.
Alzo al massimo e tiro giù il finestrino, iniziando poi a cantare come una pazza e ridendo senza motivo.
Arrivo in queste condizioni al semaforo ormai rosso, con le guance arrossate e i capelli scompigliati a causa del vento, quando accanto a me si ferma una coppia di anziani su una spider rossa fiammante, che mi fissa.

Io ricambio lo sguardo, non smettendo neanche per un attimo di cantare.

E non mi importa un accidente se sto facendo una figuraccia.

Mi va di cantare, quindi lo faccio.

Se c'è una cosa di cui ormai sono convinta, e' che la vita è troppo breve per farsi paranoie. Ormai ho preso coscienza del fatto che fare figuracce e' nel mio DNA, per cui ho smesso di preoccuparmene e ho iniziato a divertirmi.

Non appena mi accorgo con la coda dell'occhio del verde appena scattato, alzo il piede dalla frizione e do gas, neanche fossi un pilota di formula uno. Percorro gli ultimi metri che mi separano da casa di Nash, scoprendo poi con estrema gioia che si è liberato un posto proprio davanti al suo marciapiede, con il risultato che eseguo uno dei miei migliori parcheggi da quando ho preso la patente.

Sono talmente fiera di me che dopo essere scesa, mi fermo qualche secondo ad ammirare questa perfezione.
Piccole gioie che non vanno sottovalutate.
Se penso alle volte in cui Isaac o Brooklyn mi hanno sfottuto, sostenendo che avevano comprato un set di candele da accendere ogni volta che dovevo parcheggiare per ogni evenienza, non posso evitare di sorridere soddisfatta.

Suono il campanello e dopo pochi secondi arriva Shawn ad aprirmi, facendomi poi subito entrare dentro casa. Sono talmente euforica, tra l'incontro strano al supermercato, la mia sgommata davanti alla
Coppietta in spider e il mio parcheggio, che inizio subito a parlare a macchinetta.

<< Shawn, non puoi capire che scene ti sei perso. Al supermercato ho incontrato una che sembrava uscita da un cartone animato e credimi quando ti dico che Taylor l'avrebbe adorata. Per non parlare del super
parcheggio che ho fatto... E ho comprato pure la...>>.

Mi blocco, non appena vedo lui guardarmi strano e mia sorella impallidire non appena incrocia il mio sguardo.

Sono tutti in silenzio, completamente immobili e con l'aria colpevole.

<< Ho provato a chiamarti, ma avevi sempre il telefono staccato...>>.

Decido di soffocare il mio lato ansioso e di rimanere calma e rilassata.
Perché dopotutto non c'è niente che non va. Sicuramente Taylor ne avrà combinata una delle sue, oppure avranno già finito la mia torta preferita.
Niente di eccessivamente grave.

<< Si è scaricato perché ho ascoltato troppa musica.>>

Vedo mia sorella deglutire, per poi avvicinarsi leggermente e tentare di abbracciarmi.

<< Sis, giuro che non ne sapevo niente. Nessuno di noi lo sapeva.>>

Giro la testa, alternando lo sguardo da lei a Shawn, fino ad arrivare a Matt.
Hanno tutti la stessa espressione, a metà tra il mortificato e il preoccupato.

Ma che...?

Ed è in quel momento che capisco.

So con assoluta certezza, senza neanche bisogno di voltarmi, che lui è qui.
Ci sono dei momenti nella vita in cui il tuo istinto ti avverte, ancora prima che quella cosa accada realmente, momenti in cui capisci che qualcosa che tu non vuoi, sta per succedere.
Mi volto lentamente, cercando di rimanere calma e ferma, mentre dentro di me si sta scatenando l'inferno.

E quando finalmente mi volto, trovo di fronte a me il peggiore dei miei incubi, in formato gigante, ma sopratutto reale.

Cameron Alexander Dallas al di là del bancone della cucina di Nash, che mi sta fissando.
In tutta la bellezza, in tutto il suo splendore. Nel suo tutto.
Dopo mesi che non lo vedevo, dopo mesi passati a piangere per lui, dopo mesi passati ad odiarlo, senza mai smettere di amarlo, neanche per un secondo, neanche per un istante. Nonostante tutto ciò che mi aveva fatto passare.
E nel momento in cui il mio cervello registra l'immagine che i miei occhi stanno guardando, nel momento in cui viene trasferita e il mio cuore la realizza, prendendone consapevolezza, lo sento.

Lo percepisco chiaro e forte, diretto e anche parecchio brutale.
Un calcio all'altezza dello stomaco, un solo e ben assestato calcio che mi fa capire che non sto sognando.
Non sto sognando e non mi trovo in uno dei miei molteplici sogni ad occhi aperti, sogni che ammetto di aver fatto più volte, immaginandomi ogni volta un possibile incontro con lui, dove ogni volta io reagivo in modo diverso e gli dicevo tutto ciò che pensavo.

No.

Questa è la realtà e come realtà che si rispetti, fa schifo.
Tutto intorno a me, scompare.
So che ci sono gli altri, ne sono perfettamente consapevole, grazie anche ai loro respiri che percepisco assai chiaramente.
Ma per quanto io ne sia conscia, ora non conta. Ciò che conta è che lui è qui, di nuovo.
Non so perché, non so quanto resterà, non so che intenzioni abbia.
So solo che lui è in piedi di fronte a me, anzi, per essere più precisi, a pochi passi da me, se non si conta il gigantesco piano da lavoro in mezzo alla cucina, che di fatto ci separa.

Non so come mi sento.
Non so cosa provo.
Non so più niente.
L'unica certezza che ho, l'unica solida e inaffondabile certezza è che sono bloccata, totalmente paralizzata.
Come se mi trovassi un sogno da cui non riesco a svegliarmi.
Come se mi trovassi in una bolla di sapone, bella ma assai fragile, pronta a scoppiare in qualsiasi momento.
Con la piccola differenza che io non voglio farla scoppiare.
Anche se so che succederà e purtroppo a breve. Non voglio che scoppi, perché nel momento in cui accadrà, nel momento in cui lui aprirà bocca e dirà qualcosa, questa sottospecie di incubo smetterà di essere tale, per diventare semplicemente realtà.
E io non credo proprio di essere pronta.

Ma chiaramente qualcuno la pensa diversamente, perché nel momento in cui emetto un sospiro particolarmente rumoroso, lui mi guarda dritto negli occhi e apre bocca.

<< Ciao Bionda.>>

E addio bolla di sapone.

All I want is you ( SEQUEL DI I HATE YOU, CAMERON DALLAS) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora