Capitolo 47

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Entrò con passo incerto nella nuova bettola frequentata da suo padre. Intorno a lui ogni tipo di slot-machine, e persone con occhi sgranati che sperperano la paga di intere giornate di lavoro: incuranti di lasciare moglie e figli senza cena, o senza poter pagare affitto o bollette.
Lo riconosci il giocatore incallito, ha lo sguardo fisso avanti a se, uno sguardo vuoto come le sue tasche.
Con una mano infila le monete e poi preme i bottoni, nell'altra mano tiene un bicchiere di alcol della peggior qualità. In bocca sempre la sigaretta accesa. Sul volto tirato si alternano sempre le stesse espressione ora esaltazione per la vittoria ora frustrazione per la perdita.
Ma questa è solo la facciata esterna del inferno del vizio del gioco. Esternamente ci sono i disperati che si giocano i pochi spiccioli. Arrivando nel profondo della piaga trovi quelli che si giocano grosse somme di soldi, la casa e alcune volte anche la moglie. Questi li trovi nelle stanze più interne, seduti a tavolino.
Sono tutti ben vestiti con barba e capelli curati.
Sono quelli che di giorno stanno seduti dietro le scrivanie, dietro i vetri delle banche. Giocano a poker, e tra una mano e l'altra fumano tabacco di ottima qualità e bevono buon whisky.
Oltrepassò quella nuvola di fumo e scarti della società e si diresse nella stanza di quelli così detti perbene.
C'erano quattro tavoli, intorno a ognuno sei persone sedute. Delle ragazze mezze nude intrattenevano i giocatori, ora con massaggi al collo, ora riempendo i bicchieri che si svuotavano. Erano sempre pronte a festeggiare con i vincitori o a consolare i perdenti. In ogni caso ci guadagnavano sempre qualcosa. Intravide la persona che cercava. Era seduto a un tavolo più appartato, una di quelle sgualdrine gli stava seduta addosso e lo accarezzava. L'uomo la palpava e biascicava parole incomprensibili.
" Eccolo là quel lurido bastardo..." disse a se stesso, con pochi passi si avvicinò.
La ragazza appena lo vide arrivare balzò in piedi, certo Stefano era un bel uomo, e ci sapeva fare quando non era troppo ubriaco, ma quel ragazzo biondo e con occhi verdi era sicuramente molto più attraente. Stefano appena vide suo figlio si alzò anche lui e rivolgendosi ai presenti del suo tavolo disse: << Signori vi presento mio figlio! Il chirurgo,  il ragazzo perfetto che tutti vorrebbero avere come figlio...vieni unisciti a noi!>>
Disse Stefano, il papà di Ludovico rimettendosi a sedere, aveva la testa che gli girava. Ludovico fece un cenno di cortesia ai presenti. Guardò suo padre con disprezzo. Quel uomo aveva rovinato la vita di sua madre e la sua. Da piccolo era il suo eroe, ancora non sapeva dei suoi modi di fare da libertino e sciupone. Crescendo aveva capito la vera natura di quel uomo. Cerco in tutti i modi di non essere uguale a lui. Voleva essere perfetto, e seguendo l'esempio di suo zio Edoardo che lo aveva trattato come un figlio guidando i suoi passi, era diventato un chirurgo.
Era orgoglioso di se stesso e non solo, voleva essere il figlio perfetto anche per sua madre, che soffriva a causa di quel uomo. Ludovico pensava che non si meritava un padre così, le cose sarebbero potute andare diversamente se sua mamma si fosse sposata con Arturo, all'epoca lui la corteggiava. Invece sua mamma si invaghì di suo padre. Stefano, il giovane rampollo di una ricca famiglia di Napoli, mise gli occhi su quella fanciulla e sulla suo titolo nobiliare. Stefano, allettato da ciò, inizio una corte ferrata finché lei non accetto di sposarlo.
Per questo e per altri motivi lui non voleva rinunciare a sposarsi con Rossella. Secondo lui, se il destino beffardo aveva rimescolato le carte, lui doveva rimettere le cose al loro posto, e l'unione con Rossella era la giusta ricompensa per tanta sofferenza. Stava cercando in tutti i modi di recuperare il suo rapporto, ma a questo avrebbe pensato poi! Al momento la sua era sconfitta apparente, sapeva che avrebbe vinto la partita.... stava barando, aveva già le carte per vincere la partita.
Suo padre non era neanche un uomo cattivo, il vizio del gioco lo aveva trasformato in un uomo senza più morale e dignità.
La moglie lo aveva lasciato, aveva fatto vari tentativi per cercare di farlo allontanare da quel male, aveva perdonato più volte anche i suoi tradimenti. Al culmine della tolleranza umana lo aveva lasciato al suo destino. È così lui affranto si stava lasciando andare sempre più ormai da tempo aveva toccato il fondo. <<ANDIAMO VIA!>> lo afferrò per un braccio Ludovico, ormai esasperato da quella situazione.
<< No! Io non ho ancora finito...>> replicò il padre.
<< Ci deve un bel po' di soldi.>> A parlare era uno dei presenti al tavolo da gioco.
Come tutte le sere la fortuna non era dalla parte di Stefano. Aveva giocato e perso più mani di poker.
<<Quanto vi deve?>> chiese Ludovico.
<< Circa tremila euro.>>
<< Ma siete impazziti! Non potete giocare così pesante!>> esclamò Ludovico.
<< Figliolo vedrai che adesso faccio un'altra mano di carte e mi ripago i debiti. Prestami cinquecento euro..>> intervenne il padre, fiducioso di potersi rifare. La pazienza di Ludovico andò a farsi benedire si fiondò su suo padre, lo odiava << Tu sei malato...- lo prese per il bavero della camicia- i tuoi debiti li pago io, ma tu porta il culo fuori da qui subito!>>

Nelle mani di un pittore ( #Wattys2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora