Ottavo giorno ✔

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Soltanto al mattino scoprii che l'hotel si chiamava "The mirror of the soul"

La neve era cessata. I fiocchi non cadevano più e il cielo era diventato terso.

Mi svegliai in un letto.
Dopo tutte le cose che avevo passato e visto in questa città, mi convinsi che questa era l'unica cosa veramente incomparabile che avessi mai provato in questo centro abitato.

La nebbia filtrava dalla piccola ma luminosa finestra, con le tende violacee che lasciavano trasparire una fievole ombra.

La stanza era molto shabby chic. Il letto matrimoniale, anche se ero sola, era rialzato su un gradino al centro della stanza. Il lenzuolo era di un bianco puro. Mentre il lenzuolo superiore, la coperta e i tre grossi cuscini di piume erano turchesi con sfumature lilla. Lo specchio accanto al letto era bianco, con una cornice molto elaborata.

Quando mi alzai dal letto per guardarmi sembrava riflettere il fulgore della mia anima, di un colore oro opaco.

Il comodino era di legno chiaro e sulla sommità c'era una lampada. Ai piedi del letto un baule chiuso, color panna occupava lo spazio vuoto tra il letto e la porta. Sulla quale era appesa una grossa chiave di ferro.

Andai in bagno, mi lavai i capelli. Mi feci una doccia. Indossai abiti nuovi. Mi asciugai i capelli. E scesi le scale, finché non arrivai alla sala da pranzo.

Il tavolino, affacciato ad una finestra-balcone faceva intravedere tante piccole case colorate, con le finestre aperte. I panni stesi su cordicelle fini e tanti papaveri e gelsomini sui davanzali delle finestre che si inerpicavano sui muri.

Sul tavolo c'era una quantità notevole di cibo. Ma io optai per una semplice tazza di the nero, poiché odiavo il caffè. E una fetta biscottata cosparsa di marmellata e burro.

Quando ebbi finito, uscii dall'edificio. Avviandomi su una strada sconnessa. Le mattonelle rosse, ma ormai consunte dal calore del sole che avevano ricevuto per anni, erano quadrate e crepate. L'aria era fresca, ma leggermente frizzantina: il sole giocava a nascondino con una nuvola trasparente ed io continuavo ad arrancare, esausta. Anche se avevo dormito tutta la notte, non avevo ancora recuperato le ore che avevo perso nella settimana precedente.

Finalmente arrivai. Un bosco s'inerpicava davanti a me. Querce folte e alte di un verde smeraldo ipnotico coperte da un sottilissimo velo bianco, che pareva zucchero a velo, circondavano un orologio chiamato "l'orologio del Pincio"

Si presentava come una piccola torretta al centro di una fontana con un guscio in ghisa, che riprendeva le sembianze dei tronchi d'albero che lo circondavano. Al centro appena sotto il quadrante si collocava un cofanetto trasparente dal quale si scorgeva il suo meccanismo idraulico.

L'orologio rifletteva un'ombra vitrea sulla superficie verdastra della fontana. Pezzi di muffa galleggiavano sul velo superiore e fiori di licheni caduti dagli alberi più adiacenti, fluttuavano come piccole lucciole nel cielo.

Rimasi lì a lungo, a contemplare l'acqua putrida per ripensare a tutto quello che stavo facendo.

Iniziai a ricordare l'ultimo giorno in India, prima di prendere quell'aereo, che mi portò dove mi trovavo ora.

Entrai in camera mia, mi guardai intorno, e mi sdraiai sul piumone arcobaleno.
Volevo semplicemente non pensare più a niente. Chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dal vento, lasciai che la mia mente si aprii in un mondo infinito. Buio e vuoto. Un mondo, interamente immaginato, dove i pezzi si incastravano perfettamente come fossero un puzzle e comparivano uno ad uno, ad agio.
Il ticchettio persistente delle lancette di un orologio malconcio, mi riportarono alla realtà e solo allora capii quanto volevo essere libera.
A quel punto, lasciai tutto e partii...
Partii per un mare infinito, pieno di conseguenze da affrontare. Di sbagli da non rifare e di verità mai dette.
In quel momento capii la mia missione in questo viaggio.

E ricordarmi tutto questo adesso, mi dava la forza di andare avanti.
Adesso che tutto quello che fino a ora avevo immaginato era diventato realtà.

Non mi dimenticherò mai le parole di Daniel:

《Una persona è sempre bella, ma quando piange lo è di più.》

Aveva sempre una parola pronta per sollevarmi dal buco nero in cui cadevo.

Ripensai a tutte le giornate di sole che avevo vissuto nel mio piccolo paese.

Se guardavo dritto il cielo mi sembrava di sentirlo ridere. Una risata vera, come quella di un bambino. Che non aveva niente da nascondere e niente a cui pensare.

Una di quelle giornate dove soffiava un venticello caldo che sembrava quasi volesse farmi il solletico. Quel vento che mi piaceva sentire addosso. Che non mi dava fastidio. Che sembrava farmi volare, anche quando sapevo di avere i piedi saldi a terra, come due ancore in fondo al mare.

In quei momenti mi veniva voglia ti tuffarmi in quell'aria calda. Lasciandomi trasportare come un soffione appena raccolto e poi abbandonato da un bambino. Perché in fondo io amavo il sole negli occhi.

E poi, capitò anche a me.

Era una sera scura, grigia.

I lampioni erano già tutti spenti e non c'era nemmeno una stella.

Quando vidi quell'immagine, che in quel momento somigliava tanto alla mia vita, cedetti.

Crollai.

Mi accasciai al suolo. Sul lungo tappeto rosa di kashmire. Lasciandomi andare al freddo che avevo dentro. Sprofondando nell'oblio.

Una volta credevo di aver fatto questo per debolezza. Ora invece ero sempre più convinta di averlo fatto per stanchezza... Stanca di lottare. Di essere l'ancora di tutti. Quella sempre buona e felice.

Così crollai e stetti a terra fino al giorno dopo.

Inerme.

Il mondo era un totale buco nero e io avevo paura.

Credevo di essere forte. Di resistere a tutto. Di non avere paura di niente come quando si è piccoli.

Invece mi accorsi di essere cresciuta e di essere anch'io come tutti gli altri.

Questo non mi dispiaceva. Non volevo essere totalmente diversa.

Mi piaceva la mia vita in fondo, volevo solo che Daniel fosse qua. A stringermi la mano e a dirmi:

《Dentro a questo buco nero ci cadremo insieme, non ti lascerò da sola. Mai.》

Ma poi riaprii gli occhi e ritornai alla realtà.

Fatta solo di cose materiali. Senza sogni, arcobaleni e unicorni.

Solo io, ancora sdraiata sul soffice prato verde chiaro vicino all'orologio del Pincio. Sola e spaventata.

Mi alzai. Mi pulii i vestiti dalle foglie secche e riavviai i capelli.

Dopodiché mi inoltrai nel bosco, per ritornare all'hotel.

IT'S OKAY, I'M DIFFERENT (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora