Doveva sapere quanto la odiavo

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DANIEL'S POV'

Presi il primo treno che trovai. Mi sedetti su un sedile blu opaco, e congelato dalla nebbia che circondava il mondo. Dopodiché iniziai a pensare a Neve: era da poco passato il suo compleanno, io non le ero vicino, e lei chissà cosa stava facendo, a dirla tutta non sapevo nemmeno se sarei riuscito a vederla.

In questi mesi mi ero rinchiuso nel dolore che mi aveva lasciato, e l'avevo amato, quasi quanto avevo amato lei. Avevo sentito la sua presenza, il suo profumo, e avevo dormito con il dolore ogni notte, ma sembrava così reale che credevo di star dormendo con la mia Neve. Avevo rinchiuso il mio dolore, persino nella sua voce, nei nostri segreti, e nella nostra fervida immaginazione che ci portava in tutti quei luoghi, che volevamo visitare insieme: il mondo. L'avevo rinchiusa nel mio dolore, e la verità era, che non riuscivo più ad uscirne, probabilmente se avessi avuto la possibilità di tornare indietro l'avrei ripresa, cioè logicamente l'avrei ripresa, ma non l'avrei più fatta uscire da quel dolore, perché quel dolore riusciva ad amarmi proprio come lei era riuscita ad amare me.

Mio nonno, diceva sempre:

"Beta, ricordati sempre, che noi siamo fatti delle cose che perdiamo." aveva questa strana abitudine di chiamarmi 'beta' che in India voleva dire 'figliuolo'

Ma non davo mai troppo peso a quello che diceva, ormai anziano credevo, che blaterasse parole alla rinfusa, giusto per cercare di instaurare ancora un discorso. Ma ora mi accorsi, che non era affatto vero.

Io ero fatto di lei, che odiavo e amavo, amavo e odiavo, perché mi faceva male, ma anche bene.

L'amavo con tutto il cuore, ma anche con il fegato, i polmoni, le ossa, la pelle e l'anima.

La odiavo perché la volevo così tanto, da ingozzarmi delle sue parole, per poi vomitarle quando colpiva più forte.

Mia nonna invece diceva sempre:

"Siamo fatti delle cose che amiamo."

A lei, al contrario, avevo sempre creduto. Riusciva sempre a farmi comprendere le cose, semplificandole al massimo: anche gli argomenti di chimica, con lei erano facili.
Il problema era, che non sempre aveva ragione.

Erano strani i miei nonni, due mondi differenti, che si erano trovati in un pomeriggio d'estate, in biblioteca. I libri, li avvicinarono, fino a farli innamorare.

Io appartenevo a Neve, anche se lei non era più vicino a me, e se avessi dovuto amarla anche domani, doveva sapere. Doveva sapere quanto la odiavo, doveva saperlo e gliel'avrei urlato, non appena l'avessi avuta davanti a me.

Nessuno era mai entrato nei miei occhi, ma lei sì, lei era entrata, e mi aveva distrutto tutto. Amandomi.

Lei era così vera, non viveva d'illusioni, ma solo di cose che le toccavano il cuore.

Il suo essere era unico: il suo modo di arricciare il naso quando sorrideva, e quello di abbassare gli occhi quando era triste. Il suo modo di urlare quando era arrabbiata, perché lo faceva sempre per proteggersi, quasi a voler ferire, ma lei era buona, così buona che finiva per ferirsi da sola. Il suo modo di concentrarsi, occhi fissi su quello che le interessava, giocando un po' con le ciocche dei suoi boccoli perfetti, per poi partire, come se prima avesse preso una rincorsa assurda, e fosse pronta a spaccare il mondo a metà. Il suo modo di essere riservata, il suo voler essere corteggiata con decisione, come in quei libri, con cui passava il suo tempo migliore, aspettando qualcuno che volesse quel tempo, che volesse quel suo modo di essere. Odiavo il fatto, che piacesse a tutti, ma amavo il fatto, che a lei non piacesse nessuno.

Io rimanevo sempre lì a fissarla, perché lei era reale, fatta di cose stupende.

Il treno si fermò, con un colpo brusco, quasi volesse riportarmi alla realtà. Guardai fuori dal finestrino: i palazzi colorati, i negozi chiusi, l'aria calda, le nuvole rosa, e i passanti sorridenti.

"Sono arrivato. Lei è qui!" annunciai, mentre il treno ripartiva con uno sbuffo di fumo sul tettuccio, e quello stridio dannatamente acuto, e io cominciai a camminare sul muretto della stazione.

Vidi in lontananza un pullman blu, che stava rallentando alla fermata cinque, il quale avrebbe dovuto portarmi da Neve, presi a correre. Non potevo perdere l'occasione di rincontrarla, non potevo perdere. Ma mentre mi avvicinavo, qualcosa di stranamente familiare, iniziò ad attirarmi sempre più vicino all'autista.

SPAZIO AUTRICE:

Ehi My Little Readers, come state?

Ce la faranno Neve e Daniel a incontrarsi, chiarendosi? O, secondo voi, qualcosa li fermerà?

Non voglio dilungarmi troppo, anche perché alla fine, finisco col dirvi sempre le solite cose: mi mancate troppo, mi mancate voi, mi mancano i vostri commenti, e le vostre parole, ma capisco che la scuola toglie moltissimo tempo, io per prima posso leggere solo nel tragitto pullman-scuola (e 1 ora non è mai abbastanza), mi sembra sempre di star trascurando qualcosa o qualcuno, e mi dispiace così tanto. Mi sento, quasi in colpa.

Quindi perdonatemi, e cercate di non abbandonarmi proprio adesso, perché è in questo momento che ho più bisogno di voi.

Vi adoro troppo💖

IT'S OKAY, I'M DIFFERENT (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora