Eii My Little Readers, siamo arrivati a 3 mila voti, quindi innanzitutto grazie mille, poi sono riuscita ad aggiornare un po' prima per farvi una specie di "regalino"
Spero vi piaccia anche questo capitolo!
Buona lettura❤
Vi amo. __________________________________________________
NEVE'S POV'
Ero ferma. Urlavo. Seduta inerme sulla sedia della mia camera.
Dopo che ero scappata per andare ad Amsterdam o almeno così avevo deciso nel tragitto da Highfield all'aeroporto. Ero riuscita a trovare un ostello.
Tremavo di fronte a ciò che era la realtà della mia vita.
Nessuno era realmente libero e privo di vincoli ed io non lo accettavo.
Ogni vita aveva i suoi legami indissolubili e questi erano i miei.
Avevo preso coscienza della mia vita, di chi ero e di cos'ero. O era solo un'illusione?
Ogni persona si formava sulle proprie esperienze. Sulla propria condotta. Sulle proprie mancanze. E sulle proprie presenze.
Ed io mi ero formata sulle mancanze.
Non potevo scappare dalla mia vita. Non mi bastava prendere un treno facendo chilometri
Non mi bastava conoscere nuove persone. Non mi bastava più nulla.
Non mi bastavo più io.
E questo credevo di averlo accettato.
Ma il fatto che lui mi bastava ancora
Almeno se non fossi scappata.
No. Questo non potevo accettarlo.
Lui mi ripeteva che "la vita era dura, ma io lo ero di più."
E più lui lo ripeteva. Più io meno gli credevo.
Stare al passo con la vita rendeva invincibili ed io stavo correndo.
E se mi sarei fermata la città mi sarebbe piombata addosso.
E adesso?
Me lo ero chiesta tante volte in questo mese.
E in realtà stare lontana e starmene da sola. Inizialmente aveva aiutato poi mi aveva fatta impazzire.
Le situazioni che avevo affrontato nella vita erano molteplici e ognuna differente dalla precedente.
Ma tutte avevano un comune denominatore.
Lui.
Tutto dipendeva da lui e da come l'affrontavo.
Inizialmente respiravo e mi veniva anche facile. Non sentivo dolore. Non sentivo oppressione al petto.
Ma più i giorni passavano, lenti ed inesorabili. Più il respiro si faceva pesante, più difficile, sempre più incalzante.
Fino a che non sprofondai nella solitudine.
E mi sentivo sola.
Solo un petalo caduto, perché era questo che ero stata questo mese.
Un petalo caduto.
Mi ero resa conto di non aver bisogno della scrittura o della lettura.
Avevo eliminato tutto ciò che ero. Tutto ciò che avevo lasciato defluire da me ai fogli bianchi.
E non era stato facile accettarlo.
Era stato un passo enorme ammettere che non ne avevo bisogno.
Era stato un mese incerto, volitivo per certi versi.
Eppure ero ancora qui.
Lasciandomi investire da ciò che più amavo.
Avevo abbandonato tutto. Ed era stato difficile rimanere in piedi senza quei quattro mattoni di quel muro decadente che nonostante tutto mi sorreggevano.
La vita mi inghiottiva in una bolla ed io mi ero rifugiata in essa.
Non sapevo dove questo mio continuo fuggire mi avrebbe portata.
Stavo urlando al silenzio:
"Lasciami essere."
Ora mi stavo chiedendo:
"Può un solo scoglio arginare un intero mare?"
Avevo mille domande in testa a cui non riuscivo dare risposta. A cui forse non ne avrei data mai.
Speravo un giorno di poter dire eccomi. Sono finalmente cambiata.
Ero ferma qui.
Ferma sui principi che sentivo non appartenermi più.
Ferma in questa terra che chiamavo casa e che allo stesso tempo mi stava stretta.
Mi perdevo in immagini che non mi appartenevano. In sensazioni poco consone a chi ero. Ed in atteggiamenti che sentivo fin troppo miei.
E allora, si cambiava o si diventava?
Mi ero persa in un mare non mio. In parole non mie.
La fisionomia dei sentimenti era semplice. Ma se non la rispettavo tutto sarebbe esploso.
Il che non avrebbe influito più di tanto. Non su di me per lo meno.
Volevo essere una stella no? Volevo essere uno di quei pallini luminosi che rendevano una serata migliore? Volevo abbracciare il cielo? E allora perché continuare a distinguere i sentimenti? Perché non spegnere il cervello e lasciare a loro il controllo?
Contrasto.
Luminosità.
Colore.
Nero.
La voce di una persona.
Quante cose poteva dire la voce di una persona?
La sua voce mi tranquillizzava. Il suo modo di chiamarmi, di parlarmi. Era lui e quando si trattava di lui, io non sapevo che mi succedeva.
Per quanto cercavo di trattenermi se si trattava di lui. Io ero felice.
E chissà se quel che mi diceva. Lo sentiva ancora. Lo pensava ancora.
Io lo pensavo. Io lo sentivo.
Sentivo ancora la sua voce. La sua risata, rimbombare nella mia testa, come un disco graffiato che, improvvisamente precipitava nel dolore e senza stopparsi. Si fermava su due o tre parole ripetendole all'infinito.
Ma il mio disco, si fermava sulle sue parole più belle. Perché erano quelle, a risvegliare i graffi. A riaprire le ferite, che portavo di lui.
Il mio disco conteneva soltanto le parole più belle. Perché a ricordarmi che era finita. C'erano i suoi occhi che non vedevo e non incrociavo da trenta giorni, quaranta minuti e ventitré secondi.
A ricordarmi che era finita. C'erano le sue labbra che non si ricurvavano in un sorriso guardandomi.
I suoi occhi su di me. L'estremità delle sue labbra verso il cielo. Era questo ciò di cui avevo bisogno.
Lo pensavo. Ripensavo a noi a tutto quello che era stato. Che avevamo fatto. Sopportato. Per avere un allaccio per avvicinarci.
Per avere un abbraccio.
Ma ora?
Cosa mi restava di lui?
Cosa mi restava di noi?
Un disco graffiato dalla copertina oscurata. Sulla quale c'erano i suoi occhi che non avrei mai più rivisto come prima. Che non mi avrebbero più guardato come prima e non sarebbero stati più lì a sorridermi come prima. Delle braccia rivolte verso il basso che non avrebbero saputo più accogliermi come prima.
Lui era la persona, per la quale, avrei tolto anche le cuffie per sentire la sua voce.
Durante questo mese mi dissero che ero cambiata.
Che ero diventata una donna.
Dissero che la mia camminata divenne d'un tratto eretta. Priva d'ingobbamenti.
Che i piedi avvolti nello scomodo tacco erano sempre alla ricerca di un luogo indefinito.
Dissero che ridevo di meno.
Che avevo smesso di arricciare il naso come una bambina capricciosa ogni volta che qualcosa non era di mio gradimento.
Mi dissero che avevo un espressione più stanca. Appropriata ad un'adulta. Reduce a nottate sui libri.
Mi dissero che, finalmente avevo iniziato a capire come girava il mondo. A rispondere a modo e non come un vulcano in piena.
Dissero che il trucco e il capello sempre sistemato a modo facesse di me un'opera d'arte. Una d'appendere in salotto.
Dissero tante, tante di quelle fesserie.
Divenni eretta perché il peso delle responsabilità si aggrappava più violento che mai alle mie spalle. Rischiando di farmi precipitare ad ogni singolo passo.
Camminavo di fretta. In mille luoghi per trovare un posto dove potessi sentirmi quella che ero e anche se adesso mi ero fermata ad Amsterdam non voleva dire che avevo trovato il mio posto.
Avevo capito che non bisognava tralasciare sentimenti. Non di gioia ne tanto meno di disgusto. Capii che ridere con sconosciuti da una vita non mi giovava a niente. E così iniziai a selezionare le persone a cui regalare qualcosa in più. Ma in fondo chi volevo prendere in giro?
L'avevo sempre saputo e lo sapevo che l'unica persona che avrebbe ricevuto da me qualcosa in più sarebbe stato lui. Il mio Daniel.
E poi ero sempre stanca. La notte non riuscivo a dormire. Nella mia testa regnava un continuo caos. Incessanti proiezioni degli errori che avevano tragicamente cambiato la mia vita.
Del mondo e di come girasse. Io non ne avevo capito un bel niente. Mi lasciavo trasportare alla deriva dal mostro dell'indifferenza.
Odiavo essere paragonata ad un quadro.
Io ero una ragazza non un opera d'arte da rimirare nella sua perfezione.
Ero stanca.
Stanca di non buttarmi.
Stanca di avere paura.
Stanca delle parole, di queste parole pesanti e fin troppo semplici.
Stanca di questi punti interrogativi.
Stanca di queste non risposte ad ogni domanda posta.
Stanca di tutto.
Ma in fondo cos'era "tutto"?
Ma in fondo a quanto equivaleva "tutto"?
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IT'S OKAY, I'M DIFFERENT (IN REVISIONE)
ParanormalNeve una ragazzina timida, insicura, fragile. Non aveva avuto un passato facile e nemmeno il suo presente era da meno. Sedicenne, non sapeva esattamente cos'era l'amore, perché non gli era mai stato ricambiato. Un segreto di cui anche lei ne era all...
