Il vuoto non è quello spazio in cui cadi ma quel tempo in cui resti

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NEVE'S POV'

Questa città era meravigliosa.
Piena di colori. Strade. Musicisti. Gente di tutti i tipi. Negozi e palazzi. Teatri e cinema.

Ora, mi sembrava grigia. Triste.
Come un quadro bellissimo ricoperto dalla polvere.
Forse solo chi ci viveva da un po' riusciva a vedere il suo fascino anche dietro a giornate di pioggia come questa.
Osservavo i passanti correre. Riparandosi la testa con un giornale. Scuotendo l'ombrello prima di entrare nei bar o continuando a camminare tranquillamente. Senza contare più di tanto le gocce sottili che inumidivano i loro abiti.

Guardavo le goccioline, scivolare mogie sul finestrino.
A pochi centimetri dal mio naso e mi concentravo sull'unico suono, oltre al silenzio che regnava sul pullman.
Il ticchettio della pioggia sul tettuccio.

Al mattino, quando io e Daniel ci eravamo svegliati.
Il cielo si era pronunciato minaccioso e decidemmo di tornare a casa.
Non avevamo intrattenuto una conservazione.
Io troppo presa dai miei pensieri. Dalle mie paure. Dal silenzio. Dalla pioggia.
LUI ancora assonnato.

Quando mi ero svegliata i miei occhi nocciola si erano incastrati nei suoi verdi come l'Aurora Boreale e penetranti come il gelo dell'Alaska.
Mi ero sentita paralizzata dal suo sguardo. Anch'esso sul mio.
E una lieve scossa mi aveva attraversata la schiena.
Ero rimasta prigioniera di quei suoi occhi verdi intensi. Che solo a guardarli, mi mozzavano il fiato.

Li volevo.

ERANO MIEI.

Ma non abbastanza.

NON li sentivo.

Scesi dal pullman.
Mi alzai il cappuccio della felpa bordeaux sulla testa e iniziai a camminare.
Daniel mi raggiunse dopo alcuni secondi e con la sua felpa cercò di farmi uno scudo protettivo.

Lo guardai.

Era in maniche corte.
Il suo corpo era fasciato da quel tessuto bianco lucido.

"Daniel, no!
Copriti. Non voglio che ti prendi un accidenti, per me." dissi, con un filo di timore in bocca.

"Principessa, non hai capito!
Sono io che ti devo proteggere.
Sono io quello che deve esserci.
Devo esserci per te."

Principessa?
Odiavo quel soprannome!

Lo guardai imbarazzata.
Ma con gli occhi colmi d'amore.
E prima che potessi rispondere... Mi bació. Un bacio caldo in mezzo a quel freddo. Dolce come lo zucchero filato. Calmo in mezzo a quella tempesta, senza traccia di violenza, solo bisogno. Un bisogno disperato, che avevamo entrambi.

Ricambiai. Tirandolo a me.
Con la stessa calma con cui le onde s'infrangevano sugli scogli.
Mi tirai giù il cappuccio. Gli rimisi la felpa sulle spalle, senza mai, staccarmi dal suo bacio.
E lasciai che la pioggia ci bagnasse.
Lasciai che la pioggia mi entrò nelle ossa. Mi gelasse. Mi riempisse il vuoto che sentivo.

Quel vuoto che non era dovuto a Daniel.
No, lui lo riempiva.
Ma non totalmente. E l'unica persona che avrebbe potuto farlo, sarebbe stata mia mamma.

Io volevo sapere.
Io dovevo sapere.
E quel velo di oscurità, che si celava.
Oscurando la mia voglia di comprendere. Mi stava uccidendo.

E che avevo notato di essere incline alla procrastinazione.
Ma non a quella che portava a rimandare al domani ciò che si poteva fare nell'immediato.

No, la mia era diversa.

Mi spiego meglio: ogni tanto mi capitava di bramare una determinata cosa. Ma di notare che solo il desiderio di poterla realizzare era totalmente vorticoso ed avvenente. Da restituirmi una gioia quasi maggiore a quella che avrei potuto vivere trasformandolo in realtà (anche perché non sapevo se ci sarei mai riuscita)

Così mi perdevo nei miei mulinelli mentali e continuavo a tuffarmici. A nuotarci e a sguazzarci in quell'idea.
Quanto deliziosa era la sensazione che provavo quando la pensavo.
Come se l'azione che l'avrebbe portata a diventare qualcosa di concreto si nascondesse da qualcosa che l'avrebbe potuta privare della sua bellezza originaria.

Nella mia mente, appariva limpida. Intoccabile ed inaccettabile e ritenevo che la mia volontà nel trattenerla nel piccolo mondo che c'era nella mia testa. Derivava dalla diffidenza che avevo verso la realtà (l'unica cosa in cui credevo, in questa maledetta realtà era Daniel)
Che avevo sviluppato con il passare del tempo. Dalla paura che il suo sporco tocco poteva annientarne la tenerezza e non restituirne con fedeltà. La luminosità che le apparteneva quando ancora, doveva venire al mondo.
Spesso allora vagabondavo in queste strade nella mia testa. E senza accorgermene, viaggiavo per ore nelle tanto incantevoli terre dei desideri.
Questo era il mio pensiero.
Quando ricordavo che la mia missione era ritrovare la mia famiglia.

Avevo paura.
Avevo paura di non trovarla.
Avevo paura di rovinare la purezza del mio sogno. Che avevo da quando ero nata.

Li chiamavano vuoti.
Ma in realtà erano così pieni che semplicemente la nostra mente ed il nostro corpo non riuscivano ad elaborare tutto quanto.

Erano pieni di angoscia. Paura. Malinconia. E di un nome che non esisteva più (FAMIGLIA).

Erano pieni di rabbia. Così tanta, che alla fine piangevo.
Perché non sapevo come sfogarla.

Pieni di nervosismo. Di così alto livello che mi faceva male lo stomaco.

Questi vuoti.
Erano così pieni, che volevo semplicemente vomitare tutto. Per cercare di svuotarli, anche se sapevo che mi sarei trovata sempre allo stesso livello di ansia e tristezza.

Il mio vuoto era pieno della mia famiglia.
Mi aveva lasciato e non potevo farci niente.
Solo vivere il mio vuoto fino alla fine. Sperando che mi distruggesse perché ormai non aveva più un senso.

Ma poi iniziai a pensare a Daniel.
E no, non volevo che mi distruggesse.
Volevo che mi facesse sentire viva.

Però adesso, non riuscivo a non pensare ad altro. Non riuscivo a non pensare a quanto era grande e profondo il mio vuoto realmente.

IT'S OKAY, I'M DIFFERENT (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora