Okay sono pazza, okay sono diversa! ✔

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NEVE'S POV'

Alzando lo sguardo alla volta celeste, osservai come la notte avvolgesse tutto quello che stava intorno a me. E come lo ricopriva di una contemplativa aria di mistero.

Serenamente, sembrava che ogni forma di vita lasciasse che l'invisibile oscurità imprimesse nel proprio lato più vulnerabile, le tracce della sua presenza.

I silenzi erano ascoltati nella più completa attenzione per lasciare spazio pian piano, al più assoluto riposo.

Era ora tarda e tutti, nei dintorni, erano chiusi nelle proprie case a godersi la pace della nottata.
Uno stacco dalla vita quotidiana, la morte del giorno.

Solo io ero qui, sul davanzale della mia finestra a godermi la disponibilità del buio a farsi ammirare.

Vedevo che la notte aveva inghiottito la città portando calma e serenità.

Le luci delle piccole stelle che in cielo brillavano, donavano quel minimo scintillio per far capire che ogni cosa stava solamente riposando, e non aveva ceduto il passo alla morte.

Morte, primo pensiero che mi risaliva alla mente, mentre osservavo le tenebre.

Il "sonno eterno" era un fatto singolare nella vita di ogni persona e poteva essere vissuto in due modi: il primo in cui si soffriva: perdendo una persona cara, e nel secondo quando si perdeva la propria vita.

Entrambi i casi, donavano tristezza e solitudine, come la buia oscurità senza stelle. Era una cosa naturale e andava accettata come quando, al calare del sole, la giornata finiva e tutto diventava un ricordo, seppur bellissimo.

Vidi una stella cadente.

"Shooting stars" chiamate così perché erano come dei proiettili luminosi, a cui gli esseri umani affidavano i propri sogni.

Ed era proprio esprimendo un desiderio che, capivano che la vita era come il susseguirsi della luce e delle tenebre: il giorno poteva essere visto come il susseguirsi dei momenti più belli della propria esistenza, in cui il sole riscaldava e dava voglia di vivere. La notte appariva, invece, come quei periodi in cui sembrava che tutto prendeva pieghe sbagliate.
Periodi in cui non si vedeva via di uscita, ma che in fondo donavano delle piccole speranze, delle piccole stelle cadenti, proprio come la notte.

Nella testa mi rimbombavano le note di qualche canzone di cui adesso non ne ricordavo il nome.

Io avevo sempre vissuto le ore di buio come un periodo di fuga dalla realtà, un mondo in cui mi rifugiavo dopo un giorno difficile.

Per una decina di ore, circa, potevo rifocillarmi a una fonte di velata misteriosità.
Alla fonte dei sogni e del riposo, che mi ricaricavano sia fisicamente che psicologicamente e che mi davano le forze necessarie per la vita che correva, scappava e non aspettava nessuno.

L'azione che la notte mi ispirava oltre al riposo, era il pensare: durante quello stato detto "dormiveglia" la mia mente spaziava ai pensieri più nascosti che uscivano con il minimo sforzo dalla mia mente.

Il ragionare partiva da piccole cose, per poi spostarsi, senza che io potessi accorgermene, a problemi difficili, arrivando anche a stupidaggini per poi condurmi e cedere il passo al meritato e aspettato riposo durante una notte limpida. Dopo aver contemplato il cielo palpitante di stelle.

Una notte stellata in una limpida via.

Non riuscivo ancora a dormire, ma non volevo svegliare Daniel.

3:07

Entrai in bagno, mi chiusi la porta alle spalle, lasciai la luce spenta e mi feci illuminare dai raggi della luna che filtravano dalla finestra.

Aprii l'acqua della doccia e mi sedetti per terra, chiudendo gli occhi.

Entrai in un momento di oblio, andando a interrompere il normale ciclo delle cose.

Mi sentivo incastrata fra il vivere e il non vivere.

Mi sentivo incastrata in quel vuoto chiamato "sopravvivenza"

E io avevo sempre odiato il dover sopravvivere.

Erano attimi di assenza, dove nulla portava pensiero o aveva importanza.

Il rumore dell'acqua mi faceva meditare e le gocce che sbattevano sul fondo della doccia tenevano in vita la mia mente.

I pensieri pulsavano contro le pareti della mia testa, ma mi costringevo a non farli evadere, non avevo voglia di pensare, non avevo voglia di niente, se non di Daniel.

Ma poi alla fine me lo concessi. E un pensiero, uno solo, uscì da quelle pareti buie.

Daniel, ero così fortunata ad averlo.

Ma nonostante tutto non potevo non pensare alla mia famiglia.

Perché mi avevano abbandonato?

Perché dovevo essere qui, senza di loro?

Sapevano il male che mi avevano fatto?

Sapevano che le ferite potevano cicatrizzarsi, ma non se ne potevano andare?

Perché non potevano scomparire, sarebbero rimaste impresse in un cunico verticale, da mente a cuore, fra pensieri ed emozioni, ricordi e amore, delusioni e dolore, risentimento e malinconia.

Sarebbero rimaste incatenate al mio essere, sarebbero diventate inesorabilmente parte di me.

Con l'acqua che continuva a scorrere, senza mai riempire la doccia.

Mi affacciai alla piccola finestrella di mogano, che dava sul mondo, iniziando a scrutare in giro ma con gli occhi chiusi, non ero in grado di vedere.

Sentivo tutti i rumori del mondo: le macchine che correvano sull'asfalto liscio.
Bambini che ridevano, che piangevano.
Adulti che litigavano e che dopo facevano pace riniziando ad amarsi.
Padri che leggevano storie ai bambini per farli addormentare.
Madri che preparavano il latte e si svegliavano in piena notte, per controllare che fosse tutto a posto.
Foglie che si muovevano appoggiate al vento. Nuvole che si spostavano.
Acqua, acqua che scorreva nei fiumi e che finiva nei mari, giù dalle grondaie, dentro le pozzanghere.

Sentivo tutto, ma non ero in grado di ascoltare.

Rispondevo a tutto, ma non ero in grado di parlare.

Volevo toccare tutto, ma non ero in grado di spostarmi da quella finestra.

La bocca chiusa, un peso nel vuoto, i capelli appoggiati al vento, le nuvole che si spostavano.

Poi c'era la terra, tantissima terra.
Sopra, sotto, ovunque.
I suoi rami oscillavano.
Le foglie ballavano costrette dalla forza del vento.
Le radici erano ben piantate fino al centro della terra.
Ogni giorno ascoltavo uccellini cantare. Scoiattoli rincorrersi. Nuvole spostarsi. Adulti baciarsi all'ombra della chioma di un albero. Bambini ridere e poi piangere per riniziare a ridere.
Acqua che scorreva nei fiumi, nei mari, per poi... I piedi, i miei piedi erano bagnati.

《Ah l'acqua della doccia!》Sentenziai a bassa voce per non svegliare Daniel.

Guardai in quella direzione ma l'acqua continuava a scorrere e a scendere nelle tubature, il pavimento era asciutto e i miei piedi... Pure.

Okay ero pazza.

Okay ero diversa.

IT'S OKAY, I'M DIFFERENT (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora