La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro

102 79 7
                                    

Non sapevo perché la vita mi aveva esercitato ad essere diversa dagli altri.
A preferire la compagnia di un buon libro alla serata in discoteca.
A volare in solitario come un'aquila che fare comunella come i polli.
A scovare la bellezza in uno sguardo, in un gesto. Piuttosto che essere superficiale, planando sulle cose soltanto sfiorandole
A leggere tra le righe.
Ad andare oltre le apparenze.
A restare incantata quando esplodeva un tramonto, ad osservarlo e non solo a guardarlo.
Non sapevo perché. Ma a me piaceva aiutare gli altri con il proprio dolore, sollevarli dalle difficoltà.
Non salevo perché. Ma usavo le parole per rendere il mondo più abitabile.
Non sapevo perché. Ma per me la musica più bella era quella delle onde del mare o le parole vere, che nascevano dal profondo del cuore.

"Voglio te, perché senza di te non mi basta più niente." sentii una voce roca provenire dalle mie spalle. Coperte da una canottiera bordeaux e dalle lenzuola candide.

Daniel.

Non so.
Eppure a volte mi sentivo così sola ed incompresa.
Forse era colpa dell'età, dell'adolescenza.
Mi apparteneva soltanto la convinzione di non essere come gli altri.
Forse perché non ero cresciuta con una vera famiglia.

"Amore, sei già sveglio?"

"Sì tesoro. E mi piace guardarti mentre pensi."

Arrossii.

Era una regola che valeva in tutto l'universo.
Chi non lottava per qualcosa aveva già comunque perso.
E anche se la paura mi faceva tremare, non avevo mai smesso di lottare.
Per tutto quello che era giusto. Per ogni cosa che avevo desiderato. Per chi mi aveva chiesto aiuto. Per chi mi aveva veramente amato.
E anche se qualche volta avevo sbagliato. Non avevo mai smesso di lottare per Daniel.
L'unico che mi aveva fatto affrontare la vita con un sorriso sincero.
Io l'amavo.
E niente avrebbe cambiato quest'amore costretto ad esistere per l'eternità.

__________________________________________________

DANIEL'S POV'S

Era una mia convinzione che lei aveva riadattato i ricordi per adeguarli alla sua rabbia?

Tale falsificazione della memoria -l'aggiustamento, la riduzione, l'invenzione e perfino, l'omissione dell'esperienza- era comune a tutti gli esseri umani. Faceva parte della vita psichica e non me l'ero mai presa per questo.
Sapevo quanto era inaffidabile, malleabile, la mente umana. Allorché doveva adeguare le proprie convinzioni o negare l'intollerabile.
Ma sapevo anche che quella di Neve era diversa. Fuori dal comune.

Era sul letto.
La finestra era aperta ed il vento riusciva ad entrare in quella stanza, troppo piccola, per contenere tutti i suoi pensieri.
Pioveva.
Lei si sdraiò ed iniziò ad ascoltare ciò che la circondava.
Un'auto che passava. La pioggia che batteva. Una donna che camminava. Un gatto che graffiava una porta di legno ormai consunta.
Si fermò respirando l'aria primaverile, anche se, quella giornata di primaverile non aveva niente.
Aveva freddo ma non le importava.
Era così bello che il vento venisse a cercarla. Entrava dalla finestra e l'accarezzava.
L'acqua scorreva forte fino ai tombini e ormai l'odore della pioggia si sentiva entrare. Sprofondare in quell'aria che sapeva di lei.

Quanto le piaceva la pioggia.
L'aveva sempre amata, fin da piccola e questo credevo di averglielo inculcato io.
Mi sarei preso la colpa. Di questo.

La stanza si faceva sempre più grigia e la pioggia continuava imperterrita a scendere e a picchiare sempre più forte, sul terreno ormai zuppo.
Quel rumore le ricordava il rumore del mare.
Intanto si stava ponendo mille domande:

"Come sarà il mio futuro?"

"Vale la pena di viverla questa vita?"

"Qual'è il mio sogno?"

Quest'ultima domanda le comparve nella testa proprio mentre la pioggia sembrava aumentare.

"Ma io ce l'ho un sogno?" sembrava pensare.

Avrei voluto avvicinarmi.
Dirgli che di sogni ne aveva. Doveva solo aspettare che si avverassero.

Ma non ne ebbi il tempo.

Corse alla finestra e sporse la testa fuori.
Voleva cercare il suo sogno tra la gente. Tra le strade. Tra le nuvole. E in mezzo alla pioggia.
Nessun movimento insolito.
Solo il mare ed il suo ciondolamento. Il suo ritirarsi ed infrangersi.

"Basta." disse.

Chiuse gli occhi per tre secondi e prese un profondo respiro.

Prese il suo zaino e lo riempì: cellulare, libri (finché ce ne stettero), una felpa, MP3, un blocchetto e una matita.

In fretta si mise lo zainetto di pelle sulle spalle. Scendendo freneticamente le scale.
Arrivò alla porta e si guardò intorno.
La nonna le stava dicendo qualcosa che nè io nè lei capimmo.

Io... Io ero troppo spaventato.

"Sto andando a cercare il mio sogno." dichiarò, ora a voce alta.
Ora che era tutto vero.
Cosa avrei dovuto fare?

Aprì la porta.

Si incamminò.

Prese il primo pullman per la stazione.
Per prendere un treno che la portasse lontano.

Io, ovviamente senza indugi la seguii.

Milano, Roma, Parma... Per lei era lo stesso.

Le bastava soltanto andarsene per cercare il suo sogno.
Con la testa rivolta al finestrino, guardava la città che spariva sempre più veloce tra le gocce della pioggia.

"Dovessi morire, troverò il mio sogno." disse, come se nessuno potesse sentirla. Ma io ero lì, ed era troppo tardi per tornare indietro.

La vita ed i sogni erano fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine era vivere, sfogliarli a caso era sognare.

E lei li stava, letteralmente, sfogliando a caso.

IT'S OKAY, I'M DIFFERENT (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora