Aprii gli occhi, infastidita dai raggi del sole.
La vista inizialmente mi apparve sfocata, ma subito dopo aver sbattuto più volte gli occhi cominciai a vedere più chiaramente.La pelle olivastra di Daniel era appoggiata al mio corpo e la mia pelle marroncina al suo.
Una carezza.
Assomigliava così tanto alla brezza serale, che con i suoi freddi sospiri, mi cullava fra le sue braccia di ghiaccio soffice.Invece no, era Daniel, mi stava abbracciando e sistemando una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Mi fece sedere davanti a lui, prese l'elastico nero sul comodino beige e iniziò a intrecciarmi i capelli.
Quando ebbe finito, mi guardai allo specchio e una splendida treccia mi ricadeva lunga, fino alle spalle.Senza rendermene conto mi ero sciolta dall'abbraccio delle coperte, che mi teneva al sicuro.
Diedi un bacio sulla guancia a Daniel e andai in cucina a preparare due tazze di the nero.Un'ombra.
Sì ne ero sicura.
Un'ombra si librava davanti a me. Nera come il carbone, odorava di muffa, era viscosa ma brillante. Luminosa come una stella che scoppiava in volo, si scioglieva, e si staccava dal filo.
Provai a cacciarla via, ma non si mosse.
Provai a prenderne il confine, ma Daniel entrò nella stanza e l'ombra, che c'era fino a pochi secondi fa, scomparì.
Le mie dita, erano sporche, allora corsi subito al lavandino, per lavarle.A quel punto Daniel mi chiese:
"Qualcosa non va?"
"Nono, è tutto a posto, amore." risposi io.
Il suo sguardo si rassenerò e bevemmo il nostro the.
Non volevo raccontargli niente, almeno per adesso, non volevo spaventarlo, che poi non sapevo nemmeno io cos'erano quelle ombre.
Alzai gli occhi al cielo e mi resi conto che non c'era neanche una nuvola. C'era soltanto un azzurro infinito.
Rimasi lì a pensare mentre guardavo quel cielo così luminoso.
Mi sentivo così piccola in quel momento e pensai a quanto fosse grande il mondo.
Pensai che in fondo, io e Daniel, non stavamo esattamente sotto lo stesso tipo di cielo.Ogni posto aveva la sua posizione di stelle e la mia non era proprio uguale alla sua.
Mi sentii distante da lui, anche se in fondo eravamo uno di fianco all'altro.
Forse avrei dovuto lasciarlo andare.
Avrei dovuto dimenticarlo senza nessuna scusa.Sentii una mano calda afferrare la mia, le sue dita lunghe e un po' meno calde intrecciarsi alle mie, a quel contatto per un momento rabbrividii. Ma poi iniziai a pensare, che tenersi per mano, era sicuramente la cosa più bella al mondo.
Era un gesto intimo ed innocente allo stesso tempo.
Quando sentii la sua mano sfiorare il palmo della mia era come se l'intero mondo fosse sulla punta delle mie dita.Me la strinse così forte che era impossibile lasciarla andare.
Come se la sua mano, combaciasse perfettamente con la mia, e solo sapere che le nostre mani erano collegate fra di loro mi faceva letteralmente capire quanto eravamo realmente vicini l'uno all'altro.E tutti i dubbi di prima, si dissolsero, come stelle cadenti.
Le stelle cadenti mi avevano sempre affascinata, così belle, così luminose, anche se tanto lontane.
Passavano nel cielo dominandolo per qualche secondo prima di consumarsi e sparire nel nulla.
Io e Daniel eravamo così: perfetti e imperfetti allo stesso tempo, pieni di amore, e di vita, luminosi ed eterni, intensi tanto che, forse, prima o poi avremmo preso fuoco, consumandoci a vicenda, ma lasciandoci dietro una scia, indissolubile ed infinita, che avrebbe lasciato per sempre un segno nella nostra anima.L'amore era così, un sentimento particolare. Poteva portare al per sempre oppure no. Svanire del tutto e scoppiare, come accadeva quasi sempre alla gente.
Ma forse la parola ~amo~ si abbinava perfettamente a noi due.
S'incastrava benissimo nelle nostre anime: la sua bianca e la mia nera, due colori perfettamente abbinati tra loro, e noi eravamo la stessa cosa. Eravamo fatti l'uno per l'altra e nessuno sarebbe mai riuscito a separare i nostri cuori, le nostre anime.
Neanche il tempo, perché noi vivevamo nel per sempre.Dopo aver contemplato Daniel a lungo.
Lo tirai giù dal letto -anche lui infastidito dai raggi del sole- ci vestimmo e scendemmo in strada.
Prendemmo un pullman a due piani: il piano superiore era scoperto, rosso sangue. All'interno c'erano persone ovunque e alla fine dovemmo stare in piedi aggrappandoci all'asticella di ferro, anch'essa tinta di rosso.Mentre il pullman correva e le ruote sfregavano sull'asfalto, mi guardai intorno: ogni viso che vedevo, riuscivo a dargli un posto nel mondo.
Un posto, nel mondo dei libri.Tutte le persone assomigliavano ai personaggi dei miei libri.
Era alquanto inquietante, ma anche divertente, perché mi immaginavo già queste persone scendere dal pullman, affrontando la vita, come nei libri che avevo letto, e anche se riuscivo a dare una parte a tutti, non avevo ancora trovato la mia e quella di Daniel, nella mia di vita.Da dove ero, riuscivo a vedere solo sei persone in viso, le altre mi davano le spalle, oppure erano troppo distanti per distinguere ogni loro dettaglio.
La ragazza sul mio stesso lato, il sinistro, aveva i capelli ramati raccolti in una crocchia, il naso lungo, gli occhi di un verde-blu brillante, la bocca sottile e rosea, la carnagione chiarissima, il viso ovale, e una ciocca di capelli mossi le ricadeva davanti alla bocca. Era la fotocopia di Catherine Earnshaw, di Cime Tempestose. Credevo che dovesse scendere a Thrushcross Grange, dove viveva con suo marito Linton, invece scese alla prima fermata.
I miei occhi si spostarono subito su un uomo anziano: il quale aveva pochissimi capelli bianchi, barba folta, viso magro e scavato, occhi marroni e penetranti, orecchie piccole e naso lungo.
Luigi Pirandello, sì era lui.
Me lo immaginavo già scendere dal pullman e avviarsi a casa sua a Roma, nel 1903, per concludere il suo primo romanzo IL FU MATTIA PASCAL.Nel lato opposto una donna giovane dalla pelle riposata e ben tesa, era intenta a leggere un libro, anche se disturbata dal brusio provocato dalle persone, aveva dei lunghi capelli neri, boccolati, il naso sporgente ma fine, la bocca sottile come un foglio, gli occhi fissavano le pagine piene di inchiostro e della terra rosa confetto gli colorava le gote.
EMMA BOVARY, sì era sicuramente lei, una donna giovane, bella, colta, sempre ansiosa di apprendere cose nuove.Con la coda dell'occhio vidi il pizzo di un vestito giallo canarino muoversi, focalizzai meglio in quella direzione e la vidi...
SPAZIO AUTRICE:
GRAZIE MILLE my readers,SPERO CHE ANCHE QUESTO CAPITOLO VI PIACERÀ,FATEVI SENTIRE ACCENDENDO UNA STELLINA,GRAZIE ANCORA,NON SAPETE LA GIOIA CHE MI PROCURATE.
UN BACIONE.
DESY❤SECONDO VOI CHI È LA SIGNORA IN "GIALLO"?
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IT'S OKAY, I'M DIFFERENT (IN REVISIONE)
ParanormalNeve una ragazzina timida, insicura, fragile. Non aveva avuto un passato facile e nemmeno il suo presente era da meno. Sedicenne, non sapeva esattamente cos'era l'amore, perché non gli era mai stato ricambiato. Un segreto di cui anche lei ne era all...