Ci ritrovavamo sempre, nei miei sogni.

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NEVE'S POV'

Le ali dei gabbiani si muovevano seguendo sempre lo stesso ritmo: su e giù, su e giù.
Fluttuavano nel cielo ormai dipinto di un rosa tenue, di un arancione aggressivo, e di un celeste che stava sparendo, lasciando spazio ai colori più caldi.
Il sole stava scomparendo oltre l'orizzonte, le nuvole lo circondavano dandogli un'aria misteriosa, erano così leggere che sembravano essere fatte di cotone.
Il mare si adagiava stanco, lungo la costa, con piccole onde, che ormai si appiattivano bagnando il suolo costeggiato da piccoli ciottoli.
La brezza soffiava sul mio viso, come una carezza e faceva ondeggiare i miei capelli, mossi, al vento, in una strana danza.

Così anche il mio compleanno, era passato.

Avevo trascorso tutto il pomeriggio a leggere, quel libricino che avevo scovato in mezzo alle radici, di quel salice piangente. Scoprendo, che se veramente le mie supposizioni erano vere, i miei antenati erano dei demoni, degli esseri paranormali, soprannominati "ibridi" dal Trono, e di conseguenza... No.

"No, impossibile, non lo sono anch'io." annunciai sconsolata, a voce alta, chiudendo con forza, quel libricino così fragile.

Mi alzai, mentre la sabbia che mi circondava, sembrava volesse farmi annegare. Stirai i vestiti con le mani, togliendo tutti i granelli fini, che si erano incastrati nel tessuto leggero della mia salopette di jeans chiaro. Poi, con calma, mi avviai alla stazione dei treni.

Sì esatto, avevo deciso di ritornare a casa: dal mio Daniel, dalla nonna, in quella cittadina che per quanto avevo odiato, alla fine avevo amato di più. Perché avevo capito, che senza di loro, io ero annullata, ero solo un corpo inerme senza sentimenti e forze.

Stavo lasciando Margherita da sola, e non sapevo se questo fosse il miglior modo di affrontare le cose, ma dovevo. Dovevo ritornare verso il mio passato.

Durante tutto il tragitto, pensai alla giornata di oggi:

Aveva piovuto tutto il giorno, e io dall'hotel osservavo il battere incessante della pioggia, sopra ciò che io e Daniel eravamo stati.

Stavo pensando, che le cose belle ci avevano sempre fatto male e non eravamo mai stati bravi a tenerle.

Continuavo a credere che, eravamo attratti dal dolore, quel nodo complicato che ci mangiava il cuore e non ci faceva, davvero vivere il nostro amore.

Stavo pensando alle ultime parole, che ci eravamo detti, un "ti amo" detto così sotto voce da far venire i brividi, anche alla Terra.

Stavo pensando a quanto ci faceva paura, ciò che non conoscevamo, perché avremmo voluto solo vivere.

Stavo pensando a quanto mi erano mancate le sue labbra sottili, e la sua spina dorsale, che aveva la stessa forma del mondo, quel mondo che avevo sottovalutato, e poi mi aveva travolto, completamente.

"Come ho potuto scappare da ciò che ho amato con tutta me stessa?"

"Mi ha aspettato? O ha già trovato di meglio?"

"È sempre stato sbagliato ciò che ero stata, e ciò che sono?"

Continuavo a ripetere queste domande, a voce alta, e non m'importava se la gente mi guardava di sbieco, o mi credeva strana, ormai c'ero abituata.

Finché non arrivò lui: un ragazzo alto, dai capelli ricci e mori, due coralli al posto degli occhi, denti bianchissimi e sorriso contagioso.

Con la mano libera, fece un cenno al posto libero accanto al mio, e poi mi chiese:

"Posso sedermi?"

Tolsi la mia minuscola valigia, riempita per gran parte dai miei libri, e lui si sedette.

"Ciao." mi disse.

Lo guardai male, e lui mi sorrise, aveva veramente un sorriso stupendo -ma niente in confronto a quello del mio Daniel, il suo era perfetto-

"Mi chiamo Riccardo, ma chiamami Riki." continuò a scrutarmi, con quegli occhi invadenti.

"Perché dovrei chiamarti?" risposi fredda e distaccata, al ragazzo che non smetteva di togliermi gli occhi di dosso.

"Perché tu sei una ragazza, e io un gran figo."

Rimasi sconvolta. Come poteva essere così diretto e a suo agio, di fronte a una sconosciuta?

"Io non credo sia così."

"Ah quindi non sei una ragazza?" mi chiese, nascondendo una risata beffarda.

"Io sono una ragazza, ma tu sei un idiota." detto questo, mi voltai verso il finestrino, guardando fuori, e continuando a pensare al mio Daniel.

In fondo io e il mio angelo, non c'eravamo detti addio: ci ritrovavamo sempre, nei miei sogni.

Non era stato un addio, ma bensì, un grido sottovoce che mi chiedeva di tornare, con il mio orgoglio verso i miei sbagli, perché lui non aveva fatto niente. La colpa di tutto, era la mia.

Ero fatta di sbagli, che cercavo di aggiustare, ma il mio cuore non si sarebbe aggiustato, e le mie persone non sarebbero tornate.

Così mentre continuavo a guardare fuori, cercando con lo sguardo uno spiraglio di luce, in quel buio delle sei di sera, annunciai:

"È lui il mio sogno, Daniel è il mio passato, e se lo perdo adesso, non sarà il mio futuro."

Riccardo mi guardò: i lineamenti del suo viso erano divertiti, per quanto lui non cercasse di darlo a vedere.

"Chi è Daniel?" il tono della sua voce era calato, quasi un sussurro, sembrava realmente interessato a sapere la risposta.

"Il mi-mio ragaz-ragazzo, forse ex, è una storia un po' lunga." risposi imbarazzata, mentre le guance mi si coloravano, come la porpora.

Lui rimase in silenzio, aspettando forse che il mio viso esprimesse qualcosa, ma rimasi impassibile, dopotutto io ero senza sentimenti.

Schiuse le labbra, riflettè un momento, chiuse la bocca e la riaprì:

"Sono convinto che il tuo sogno ti stia aspettando."

"Non credo sia così, non mi conosci, da me si allontanano tutti, o forse sono io, sono io a farli allontanare." risposi, cercando di trattenere le lacrime.

"Voltati." mi disse.

Mi voltai, e vidi le sue mani sul mio viso, asciugarmi con movimenti rapidi, le lacrime che ormai si erano impossessate del mio viso.

"Grazie." riuscì a biascicare.

Dopodiché lui mi porse la sua spalla, e senza indugio io ci appoggiai la testa, mentre Riki, con movimenti dolci e fluidi prese ad accarezzarmi i capelli.

Quando aprì gli occhi, di Riki non c'era traccia, così scesi dal treno, e titubante andai verso il pullman blu che stava rallentando alla fermata cinque, il quale mi avrebbe portata nella cittadina di Highfield.

Tirai sulla mia testa il cappuccio della felpa nera, presi dalla mia borsetta a tracolla il portafoglio color panna, per pagare il biglietto, ma prima di salire, notai un'ombra venirmi incontro.

SPAZIO AUTRICE:

Ehii, rieccomi!

Come state?

Mentre scrivevo, mi sono accorta che questo è il penultimo capitolo.

Spero vi sia piaciuto!💖

Vi adoroo💖

IT'S OKAY, I'M DIFFERENT (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora