A Mosca con la mia Stella ✔

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Io e Daniel scendemmo dall'aereo, con un retrogusto di paura ed euforia.

Mentre eravamo sopra, avevo dormito tutto il tempo, come una bambina: con la testa infilata nell'incavo del suo collo che, sembrava fatto su misura per me.

Una folata di vento mi investii, paralizzandomi le ginocchia e mozzandomi il respiro. Gli occhi iniziarono a lacrimarmi per le raffiche di vento pungenti.
Mi ero già pentita di essere venuta qui, a Mosca.

Sì avevo bisogno di fuggire, e sì volevo ricostruire il mio passato per salvare la mia vita presente da quel vuoto. Per capire: se avevo mai ricevuto amore, se Daniel era un angelo, se io ero un angelo e se sì, perché ci trovavamo qua... Forse allora non avevo mai avuto una famiglia normale?

Ma non così, non in quel gelo, non del tutto impreparata, anche se comunque vicino avevo Daniel.

Vidi una strada coperta di neve, un cielo plumbeo che incombeva sugli edifici bianchi.

Un'ombra si librò pigra a una trentina di centimetri dalle mie dita e non so perché ma mi venne voglia di prenderla in mano, ma l'ombra indiettreggiò, allora balzai in avanti e ne afferrai un lembo fra le dita, era umida e sottile.

In un attimo si disintegrò in minuscoli frammenti neri sulla neve, rimasi paralizzata e quando alzai gli occhi, vidi Daniel fissarmi con un sorrisetto sincero.

Quando riabbassai gli occhi, i pezzi erano sbiaditi e scomparsi.

Quindi Daniel non aveva visto niente?
Quindi io ero pazza?

In lontananza la strada curvava a sinistra per terminare in un incrocio immerso nella penombra.

I marciapiedi erano ingombri di neve spalata, addossata a due lunghe file di edifici di pietra bianca. Erano affascinanti, diversi da qualsiasi altra cosa avessi mai visto, alti appena un paio di piani e con le facciate ornate da una serie di archi intervallati da elaborate colonne.

Tutte le finestre erano buie, iniziai ad avere la sensazione che l'intera città fosse al buio.

Se la luna c'era, era coperta da un fitto banco di nubi.

Poi una luce, una lampadina elettrica che brillava dalla finestra di un capanno bianco al centro del pendio.

Daniel mi cinse il polso e mi trascinò verso il capanno, ma io ero troppo attenta a guardare una fila di capre, che vagavano per i campi inzuppati di pioggia e si andavano raccogliendo in un boschetto di albicocchi.

Avanzai sotto gli scrosci gelidi al fianco di Daniel. Ci stavamo inerpicando per un sentiero tortuoso ridotto a poltiglia di fango. Io avevo i capelli incollati al viso e Daniel la giacca grondante di pioggia. Poi una pesante goccia d'acqua mi cadde sulla palpebra e mi entrò nell'occhio, me lo strofinai, battei le palpebre... E trovai il mondo completamente cambiato, un'immagine mi balenò davanti agli occhi, facendo riemergere un ricordo dimenticato da tempo.

Il terreno bagnato non era più verde ma carbonizzato in alcuni punti, e incenerito in altri.
La vallata era disseminata da profondi crateri fumanti.
L'odore di carne bruciata e in decomposizione era così intenso e pungente da bruciare le narici e chiudere la gola.
Le fosse sibilavano come serpenti a sonagli quando la ragazza le oltrepassava.
E quella ragazza, ero IO.
La polvere - polvere d'angelo - era ovunque.

Daniel aprì la porta rossa di legno con tanta foga che per poco non la scardinò e poi la sbattè alle nostre spalle.

Un odore di cannella, chiodi di garofano e the caldo mi pervase le narici e mi riportò alla realtà.

IT'S OKAY, I'M DIFFERENT (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora