12. Sorrido perché lo rivedrò

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"TIMMY" ripeté una seconda volta.
I Tre giorni passati e quel sogno non avevo  reso giustizia in alcun modo a quella voce.
Avevo aspettato tre giorni solo per tenere a bada ciò che provavo, darmi una tregua e invece bastavano solo pochi secondi a  farmi ricadere preda nel vortice delle mie emozioni.
Mi sudavano le mani. Sembrava essere ritornato ai tempi del liceo, quando ero un quindicenne timido e completamente perso nella mia prima cotta.
"Timmy" la sua voce, il suo modo.
Riuscii a percepire i suoi lenti respiri.
Quei dolci respiri avevano uno strano effetto rilassante sul mio corpo. Uno due uno due. Una dolce cadenza tra l'uno e l'altro.
"Armie" scandii lentamente quella parola. Un nome  corto ma così perfetto ed unico.
"Come stai ?" disse.
Come vuoi che stia?  Sono stato tre giorni a pensarti.
A pensare a quella sera e alla paura che provo nel doverti nascondere ciò che provo.  Ormai è diventato una cosa a tempo pieno. Ma come vuoi che stia, quando so che tu sei con un altra persona. Che sono solo un amico per te. Lo pensai ma non glielo dissi.
"Bene" mi limitai a rispondere, nonostante suonasse troppo falso.
Un altra pausa. A cosa stava
pensando?
"Tu invece?"
"Un po' nervoso. Ma sto bene."
Pausa.
"Perché sei nervoso ? Hai litigato con Elizabeth?" gli chiesi. Un amico poteva permettersi di fare quelle domande ?
"No no. Con Beth va tutto rosa e fiori. Sono io che non capisco. È solo che ...Non riesco..."
Era indeciso e in difficoltà. Non sapeva se dire o no, ciò che doveva dire.
"Non riesco ..." dissi prendendolo in giro. Volevo vedere se si ricordava il nostro gioco.
"Mi stai prendendo in giro ragazzino" ecco il mio Armie. Solare. Se lo ricordava.
"Tu non mi vuoi dire cos'hai." Gli feci notare.
"Sono stanco. Tutto qui."
Rieccolo cupo. Che aveva ? Non mi piaceva sentirlo così afflitto.
Senza perdere minuti preziosi passai al vero scopo di quella chiamata.
"Armie, venerdì è il compleanno di Pauline, mamma mi ha chiesto se sarai uno dei nostri. Vieni ?"
Lo dissi talmente di fretta che a stento riuscii a capire ciò che avevo detto.
Un'altra pausa. A cosa pensi Armie? Cosa sta succedendo ? Perché sei così silenzioso?
"Si."
"Si cosa?"
"Si ci sarò. Non posso mancare. È da tanto che non vi vedo."
Aveva detto realmente quel «vi»? Gli mancavo?
Sorrisi così forte per quanto ero contento. Ci saremmo rivisti. Avrei rivisto il suo sorriso.
"Tu invece ? Hai deciso per la prossima settimana?" Chiese con voce spenta.
"Si. Si si. "
"Sei di buon umore noto. Sono felice."
Sono felice anche io Armie. Non sai quanto. Mi hai reso il ragazzo più felice della terra. Ti rivedrò.
"È una bella giornata per starsene di cattivo umore. Tu invece perché sei così ...." non riuscivo a trovare una parola adatta.
"Così spento? " disse lui dall'altra parte del telefono. Esatto sei spento, pensai.
Di nuovo quella stretta allo stomaco. Non mi piaceva per niente sentirlo così.
Avrei voluto abbracciarlo qualunque cosa fosse successa. Gli amici si supportano a vicenda. Era il minimo che potessi fare.
"Che succede? " gli chiesi di nuovo. Pregando con tutto me stesso che si lasciasse andare.
"Mi manchi."
Rimasi pietrificato il tempo necessario per poter metabolizzare   quelle due semplici parole. Mi manchi. Stavo impazzendo? Avevo di nuovo quelle allucinazioni ? Avevo di nuovo sognato tutto ?
No no ti prego. Non sto sognando  di nuovo. Non era possibile.
Mi diedi un pizzico sulla coscia.
Ero sveglio. Il dolore ne era una prova.
"Anche tu. Armie anche tu." Lo avevo detto sul serio ?
"Devo andare ora. Ma domani staremo...."
"Assieme" conclusi io per lui.
"Si" Era felice. Era tornato quello di sempre.
"Stai ridendo." Non era una domanda.
"Si."
"Ci vediamo domani. Ciao Arm.
"Ciao Tim."
Bastava poco per trasformare una giornata storta e cupa in una più bella e speranzosa. Bastava  pochi secondi e minuti per cambiarmi. Per rendermi allegro bastava il suo nome. Armie.
Ansia, paura, vergogna. Non sentivo più nulla. Sapevo che era un effetto temporaneo, ma decisi comunque di lasciarmi invadere da quella strana, ma piacevole nuova sensazione.
************************
Mi manchi. Lo avevo detto per davvero ? Così schietto e sdolcinato ero stato?
Ero stato sincero perlomeno. Era vero.  In quei tre giorni passati, mancava qualcosa. Mancava Timmy.
Che strana sensazione, sorrisi senza motivo.
Ripensai per un momento ad una frase di un poeta francese che avevo letto in uno dei libri di Tim.
E quel tuo sorriso, che aspettavo con impazienza, alla fine è arrivato. E quando è arrivato ha impresso un solco profondo sul mio viso. Un solco di un sorriso genuino.
Timothee mi aveva fatto ridere nonostante ce l avessi con lui. Aveva impresso, per citare le parole di quel poeta anonimo, un solco sul mio volto. Il segno di un sorriso a trentadue denti.  Gli piaceva tanto quel gioco di ripetere ciò che dicevo. E a me faceva impazzire il modo in cui lui si prendeva gioco di me.
I due minuti e trenta secondi di quella chiamata mi avevano messo una gioia immensa.

Un solo giorno ci separava. Anzi 18 ore e l'avrei rivisto, pensai.
In quel momento sentivo due emozioni distinte una delle quali   non avevo mai preso in considerazione prima d'ora. La gioia di  aver risentito la sua voce. Era felice e questo mi rendeva contento. Da una parte però avevo paura per quel che stava accadendo e per quello che gli avevo detto. La sua mancanza mi aveva reso nervoso e proprio questo motivo ho avuto paura. Che mi stava capitando? Più cercavo di rimanere lontano dalla sua vita, più diventavo nervoso per la sua assenza.
Più lo cercavo e più lui si allontanava. Dove era finita la vergogna, la rabbia per il bacio di quella sera? Perché proprio ora stava cambiando tutto ?
Domande su domande alle quali non avrei facilmente risposto.
Scesi giù in salone a  cercare mia moglie.
La trovai intenta a giocare con i due mostriciattoli.
"Papà". Disse la piccola Harper saltandomi addosso.
"Oh ... piano piano.."
La strinsi in un abbraccio e la presi in braccio.
"Come sta la mia piccola principessa?"
"Bene papà. "
Harper era tutta sua madre. Di aveva ripreso solo ed esclusivamente gli occhi, i suoi un pochino più chiari dei miei, e infine i boccoli biondi.
Il resto era l'esatta fotocopia della madre.
Foster invece era il mio piccolo ometto. Anche lui come me, era biondo ma gli occhi erano quelli di sua madre.
"Cosa state facendo di bello" gli chiesi mentre baciavo mio figlio.
"Stiamo colorando. Vero tesoro?"
Il piccolo gli sorrise come sapeva far lui.
" Papà può unirsi a voi ?"
Mi sedei accanto a Beth con in braccio Harper.
"Vedo che sei di buon umore."
" Il merito è solo vostro" le disse stampandole un leggero bacio.
"Ti amo."
"Ti amo anch'io. Vi amo a tutti e tre."
Continuammo a colorare per una buon'ora finché la piccola Harper non si addormentò sul foglio.
La presi in braccio di nuovo. Era il.mio piccolo angelo. Adoravo vederli così spensierati e persi nel mondo dei sogni. E in certi versi la invidiavo anche. In quel mondo non c'era posto per le preoccupazioni, per le responsabilità e per le emozioni opprimenti. Li era tutto diverso e semplice.
"La porto su nel suo lettino".
"Va bene. Dopo parliamo però."
Per un attimo colsi nel suo sguardo incredulità e un lieve distacco.
Ricambiai quello sguardo con un sorriso e salii di nuovo su in direzione della stanzetta di Harper.
La depositai nel suo lettino, riboccandogli in fine le coperte. Le diedi un ultimo bacio e scesi giù ad affrontare mia moglie.
"Cosa succede?"
"Succede che non so più chi ho di fronte."
"Che stai dicendo. Che significa?"
"Significa che non ti riconosco più. Stamattina eri nervoso, anzi ultimamente non è possibile avvicinarti che subito rispondi male. E ora invece sei di nuovo l'uomo di cui mi sono innamorata."
"Beth io sono sempre il tuo Armie. Quello di sempre. Perché dici questo ?"  chiesi andandole incontro.
"Perché io conosco mio marito e so quando è nervoso perché è stanco ma ultimamente faccio fatica a capire."
Aveva colto qualcosa che io non avevo considerato ?

Avevo scoperto ciò che era successo la sera degli Oscar?
Dio ti prego no, pregai
"Liz, sono lo stesso. Nervoso si e perché sono stanco di quest'ultimo periodo."
"Cosa ti sta turbando ?"
Non potevo dirgli che il frutto di quella frustrazione interna era causata dal nome del mio migliore amico.
"Il lavoro."
"Intendi le tournée di Call me by your name ?"
"Si" mentii. Ormai era inevitabile farlo.
Non poteva e non doveva sapere nulla.  Ancora facevo io fatica a capire  quel cambiamento. Non volevo coinvolgerla.
"Vieni qui" mi disse abbracciandomi e cullandomi tra le sue braccia.
"Scusami"
"Sai che puoi sempre contare su di me."
"Lo so" gli risposi ridendo.
"Hai chiamato Tim?"
"Si e la prossima settimana verrà. E a tal proposito domani sarò a cena dai suoi. È il compleanno di Pauline. Ti dispiace se non ci sarò a cena ?"
"No no tranquillo. Vai pure io uscirò con le altre mamme e i ragazzi saranno dalla nonna."
L'abbracciai più forte che potei. Sperando di trasmettergli quella gioia mista ad eccitazione.
In quel momento però la mia mente pensava solo ad un unico nome: Tim.

Tu sei il mio Oliver ed io sarò il tuo Elio - La Scoperta del CambiamentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora