30. Passano i giorni e più mi pento della nostra fine

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I giorni passano, anche quando meno te lo aspetti. Passano come i secondi e i minuti. Lo fanno velocemente o lentamente, la modalità con cui si verifica dipende solo da noi e dal nostro modo di viverli. Anche quando tutto sembra finito, quando il dolore è sempre più presente che mai, i giorni passano, perché alla fine ci si abitua (non del tutto) a quella sensazione. Ora dopo ora il nostro corpo acquisisce una specie di immunità nei confronti del dolore, consentendoci di stare meglio per poco. Non quando si tratta, tuttavia del dolore di essere stati abbandonati e di aver ferito la persona che ami, perché in quel caso è diverso, ed io ne ero completamente consapevole.
Avevo distrutto un rapporto appena nato ma soprattutto avevo creato un taglio netto alla speranza di poter essere amato. Ora non ero altro che un rottame, perso e irreparabile.
In questi giorni, mi sono convinto che quello che avevo fatto era stato fatto a fin di bene.
Avevo promesso di restarne fuori per non complicargli la vita e  la situazione che stava attraversando. Ma il risultato è stato tutt'altro che salutare per entrambi. Lui mi odierà per questo, e di sicuro è la cosa più giusta. Anch'io mi odiavo più che mai, perché non facevo altro che ripercorrere  quei minuti della fine di tutto, della fine della mia speranza e della felicità.
Avevo distrutto una strada e un cammino che entrambi avevamo percorso ormai del tutto, e il peggio è che gli ho mentito spudoratamente. È stato difficile resistere a non spingermi a piangere e a dirgli che tutto era una farsa e che non aveva senso per niente. E invece lo avevo guardato con uno sguardo gelido, distaccato e vuoto. Per riuscirci mi ero concentrato su un'unica cosa: l'odio che provavo e che provo tutt'ora per Elizabeth, sua moglie.
L' avevo guardato per un secondo e quel secondo mi è bastato a capire che l'avrei perso per sempre.
"Sarà l'ultima volta che ci vedremo. Dobbiamo viver la nostra vita entrambi e io voglio farlo senza di te" gli avevo detto.
Peggio di un colpo d'arma da fuoco. Gli avevo spaccato il cuore. Non sarei stato un traditore, ma un bastardo senza cuore, forse. L'ho dovuto fare per forza perché altrimenti non avrebbe mai retto il senso di quel gesto.
Eppure sono tre giorni che rimpiango tutto, rimpiango me stesso che non ha saputo fermarlo e dirgli la verità una volta per tutte. Come sarebbero state le conseguenze, se non gli avessi detto nulla ?  Sarebbero state peggio di una separazione definitiva ?  Saremmo rimasti almeno amici, pensai.
Ora non eravamo altro che semplici sconosciuti ove l'uno odiavo l'altro profondamente. Invece io continuavo a pensarlo, continuavo a immaginarlo accanto a me mentre gli sussurravo le mie più sentite scuse. Immaginavo noi felici, spensierati, innamorati e uniti. Immaginavo noi in un altra vita dove nessuno era stato ferito brutalmente, dove non esistevano limiti invalicabili come il ripudio di essere diversi o di essere traditori. Una vita dove Timotheé Chalamet era se stesso e non un bugiardo e dove Armie Hammer lo aveva perdonato.
In questi giorni ho solo immaginato questa splendida vita immaginaria che poteva avverarsi se solo io non avessi mai rotto il confine che avevamo superato assieme : il confine dell'amicizia.
Alla fine i giorni trascorsi non hanno fatto altro che aumentare il distacco dal quel confine e aver portato uno nuovo all'interno della mia famiglia, perché i miei genitori avevano capito tutto. Non erano scemi, erano più intelligenti di  me per capire che Armie ed io non eravamo più  dei semplici amici. PERCIÒ gli avevo confessato tutto e  di conseguenza avevano fatto la cosa che per loro era giusta: mi avevano cacciato di casa senza pensarci due volte e senza dare modo di spiegare le cose. Per loro, soprattutto per mio padre ero una vergogna.
Come mi sento? Mi sento uno schifo, perso, solo e felice. Si mi sentivo felice perché almeno sapevo  Armie era al sicuro e che io non gli avrei in nessuno modo  complicato la vita. Ma di certo non resterò fermo a vederlo tradito, io e Elizabeth presto avremmo parlato e questa volta ci saremmo detti la verità. Costi quel che costi.

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"Timmy ora basta. Non ne posso più di vederti amareggiato così. Hai fatto ciò che dovevi fare. Non puoi continuare a torturarti in questo modo." disse Saoirse entrando nella camera dove mi ospitava e sbattendo le ante della finestra per far entrare la luce.
Ero stato due giorni rinchiuso dentro quella piccola camera del suo appartamento, lontano dalle delusioni che mi circondavano. Lontano dalla mia famiglia che mi aveva cacciato e lontano da quel nome che mi tormentava ogni secondo. Pensavo che restando inerme senza far nulla e senza disturbarla, poteva tenerla lontana dal tormento che mi affliggeva, e invece mi sbagliavo di grosso. Avevo provato a restare zitto nonostante il dolore che avvertivo, proprio per impedire che ne fosse coinvolta anche lei. Tuttavia domenica sera dopo che i miei mi aveva letteralmente ripudiato sbattendomi la porta in faccia, l'unica a cui potevo far affidamento era la mia migliore amica: Saoirse.
Così dopo aver litigato con i miei genitori della mia sessualità, l'unico posto in cui  potevo stare era casa sua. Senza esitazioni, mi aveva accolto nel suo appartamento al centro di Los Angeles.
"Allora? Devo trascinarti con la forza giù dal letto? È mercoledì e non puoi rimanere impassibile sul letto. Devi affrontare..."
"Affrontare l'inevitabile disgrazia che ho commesso?" le chiesi.
"Si cavolo. Si Timmy devi farlo per forza o domani sarà peggio quando sei obbligato a vederlo."
"So cosa mi aspetta domani."
A pensarci mi vennero i brividi a ciò che mi sarebbe aspettato l'indomani. Avevo più volte pensato di far finta che fosse un giorno come un altro e non presentarmi affatto. Così sarebbe stato facile sia per lui ma soprattutto per me, per diversi motivi.
In primis non volevo vedere il dolore che sarebbe riaffiorato non appena ci fossimo visti e così farmi ricordare il bastardo che ero stato quella notte; secondo non ero pronto per affrontare una nuova dose di dolore. Quei giorni passati avevo sopportato in malo modo il dolore. Non avevo fatto altro che piangere, gridare e infine guardare il vuoto prendendomi in esso.
Mi sarei sbriciolato senz'altro.
"Dai ora muoviti, lavati e usciamo a far colazione fuori. Mi devi spiegare molte cose. Soprattutto com'è iniziato il tutto."
"Si va bene." Ormai era coinvolta e tenerla all'oscuro era stata una perdita di tempo. Meglio essere sinceri, tanto la situazione sarebbe rimasta invariata.
"Prima però devi chiamare Pauline che mi sta tartassando di chiamate. Ha provato a cercarti da due giorni. Non farla preoccupare."
Mi ero completamente scordato che avevo spento il cellulare. Il rifiuto di sentire qualsiasi cosa aveva fatto innervosire se non impazzire mia sorella. La dovevo richiamare.
"Va bene. Mi lavo, la chiamo e poi usciamo." Le dissi alzandomi di fretta dal letto.
Mi girò la testa e per poco non cadevo se non ci fosse stata Saiorse a sorreggermi.
"Si ma prima cerca di non cadere" disse strappandomi un sorriso
Stavo ridendo  dopo ben tre giorni. Avevo scelto per questo Saoirse anziché Robert. Con lei potevo essere me stesso, senza maschere ma semplicemente il ragazzo follemente innamorato del suo collega.
Mi la vai in fretta il viso e mi diedi una rinfrescata anche al resto del corpo. Mi vestii con la stessa velocità. Ero impaziente di sentire mia sorella. Mi sedetti di nuovo sul letto e dopo un respiro profondo accessi il telefono.
Erano cinque giorni che non sentivo Pauline. Era partita senza che ci fossimo salutati, tuttavia la sera stessa gli avevo mandato un messaggio per augurare una buona partenza senza però ricevere risposta. 
Aveva ragione Sors, Pauline era completamente uscita di senno. Mi aveva mandato più di dieci messaggi e tutti avevano una sola richiesta: " CHIAMAMI APPENA VEDI IL MESSAGGIO"
Andai sulla rubbrica e corsi fino al suo numero e infine la chiamai.

Sicuramente stava aspettando la chiamata perché dopo nemmeno due squilli, mi rispose.
"Ce ne hai messo di tempo fratellino."
"E buongiorno  anche a te. O forse dovrei dire buon pomeriggio ?"
"Buongiorno può bastare."
La sentii sospirare. Stava pensando alle domande da farmi.
"Come procede il viaggio?" Le chiese distraendola momentaneamente dai suoi pensieri, perché sapevo dove coleva andare a parare.
"Tim lasciamo perdere me. Parliamo di te. Perché sei andato via di casa. Mamma mi ha detto tutto."
"Non me ne sono andato via io. Sono loro che mi hanno cacciato di casa."
Le dissi con tutta la rabbia repressa di quei giorni. Ero una vergogna per loro.  Solo perché amavo una persona del mio stesso sesso. Ma questo a loro era considerato disumano.
"Tim. Perché ?"
"Lo sai il perché se no non avresti telefonato..."
"Allora è vero ? È vero che tu e lui siete..." disse dall'altra parte del telefono.
"No non lo saremo mai. L'ho ferito" le disse lasciandomi coinvolgere dal dolore. Le lacrime come se non fossero bastati i giorni passati, tornarono trionfanti a irrigare il mio viso.
Le raccontai cosa era successo il  sabato subito dopo che erano partiti e   il motivo per il quale  avevo  deciso i porre  fine alla mia storia neanche iniziata con Armie.
"Timmy mi dispiace. Io nosti genitori non dovevano. Sai come sono fatti. Io non riesco ancora a crederci e ti giuro vorrei tornare presto. "
"No resta. Sto bene" le mentii. Come sua abitudine se ne accorse subito che qualcosa non andava.
"Tim prendo il primo aereo appena posso. Non affronterai da solo questa storia."
"Grazie. Ti voglio bene"
"Ti voglio bene anch'io" disse riattaccando in fine.
Avrei resistito come sapevo fare ogni volta nelle situazioni difficili. Dovevo andarci e poco importava se il dolore fosse aumentato. Non era molto interessato alla festa del loro anniversario. Volevo restare solo con sua moglie per capirne fino in fondo i motivi di quel suo gesto che mi aveva costretto a porre fine alla mia felicità. Me lo doveva.

Tu sei il mio Oliver ed io sarò il tuo Elio - La Scoperta del CambiamentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora