37. Confessioni

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Non ne ero sicuro del tutto, ma credevo che Armie si era preoccupato eccessivamente per quel barista, certo non è stata una passeggiata ma potevo cavarmela benissimo da solo.
Alla fine, dopo averle confessato tutto,
dovetti ripeterlo tre volte a Sors, che non avevano fatto a botte, anche se la verità era un'altra. Se non fossi intervenuto chissà come si sarebbe evoluta la situazione? Di sicuro Armie non si sarebbe fermato. Avevo avuto paura perché non lo avevo mai visto uscirsene in quel modo.
"Quindi il tizio alla fine che ha fatto?" disse Sors mentre tornavamo a casa.
"Niente e sinceramente non mi frega di cosa penserà." Ed era vero, non mi importava cosa avrebbe fatto o se ci avrebbe denunciato, l'importante era che Armie non si era fatto male. Anche se difficilmente si sarebbe fatto male, dato che era lui ad avere avuto la meglio.
"La gente è proprio strana. Che poi avevo capito che era gay e abbastanza insistente, ma non fino ai livelli da aggredirti." Disse alzando gli occhi al cielo.
"Già" fu la mia unica risposta.
Quando Armie se n'era andato, decidemmo di restare per un' altra ora a Lung Beach finché Sors, stanca per aver giocato con i suoi figli e anche per il fatto che doveva uscire il pomeriggio, decise di rientrare.
"Tim, ma tua sorella quando verrà?"chiese quando imboccammo la Peach St per la via del ritorno.
Mi ero dimenticato che mia sorella sarebbe tornata con tre giorni di anticipo. Dannazione a quest'ora avrà già preso il volo di ritorno e sarà.....
"Cavolo. Pauline...." dissi quasi urlando.
"È tornata -guardai il cruscotto dell'abitacolo che segnava le 15:56- da tre ore..."
"E dove starà ? Non poteva telefonarti?"
Ecco un altro piccolo inconveniente. Non mi ero portato il telefono; non perché non volevo rispondere a mia sorella ma semplicemente non volevo avere la tentazione di chiamare Armie in quel giorno libero. Alla fine il giorno "libero" era stato diverso da come l'avevo progettato e immaginato.Aveva preso una piega diversa grazie a lui. Armie era ovunque, come l'aria. Più cercavo di non pensarci, di non cercarlo e più me lo ritrovavo dovunque andassi. Risi tra me, il destino non stava giocando un brutto scherzo, anzi mi stava aprendo gli occhi su ciò che era evidente fin dai primi giorni delle riprese di Call me by your name. Il cammino percorso delle nostre strade, non era mai stato interrotto, anzi era più fortificato che mai, impossibile da distruggere.
"No perché non ho il telefono" le risposi con tutta sincerità.
"Dio mio Timmy sei irreparabile. Ma come fa Armie a cercarti? Impazzirà senz'altro."
"Impazzisce anche se non ci sentiamo. La distanza gioca un brutto effetto su entrambi."
"Peggio mi sento. Dai forza chiama tua sorella con il mio" disse porgendomi il suo smartphone.
Volevo davvero chiamare mia sorella? Dopotutto avevo risolto tutto con Armie, avendo chiarito il piccolo inconveniente. Tuttavia il dramma famigliare era ancora irrisolto e Pauline era il familiare più vicino che mi era rimasto.
Decisi di chiamarla. Composi il numero e aspettai una sua risposta. Non ce ne fu molto bisogno, Pauline era sempre attaccata 24 ore su 24 al suo telefono. Mi rispose dopo il secondo squillo.
"Alla buon'ora Timotheé. Sei fuggito? Dove siete te e Saiorse?"
Mi mancava il suo terzo grado tipico da sorella maggiore.
"P, siamo arrivando. Siamo stati al mare. Tu dove sei?" dissi incentrando il discorso su di lei. Non volevo ripetermi un'altra volta sull'accaduto del giorno. Quando sarei arrivato a casa le avrei spiegato con calma.
"Di fronte allo zerbino di casa sua."
Wow, il volo di ritorno era stato piuttosto veloce.
Le riattaccai e incitai Sors a sgommare il più velocemente possibile perché sapevo che Pauline odiava aspettare. Detto fatto, come l'andata, Saiorse riuscì a farmi venire il cuore in gola con la sua folle corsa ma questa volta le fui grato perché in nemmeno di venti minuti rientrammo al centro di Los Angeles.
Mi lasciò sotto casa mentre lei si diresse al negozio più vicino per comprare un vestito elegante per l'indomani.
Femmine, pensai sarcasticamente.
Come avevo previsto, mia sorella stava seduta sul valigione vicino all'ingresso.
"Sai potevi entrare, le chiavi di riserva sono sotto al vaso alla tua sinistra" le dissi andandole in contro ridendo.
"E tu potevi dirmelo che eri andato al mare invece di ingnorarmi."
Amavo il modo con cui ci attaccavamo dolcemente. Era sempre stato così dai tempi in cui eravamo bambini.
"Mi sei mancata" dissi abbracciandola forte.
"Anche tu fratellino."
L'aiutai ad entrare con il suo valigione che pesava più di lei. Pensavo che l'avesse lasciato alle Maldive assieme al suo ragazzo. Invece anche lui era ritornato prima dato che la settimana non era andata alquanto bene. Mi aveva raccontato che Giacomo si era preso una brutta influenza intestinale da costringerli a rientrare prima. Mi rincuorò molto sapere che in fondo non era colpa mia se il loro viaggio era finito prima del tempo dovuto. Anche se era egoista pensarlo, non mi dispiaceva che Pauline era li con me; sapere che una parte della mia famiglia che sangue del mio sangue, non la pensava allo stesso modo dei miei, era davvero rassicurante.
Prima di affrontare l'argomento che mia sorella sicuramente stava aspettando più di ogni altra cosa, mi feci una doccia fredda e veloce.
Sotto alla doccia pensai al discorso che avevamo fatto quella mattina sulla spiaggia. Solo a pensarci, potevo sentire la faccia in fiamme. Aveva detto seriamente quello che avevo sentito? Mi aveva sognato nudo mentre lo facevamo? Almeno lui si era aperto con me, io invece non gli avevo confessato di aver avuto strane fantasie e che le stesse mi avevano accompagnato più volte a trovare il piacere. No decisamente no, se solo lo avesse saputo, avrebbe pensato che fossi uno stupido depravato. Eppure non desideravo altro che quelle strane fantasie diventassero realtà e non ero l'unico a volerlo.
Non restai molto a lungo sotto la doccia, giusto il necessario per rinfrescarmi. Pauline nel frattempo era rimasta in salone ad aspettarmi.
Era impaziente di sapere tutto. Tirai un sospiro e iniziai a raccontarle dall'inizio.
"Da dove è iniziato tutto quanto?"
"Dal mio soggiorno estivo nella penisola italiana. La prima volta che l'ho visto sono rimasto indifferente, proprio non riuscivo a trovare niente di interessante. È grazie a Luca che mi dovetti ricredere. Dal momento in cui ci fece fare il giro di Crema in bici, mi ha dato la possibilità di studiarlo bene. Armie sulle prime non è molto socievole ma se riesci a prenderlo nel verso giusto ne rimani incantato. E questo è quello che è successo a me. Da quei pomeriggi piano piano sentivo che qualcosa in me stava cambiando; sulle prime non lo diedi a vedere, ma poi capii che la spontaneità con cui riuscivo a stare bene con lui, non l'avevo mai provato con nessun altro."
"Quindi è grazie al film che ti sei, insomma innamorato del tuo collega, cioè di Armie?"
"Si esatto."
"Lui invece ?"
Non sapevo come rispondere. Da quando Arnie ha iniziato a provare qualcosa per me? Dall'estate del 2017? Oppure dalla notte degli Oscar.
"Non ne ho idea. All'inizio pensavo che fosse solo una mia semplice infatuazione ma poi quando ho dato libero arbitrio al desiderio, non ci ho più visto e lo baciato."
Gli raccontai inoltre che dopo averlo baciato, mi sentivo in colpa con me stesso perché non volevo che le mie emozioni arrivassero a tanto e che potevano rovinare la nostra amicizia. Anche se ora so che non saremmo mai stati semplicemente due amici.
Evitai di dirle proprio tutto ciò che ci eravamo detti in spiaggia perché erano discorsi troppo personali e intimi.
"Quindi se ho ben capito, siete completamente pazzi l'uno del l'altro? Non è cosi?"
"Si. Decisamente." Arrossi leggermente.
"Ma non capisco perché hai dovuto litigarci di brutto. Cosa ti aveva fatto.?
Le potevo dire tutto, tanto oramai era coinvolta anche lei.
"Lui. Armie non ha fatto nulla. Sono io che non volevo e non voglio tutt'ora incasinargli la vita quando di per sé è complicata"
Vedendola più confusa di prima le dissi il vero motivo per il quale avevamo litigato: il tradimento di Elizabeth. Quando lo scoprii era proprio il giorno prima della partenza di mia sorella, e questo, come aveva capito, spiegò il mio comportamento strano e inusuale di quel sabato. Il sabato maledetto che non avrei mai potuto dimenticare. Mi venne la pelle d'oca a ricordare la strada dietro la casa dei miei genitori, che portava verso il luogo dove avevo ferito Armie. O almeno avevo provato a farlo.
Anche Pauline rimase schifata dal comportamento della moglie e anche se non la conosceva appieno, stava pensando perfettamente a ciò che mi ero detto anch'io e cioè che Elizabeth Chamber non era altro che una falsa.
"Ora capisco perché ti senti combattuto Timmy. Tu non vuoi essere come lei."
"Esatto."
"Armie lo sa?"
"No certo che no. È questo il punto a cui non riesco a trovare una via d'uscita. Vorrei dirglielo anzi oggi stavo per farlo, ma non ci sono riuscito. Ho paura che...."
"Lui non ti creda" terminò mia sorella.
Pauline sapeva come mi sentivo e per questo era inutile nasconderle nulla perché non aveva in nessun modo alcun senso.
"Timmy" mi disse prendendomi le mie mani-" la prima cosa più importante di tutte in una coppia o ciò che siete, è la verità. Devi dirglielo e aspettare."
Aspettare? Dovevo aspettare che decidesse da chi parte stare oppure aspettare la fine di tutto?
"E come?" Le chiesi agitato. Aspettare significava mettersi momentaneamente da parte, stare da solo, lasciarlo pensare e gestire la situazione ma soprattutto non turbarlo. Ed io? Io sarei impazzito. Non potevo aspettare perché significava che avrei di nuovo sofferto e sinceramente la prima dose di dolore mi era bastata.
"Non solo devi aspettare. Dovresti metterti da parte perché credo che così non farai altro che incasinargli per davvero la vita dei figli. Per favore Timmy pensaci."
Mi bloccai. Le sue parole furono più forti di un pugno alla bocca dello stomaco. Pensavo che almeno lei, appoggiasse la mia idea di restare a bocca chiusa e continuare ad amarlo. E invece voleva che facessi il contrario, ciò che mi ero già prefissato io e che nessuno dei due aveva accettato come migliore dei modi.
"No cazzo no." dissi alzandomi dal divano e urlandole contro.-" Tu non capisci io non posso. Non riesco nemmeno... ma come fai? Perché mai dovrei ascoltarti"
"Perché io conosco bene mio fratello e so che fa le giuste scelte"
"Io ho scelto. Io voglio lui. Elizabeth non lo merita."
Quel giorno credo che il mio umore era talmente arrivato al limite da sfuggirmi di mano. Passai dalla rabbia alla delusione in un battito di ciglia e due secondi dopo, scoppiai di nuovo in un pianto.
Peggio di una ragazzina maledizione, pensai.
La guardai dritta negli occhi e gli dissi finalmente ciò che non avevo detto apertamente a lui. Non volevo sembrare patetico eppure quel che provavo, non era una cotta, un'infatuazione come avevo pensato precedentemente. Ero totalmente drogato di lui, dal suo corpo, dai suoi occhi azzurri da perdermi dentro e il suo sorriso che ogni volta lo vedevo, facevo difficoltà a ricordare persino il mio nome. Ormai era impossibile pensare a una vita che non coinvolgesse Armie, perché anche una sua minima parte aveva lasciato un segno indelebile sul mio corpo. Un segno che nessuno prima d'ora era riuscita a compiere. Armie era entrato nel mio cuore e difficilmente ne sarebbe uscito.
"Non lo capisci proprio? Dopotutto quello che ho detto
dovresti averlo capito."
"No cosa ?" Mi chiese con tutta la calma
"Non è semplice desiderio. Non è una cazzo di cotta che passerà. Io lo AMO."

Tu sei il mio Oliver ed io sarò il tuo Elio - La Scoperta del CambiamentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora