Da quanto tempo andava avanti la loro storia? Da tre mesi? Da un anno? O da più di un semplice anno?
Lo facevano nella nostra stanza da letto? O da altre parti?
Non riuscivo ancora a crederci. Mi sarei aspettato di tutto ma mai un scempio di quel genere. Sono un coglione, mi dissi. Perché non ero riuscito a capirlo fin da subito. I segnali erano più che evidenti: la calma che manteneva quando ero arrabbiato, i pomeriggi prolungati a lavoro oppure quando si fermava dalla mamma, le corse mattutine, i pranzi saltati, le uscite con le amiche, persino il suo lieve distacco quando facevamo l'amore. Ora era tutto chiaro, erano solo scuse per potersi allontanare e andarsi a divertire. Allontanarsi da me, da i suoi figli per appagare il desiderio con quella specie di uomo.
Aveva dato la colpa a me, perché ero completamente ossessionato dall'unico che mi capiva davvero: Timmy. L'aveva definita una "mia maledizione". Aveva torto, Timmy non era una maledizione ma la mia benedizione. Come si permetteva quella lurida..... non ne valeva la pena arrabbiarsi.
"Stronza" dissi urlando al vento. Ero fuggito da casa, con indosso solo un paio di jeans e una camicia sporca ancora del sangue di Timmy. Non sapevo dove andare. In ospedale mi era vietato l'ingresso, primo perché non essendo un suo familiare, non me lo avrebbero fatto mai vedere e secondo se fosse stato presente il padre, mi avrebbe senz'altro ucciso. Anche lui dava la colpa a me per aver reso suo figlio così com'è. Poco me ne importava di cosa pensasse quel vecchio marciume. Timmy era mio e nessuno mi avrebbe vietato di vederlo. Guardai l'orario nella radio del cruscotto: 01:45.
Era troppo tardi per fare un salto in ospedale. L'unica cosa che potevo fare per poter avere sue notizie era sentire la sua migliore amica.
Accostai la macchina vicino ad una zona disabitata della periferia di Los Angeles. Presi il telefono e composi il suo numero.
Rispondimi, rispondimi. Dopo cinque squilli abbondanti sentii la voce familiare di Saiorse.
"Armie"
"Sors" la chiamai con la stessa maniera con cui la nominava il mio angelo. Ormai eravamo diventati amici stretti che condividevano lo stesso dolore.
"Come sta?" dissi con voce smorzata.
"Stazionario. I parametri vitali sono buoni ma ancora è incosciente."
Quella parola voleva significare solo una cosa: Timmy era ancora perso in un oblio incognito.
"Perché?" gli chiesi lasciando le prime lacrime scendere.
"Dopo che te ne sei andato stava ad un passo per....."
"Andarsene" sussurrai in un flebile tremito. Le lacrime iniziarono a sgorgare più veloci come un fiume che straripava dopo una piena prolungata e impossibile da controllare. Uscirono vittoriose e liberatorie dopo che la tensione di quel giorno era arrivata ormai alle stelle. Rabbia, dolore, paura, e ansia mi avevano prosciugato. Ero senza forze, eppure riuscivo ancora a piangere. Esistevano vari modi di piangere: c’era il pianto irrefrenabile, quello convulso, quello di abbandono, quello di sollievo, quello implorante, quello plateale, quello forzato, rassegnato, di rabbia, di felicità, di gioia, di compartecipazione, di commozione, ect. Il mio invece era diverso, era il pianto della disperazione. Piangevo perché non sapevo se sarebbe sopravvissuto. Piangevo perché non era li con lui.
"Armie non puoi affrontare tutto da solo, io sono qui." Disse dall'altra parte del telefono.
"In ospedale?"
"No a casa. Non potevamo rimanere."
"io non so dove...." cercai di dirle ma non riuscivo a trovare il modo di evitare la voce impastata per il pianto.
"Lynwood, 34 Charley Street. Segui la strada finché non troverai un edificio alto. Io sono li, al quarto piano"
"Arrivo" dissi riattaccandole il telefono. Riaccesi la macchina e partii in direzione di Lynwood.
La zona desolata dove mi ero appostato, si trovava vicino all'Avenue St che costeggiava quasi tutto il centro di LA per poi uscire e ramificarsi con l'autostrada I 105 che portava al mare. Mi immersi nel buio di nuovo, ripensando quando le vite nostre si erano incontrate. Il paese Crema, l'Italia, la villa ha avuto luogo il film e dove credo tutto sia iniziato. Mi venne da ridere, una risata isterica ma spensierata. È proprio grazie al film Call me by your name, che sono cambiato,che ho iniziato ad accettare una vita che un tempo avevo respinto. Era tutto merito di quel ventiduenne francoamericano, dei suoi capelli ribelli, e della sua risata contagiosa. Le prime volte che ci siamo visti, non sembrava molto loquace. Mi era apparso più un tipo introverso e difficile da avvicinare. Invece mi ero sbagliato di grosso perché giro che avemmo fatto nei dintorni della villa italiana, Timmy si era rivelato tutt'altro che una persona fredda e distaccata. Si era lasciato andare sprizzando gioia da tutti i pori. Capii perché era così felice. La mia compagnia lo rendeva così diverso da quello cupo che avevo conosciuto. Credo che fu proprio quel soggiorno italiano a farmi capire che non mi ero mai sentito così sereno in presenza di qualcuno. Lasciai la mia mente vagare per altri minuti in quei dolci ricordi. Ricordare era necessario per sopravvivere in quel limbo d'incertezza che galleggiava attorno a me, attorno a lui.
Come aveva detto Saiorse, subito dopo aver percorso tutta l'Avenue St, mi ritrovai in Charley St. Il palazzo grigio era proprio di fronte dove mi trovavo io. Parcheggiai la macchina tra un furgone bianco e una decappottabile. Questa volta la chiusi , perché era l'unico oggetto che mi era rimasto e farmela rubare era l'ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento.
Salii a piedi fino al quarto piano ed entrai nel suo accogliente appartamento.
Ci guardammo per diversi minuti. Aveva la mia medesima espressione. Viso contratto, occhi gonfi e rossi per aver pianto troppo e uno sguardo perso. Esatto, mi sentivo perso in un mare incognito e anche Sors era sulla mia stessa barca. Una barca che aspettava impaziente di attraccare in un porto sicuro dove il nostro Timmy ci avrebbe aspettati sicuramente.
L'abbracciai e anche lei ricambiò quel gesto così affettuoso e così bisognoso. Condividere lo stesso dolore sembra che non aiuti affatto, e invece a volte sottovalutiamo troppo il bisogno di essere aiutati. Io in primis ho sempre cercato ti combattere da solo di cercare di rimanere a testa alta, quando nel mondo esterno c'era gente che non credeva in me. Ho affrontato mille problemi convincendomi di essere invincibile. Eppure eccomi qui tra le braccia di Saiorse, incapace di fare qualsiasi cosa.
"Timmy ce la farà. È un combattente."
disse per convincersi.
"Si ce la farà. Ci aspetterà vedrai."
"Armie che cos'hai. Non sei addolorato solo per Timmy. C'è dell'altro?" Domandò staccandosi quel tanto da poter veder la sofferenza che aleggiava nei miei occhi.
"Mia moglie..."
"Quindi hai scoperto tutto" era una constatazione e una domanda.
Com' era possibile?
"Che significa?" Chiesi leggermente sorpreso.
Sors era in evidente difficoltà.
"Non so se dovrei dirtelo ma tanto non cambierebbe la situazione." Disse spostandosi i capelli dietro l'orecchio.
"Timmy sapeva tutto Armie. Prima che parli fammi finire - disse mettendomi un dito sulle labbra- Timmy sapeva che tua moglie ti stava tradendo. È successo un sabato mentre era in giro con la sorella. Era andato in una libreria e li ha sentito quello che tu già sai.
Non avercela con lui. Non sai quanto era combattuto nel dovertelo confessare. Odiava se stesso per aver origliato quel discorso. Odiava di più tua moglie per aver rovinato un matrimonio.
Ecco perché Timmy ha provato a lasciarti. Lui non voleva essere un traditore come..."
"Mia moglie"
"Esatto. Timmy ha avuto anche una discussione il giorno prima della tua festa. Pierre lo aveva minacciato di tenere la bocca chiusa altrimenti sarebbe successo un casino. Tanto non è servito a nulla perché come tu sai..."
"Timmy è testardo."
Lui sapeva tutto e stava combattendo una guerra che non era di sua pertinenza. Una guerra dove aveva perso. Aveva tenuto tutto per se perché non voleva che ne fossi coinvolto, prendendosi tutte le responsabilità di una scelta folle come quella. Era stato folle nascondersi, folle affrontare il mio tradimento. Non ero arrabbiato con lui anzi ero dannatamente più convinto che a nessuno importavo se non a lui. Aveva provato inoltre a porre fine alla nostra relazione, per non devastare ancor di più la mia vita e quella dei miei figli.
Questo era amore, non quello di Elizabeth. Sacrificarsi per il prossimo che ami.
Timmy era davvero il mio angelo custode, il mio tutto e la mia personale benedizione.
"Io voglio vederlo. Non ce la faccio più ad aspettare. Potrebbe esserci nemmeno una via di ritorno."
"Ascoltami Armie . Non andare nel panico perché non serve a niente. Timmy è in buone mani e si risolverà tutto. Lo spero" disse voltandosi verso il pastore tedesco che stava scondinzolando vicino alla sua cuccia.
"Kelly vieni qui. Guarda chi c'è. È Armie il ragazzo di Timmy."
La guardai incuriosito. Era la prima volta che usava quel termine e aveva ragione nell'ammetterlo. Eravamo diventati qualcosa io e Timmy. Il mio "ragazzo" dissi scandendo mentalmente la parola.
"Ciao piccola" dissi accarrendole le orecchie.
"Superete anche questo Armie. Sono fiduciosa. Timmy è forte come lo sei tu."
"A volte vorrei essere perfetto e invincibile per lui, per me."
"È impossibile esserlo. Siamo umani e la perfezione non esiste"
Mi lasciò il tempo necessario per farmi un doccia e rilassarmi qualche minuto. Seguì il suo consiglio, non dovevo caricarmi di preoccupazioni inutile. Timmy era in buone mani, il dottor Halstead mi era sembrato preparato ed efficiente nel suo lavoro. Sospirai e mi lasciai invadere dalla sicurezza di quell'idea e dal calore prodotto dalla piccola doccia.
Dopo essermi docciato, indossai di nuovo i vecchi jeans e una camicia azzurra larga di Timmy, larga per lui ma sufficiente per me. Mi guardai allo specchio. Avevo il viso distrutto per il dolore e gli occhi ancora rossi.
"Timmy amore mio non abbadonarmi" dissi.**************************
La luce che avevo di fronte era diversa da come me l'aspettavo. Non era più luminosa e accecante come prima. Quella a confronto era più opaca e azzurognola. Ero nello stesso luogo? Mi voltai leggermente prima da un lato e poi dall'altro. No, non era lo stesso luogo. Attorno a me erano comparse finestre, dei macchinari, le sponde di un letto e sulla mia sinistra, un carello con sopra dei medicinali. Non sbagliavo allora, ero per davvero in un ospedale.
"Finalmente ti sei svegliato..." disse una ragazza mulatta.
"Dove mi trovo"
Che voce. Ma era mia?
"Sei al Good Samaritan Hospital. Sei qui da ieri sera. Hai perso conoscenza per un bel po' signorino"
Quindi non ero morto? Ero più che convinto che l'abisso in cui stavo sprofondando fosse l'oscurità della morte che mi stava richiamando a sé. E invece no era la mia solita fervida mente insana che mi stava facendo rivivere l'accaduto.
Ad un tratto ricordai tutto con precisione. Pierre che mi picchiava a sangue, Elizabeth che gridava di fermarsi, Armie che piombava addoso al suo amico e poi la corsa impazzita verso l'ospedale.
Ero più che vivo. Girai la testa verso il tubo, ma non vidi nulla. Eppure ero sicuro di avercelo avuto.
"Dov'è il..."
"L'abbiamo tolto qualche ora fa. La tua respirazione è tornata ad essere più che ottimale" disse sorridendomi.
Dov'erano gli altri? Il mio Oliver? Sors?
Volevo vederli, volevo rassicurarli che il peggio era passato, che ero tornato.
"Puo chiamare i...."
"Stanno arrivando. Presto lo rivedrai."
Lo aveva detto sul serio? Aveva detto lo rivedrai.
Piansi dalla gioia perché presto avrei rivisto il viso della mia vita.**************************
Andai nel piccolo salottino e Kelly mi saltò addosso in cerca di coccole. L'accontentai grattandole le orecchie. Sors era seduta in cucina di fronte ad una tazza di camomilla fumante.
"Ne ho fatta un po' di più. Se ne vuoi la tazza la trovi alla tua sinistra"
Feci come aveva detto, versandomene un po' all'interno di una tazza a forma di gatto. Mi avrebbe un pochino aiutato a calmarmi. Mi sedi di fronte.
"Sors" le dissi.
"Ancora non mi capacito Armie Non ci credo che sia successo veramente. Eh invece è tutto vero"
Le accarezzai una mano. Sapevo bene cosa sentiva perché me lo stavo chiedendo da diverse ore. Non servivano parole, ne sguardi. Il nostro dolore era silenzioso ma ben visibile.
Presi le due tazze vuote e le depositai nell lavandino.
"Riusciremo a..." non riuscii a terminare la frase perché il telefonino di Saiorse squillò interrompendo il silenzio forzato.
Il cuore iniziò a martellare all'interno del petto. Ti prego, ti prego, non farmi sentire ciò che temo di più, pensai.
"Pauline" rispose Sors con la voce rauca.
La fissai intimorito da ciò che avrebbe potuto dire. A sua volta guardava dritta davanti a senza muove un muscolo. Era completamente presa dalla discussione. Cercai di scuoterla per sapere qualcosa ma l'unica risposta che ebbi fu la sua mano che mi allontanava. Dannazione, cosa stanno confabulando? Timmy era.. non riuscii a pensare una cosa del genere. Non poteva essere vero e mai lo sarebbe stato.
Finalmente una reazione su quel viso pietrificato. Era un l'ombra di un.....
"Sorridi?" chiesi scettico. Tum tum tum, il cuore aveva ingranato la quinta e danzava folle sotto l'effetto della paura.
"Glielo dico subito si si. Arriviamo arriviamo" disse in lacrime. Era contenta? Che cosa stava succedendo?
"Diamine che sta ...." non mi lasciò terminare la frase che subito me la ritrovai avvinghiata addosso.
"Si è svegliato"
Senza darle una risposta mi unii anch'io a quel pianto familiare, liberatorio ma soprattutto pieno di gioia.
Il mio angelo aveva aperto di nuovo gli occhi, pronto ad affrontare un nuovo giorno. E quel giorno lo avremo incominciato assieme.Nota dell'autore: Ragazzi e ragazze Buona Pasqua ❤❤.
Ci vediamo martedì
STAI LEGGENDO
Tu sei il mio Oliver ed io sarò il tuo Elio - La Scoperta del Cambiamento
Fanfiction!!!!!!!! IN REVISIONE !!!!!!!! «...replicai il gesto di quella notte, portando questa volta, le mie labbra umide e calde su quelle di Tim. E questa volta senza nessuna esitazione, senza paura e vergogna, ma solo e semplice desiderio di averlo...» ...