41. Se impari a domare il fuoco il resto è facile

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Davvero non riuscivo a prendere una decisione concreta. Nemmeno la vicinanza di Armie riusciva a calmarmi. Pensavo solo ad una cosa: lui era qua e la traditrice faceva finta di nulla. Perché mai invitarlo alla festa, sotto il suo stesso tetto ma soprattutto in presenza di Armie? Perché sbeffeggiarlo in quella maniera? Non sopportavo l'idea che Elizabeth si muoveva in casa sua come se nulla fosse successo. La odiavo più di ogni altra cosa, persino più di Pierre. Avevo imparato a mie spese che più mi sarei intromesso nella loro passione fuocosa e più mi sarei facilmente scottato. Avevo imparato inoltre che se volevo maneggiare quel fuoco dovevo essere cauto, intelligente e soprattutto agire solo in presenza di una singola persona. La singola persona che aveva dato inizio al tradimento.
Sapevo come e dove muovermi, l'unica problema invalicabile era la mia mancanza di coraggio nel raccontare tutto ad Armie. Non volevo a tutti i costi rovinargli la serata ma soprattutto il nostro "noi". Mi aveva confessato che mi amava e questo era la cosa più dolce che abbia sentito da lui. Lo baciai un'altra volta in quella piccola stanza segreta  che era il suo rifugio personale. Le sue labbra erano avide tanto quelle mie, ma dolci nei loro movimenti sinuosi e perfetti. Gli baciai il collo, le orecchie, le guance e poi mi fermai ad osservarlo nel suo familiare mare azzurro.
"Ti amo anch'io" gli dissi pienamente convinto. Era la verità, non conoscevo persona migliore di lui. Nessuno poteva eguagliarlo.
"Cosa ti preoccupa così tanto Timmy?" Mi chiese appoggiandosi su una poltrona declinabile  e facendomi segno di raggiungerlo.
Mi sedei delicatamente sulle sue ginocchia mentre  cinse le sue braccia attorno al mio torace, appoggiando la sua testa  sulla mia schiena.
Gli avrei detto la verità una volta per tutte, ma non li, non in quel momento e non quando di sotto c'era sua moglie con il suo "divertimento" che faceva bella mostra tra gli invitati.
"Abbiamo altri cinque minuti per noi, perciò possiamo ancora parlare."
Quella parola noi. Finalmente eravamo diventati un "noi" e difficilmente saremmo cambiati. Eppure le cose che gli tenevo nascoste avevo paura che rovinassero cio che eravamo appena diventati. Tuttavia dovevo farlo, dovevo farlo per lui.
Voleva sapere a tutti i costi il motivo del mio turbamento. Decisi di parlargliene ma preferii usare il trucchetto della psicologia inversa.
"Chi è il tizio che ha aperto la porta?" Gli buttai il discorso facendo finta di non sapere chi fosse.
"Intendi Pierre? Beh è un mio vecchio caro amico. Frequentavamo il college assieme. Non lo vedo da una vita."
"E che tipo è?"
"Un omone palestrato, sicuro di sé stesso e anche un pochino arrogante. Ma è fatto così, se lo conosci non è affatto male. Perché me lo chiedi?"
Gli dissi che a prima vista non mi sembrava tanto di buona compagnia.
"Si lo so può sembrare un tipo freddo ma se ci parli è forte. Sei preoccupato per lui?"
Era evidente la mia ansia perché non sapevo come non farla trapelare.
"No è che mi ricorda una mia vecchia conoscenza"
"Non ci pensare. Anzi sai cosa mi ha detto che nella libreria di cui lui e proprietario, la prossima settimana si terrà un firmacopie di un cantante che piace a te: Styles"
"ah" gli risposi.
"Vorresti andarci? Usciremo un po'. Staremo solo io e te."
L'idea di rimanere soli era senz'altro una proposta allettante. Desideravo passare ogni secondo delle mie stupide giornate accanto ad Armie in qualsiasi posto, tranne però in quel buco di libreria. Non volevo più rimetterci piede. Fin troppe cose erano successe li dentro e non avrei permesso che una nuova situazione avrebbe coinvolto anche Armie. No assolutamente no.
"L'idea mi piace. Ma... è meglio se andiamo piano. Tua moglie può scoprirci e non mi va di complicarti le cose. Magari un'altra volta."
"Va bene." Rispose senza staccarsi dalla mia schiena.
I cinque minuti di orologio alla fine si erano trasformati in un buon quarto d'ora. Non potevamo restare altri minuti oppure i suoi amici o i suoi parenti avrebbero sospettato qualcosa.
Ritornammo così giù alla festa tuttavia distanti l'uno dall'altro, giusto per non destare attenzione. Armie tornò accanto a sua moglie che stava discutendo con alcune sue amiche. Buttai un occhio verso il piano forte all'angolo a sinistra, dove Pierre stava assaggiando delle tartine. Guardai la mia amica invece intenta a parlare con un ragazzo dell'età di Armie, sicuramente un amico suo. Risi tra me nel vedere il modo con cui rideva Sors. Quel gesto apparteneva all'insieme che avevo definito "la tripletta dell'innamoramento". La prima di quella triade era senz'altro il gesto di fare la falsa risata. Era falsa perché veniva  fatta in assenza dei segni di Duchenne e stimoli reali. La seconda invece consisteva nel toccarsi i capelli che equivaleva ad essere in imbarazzo. La terza, l'ultima che aveva appena messo in atto, era lo sguardo da cerbiatta. Eh brava Sors, pensai.
Ritornai sui miei passi e sentendo lo stomaco brontolare di nuovo, mi fermai anch'io a prendere qualcosa. Questa volta puntai su un vassoio all'interno del quale c'erano dei cestini ripieni di verdure e altri con carne e salsa rosa. Ne presi due di ciascun tipo.
"Potresti toglierti." disse qualcuno alle mie spalle scansandomi.
"Ma che modi" risposi e mi rigirai a vedere chi fosse il cafone della situazione. Ovviamente era il buon samaritano nonché pessimo amico di Armie.
"Pierre" ringhiai tra i denti.
"Non credevo che venissi anche tu. Non dopo quello che ci siamo detti" disse lui divertito dal mio modo.
Lo fissai negli occhi sperando di cercare di intimorirlo.
"Potrei chiederti la stessa cosa io."
"Il chihuahua ha tirato fuori i denti. Dimmi un po' che intenzioni hai questa sera?"
Allora era preoccupato, pensai. Aveva paura che lo minacciassi di fronte a tutti ma soprattutto di fronte ad Armie. L'idea era più che arcigna e attraente, ma tuttavia non rientrava nel mio piano. Armie non doveva essere coinvolto.
"Sono cazzi miei di quello che faccio. E se permetti vorrei mangiar in santa pace." Prima di andarmene afferrò il coprigiacca e senza farsi vedere mi strinse forse il costato.
"Ti tengo d'occhio ragazzino. Non cercare di fare stronzate o te la vedrai con me"
Il dolore della fitta mi spinse ad annuire.
"Bene goditi la serata"
Se ne andò verso la cucina a parlare con altre persone mentre io rimanevo immobile e paralizzato. Avevo paura dannazione. Era più forte di me  e per questo non  sapevo come muovermi. Dovevo solo parlare con Elisabeth ma sarebbe stato impossibile senza essere scrutato dal suo sguardo omicida. Posai il piatto nella tavola accanto e andai verso la mia amica.
"Sors ti prego possiamo parlare" gli dissi intromettendomi nel loro discorso.
Volevo andarmene al più presto. Non volevo più rimanere un secondo di più dentro quella casa.
"Che succede?" Chiese una volta allontanati da Colin.
"Vedi quello laggiù" dissi indicando l'uomo di spalle.
"Si ? Chi è?"
"È lui." non volevo fare tanti giri di parole, avrebbe capito al volo a cosa mi stavo riferendo.
"Non è possibile. Qui . È proprio sotto al naso. Dio santo... ma come..."
"Shhh fai silenzio.... mi ha appena minacciato" le sussurai a bassa voce.
"Cooosaaa?" disse quasi urlando.
Anziché rispondere, la presi sottobraccio e la portai al piano di sopra. Erano bastati pochi minuti  a farmi imparare a memoria ogni centimetro di quella villa. Ci fermammo di front alla camera loro. La guardai un momento e per un attimo mi chiesi quante volte Elizabeth aveva fatto sesso con Pierre in quella stanza, nella loro stanza. Mi vennero i brividi per la repulsione che provavo.
"Cosa sta succedendo Timmy? Perché ti ha minacciato? E cosa vuole da te?"
"Beh non ti arrabbiare ma ieri ci siamo incontrati per puro casa nella sua libreria e io non ci ho visto più. L'ho picchiato, o meglio gli ho sferrato un pugno."
" Tu cosa? Perché non mi hai detto nulla? Da quando abbiamo segreti?"
Disse  guardandomi furiosa. Ci mancava solo che litigavamo e la serata sarebbe stata il massimo del disastro. Provai a calmarla dicendole la verità.
"Ti prego lasciami finire. Non ti ho detto nulla perché non mi andava di farti preoccupare. So gestire le cose"
"Farmi preoccupare? Gestire le cose? Quel tizio ti ha messo le mani addosso e ora te lo sei ritrovato alla stessa festa, dove per giunta ti ha anche minacciato. Non mi sembra affatto che sei in grado di gestirla."
"No invece. Posso farcela."
"Promettimi che da ora in poi non ti intrometterai più."
Non potevo garantirlo. Non dopo che mi aveva dato valido motivo per vendicarmi. Avrei colpito Elizabeth non Pierre.
"Non posso. Lei deve farla finita così Armie vedrà  chi ha di fronte."
Questa volta Sors perse la pazienza come non aveva mai fatto prima d'ora. Mi afferrò il braccio e con sguardo furioso e anche preoccupato mi disse:
"Timmy ti prego restane fuori, Armie lo scoprirà prima o poi e tu non dovrai fare altro che aspettare. Ti prego non seguire quella stupida testa che ti ritrovi o ne pagherai le conseguenze. Vuoi o no stare con Lui? Se stasera tutto degenerasse, lo avrai per sempre perso."
"No non posso aspettare. Sono stufo di vedere come quella meretrice - finalmente avevo usato quel termine- prende in giro Armie. Lui non se la merita."
"Cosa non dovrei meritarmi?" disse vedendoci fermi di fronte la camera sua. Per poco non caddi per lo spavento. Aveva sentito tutto? Merda, spero di no. Ti prego fa che non abbia sentito nulla di quel discorso, dissi mentalmente
A smorzare quel silenzio di tomba fu Saiorse.
"Niente stavamo parlando di fatti nostri" gli disse brusco.
"Scusatemi allora. Ero venuto a vedere che fine avete fatto. Non pensavo che...." non terminò la frase che subito tornò sui suoi passi. Prima di raggiungerlo, mi voltai di nuovo verso la mia amica guardandola con fare determinato. Aveva capito: non  sarei stato fermo.


Tu sei il mio Oliver ed io sarò il tuo Elio - La Scoperta del CambiamentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora