39. Vorrei sapermi non fermare

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Tremavo ancora, nonostante ero al sicuro in casa. Tremavo non perché avevo avuto paura ma perché ero arrabbiato. Ero arrabbiato con me stesso per essermi lasciato andare in quel modo. Pensavo di fare una cosa giusta, nel scoprire le ragioni di quel tradimento e invece ho combinato poco e nulla. Perché più fai le cose per il verso giusto e più diventano complicate? Perché tutto mi si deve ritorcere contro?
La verità è che situazione mi stava sfuggendo di mano. Avevo puntato male il soggetto da colpire. Pierre era tosto e invalicabile, ma soprattutto impossibile da ragionarci.
Mi ero lasciato guidare dalla rabbia che provavo per lui, per questo ho sbagliato tutto. Il prezzo di tutto ciò è che non ho combinato nulla se non farmi nemico Pierre e le sue possenti mani. Avevo ancora un leggero mal di gola che sarebbe andato via nel giro di ventiquattro ore; invece l'alone rosso alla base del collo, beh quello ci avrebbe messo più tempo. Più tempo ci avrebbe messo a guarire, più scuse avrei dovuto inventarmi con chi mi era attorno. Cosa avrebbe pensato Armie nel vederlo? Gli avrei detto la verità?
La prima ad accorgersene fu mia sorella subito dopo essere rientrati dal centro commerciale mentre mi toglievo la camicia e indossavo al suo posto, qualcosa di più comodo per casa.
"Tim cos'hai fatto al collo?"
Era così evidente il segno lasciato dalla camicia dopo quella stretta micidiale. Dopotutto me l'ero cercata, l'avevo picchiato per primo e come conseguenza, la sua reazione era il minimo che potesse succedere.
Avevo giocato con il fuoco, e mi ero scottato ed avevo imparato. Domani saprò fare meglio, pensai.
"Niente di che, ho stretto troppo la camicia" le dissi.
Pauline si fermò solo per quella sera perché l'indomani sarebbe tornata a casa nostra. Ormai mi ero fatto un'idea chiara del concetto "casa" o meglio avevo finalmente capito il senso di una frase che avevo letto in uno dei miei tanti libri di poesie francesi.
Il testo diceva che «Una casa non è una questione di mattoni, ma di amore. Anche uno scantinato può essere meraviglioso». Per me era proprio così. Bastarono pochi giorni a farmi capire che Sors e il suo piccolo appartamento era il mio "scantinato". Pauline aveva cercato più volte di dissuadermi dall'idea di rimanere li. A Sors non gli creava problemi anzi era felicissima di avermi li con lei, almeno aveva qualcuno con cui parlare, citando le sue stesse parole. Mia sorella tuttavia restava convinta che dovevo io, fare il primo passo: telefonare ai miei genitori.
Quel discorso era uscito fuori durante la cena mentre mangiavamo cibo thailandese take away.
"Timmy vedrai è una cosa passeggera, i nostri, mi correggo mamma non è felice che tu te ne sia andato via in quel modo. È triste."
"Io non me ne sono andato. Mi hanno cacciato loro. Il discorso è diverso. E poi te l'ho già detto io non farò nemmeno un passo. Saranno loro a chiedermi scusa."
"Lo sai che non lo faranno mai. Nostro padre è l'uomo più orgoglioso di questa terra. Ti prego fallo almeno per la mamma." mi implorò.
Saiorse se ne stava in silenzio ad ascoltarci, senza intromettersi nel discorso. Sapevo però che la pensava come mia sorella. Anche lei quella mattina mi aveva detto che dopo aver chiarito con Armie avrei dovuto chiarire anche con la mia famiglia.
"Io sono molto più orgoglioso di lui e per mamma non mi frega nulla."
Pauline mi osservò con uno sguardo deluso. Poco m'importava se era delusa, non avrei mai cambiato facilmente l'idea di non farmi sentire. I miei genitori erano stasi palesemente chiari: per loro, soprattutto per mio padre, ero la vergogna della mia famiglia.
"Fai come vuoi" mi rispose. Il discorso terminò li e la cena anche.
Mi rintanai nella piccola stanza dove alloggiavo. Pauline sarà anche una buona sorella, ma certe volte sapeva farti perdere le staffe facilmente e in quel momento, forse anche per via dell'intera giornata, il mio umore era proprio pessimo. Provai a leggere i libri che avevo comprato la settimana prima. Ne scelsi uno a caso. Dopo solo cinque minuti lo richiusi perché non riuscivo a immergermi in quelle poche parole del genere thriller. Il problema era che la mia mente non voleva collaborare. Era incentrata su troppe questioni, da non poter nemmeno lasciarmi il tempo di leggere. Vagavo in un vortice di pensieri ove i protagonisti erano sempre gli stessi: Armie, Elizabeth e il suo tradimento e ora persino Pierre assieme alla mia famiglia.
L'unica cosa che poteva tenermi occupato e forse anche distogliermi da tutte le preoccupazioni, consistenteva in un'unica persona: Armie.
Senza perdere tempo a pensare, presi il telefono e composi il suo numero. Avevo bisogno di tornare a respirare di nuovo normalmente e lui era l'unico a fornirmi la giusta dose d'aria necessaria.

Tu sei il mio Oliver ed io sarò il tuo Elio - La Scoperta del CambiamentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora