47. Ci sarà una fine?

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Una stanza bianca, nessun rumore, nessun filtro d'aria. Sento solo il mio battito cardiaco accelerare sempre più. Il fiato si fa sempre più corto. Le mani sudano con la stessa regolarità e la testa gira come una trottola. Respiro lentamente scendendo i due atti: Inspira ed espira, inspira ed espira, inspira ed espira.
Ma non aiuta affatto, sento solo che sto perdendo il controllo di tutto, del mio corpo, della mia vita. Sto precipitando nel baratro?
Ho paura, perché non so dove mi trovo, ho voglia di gridare ma se lo facessi sentireii solo l'eco opprimente che mi sbatte la verità in faccia: da qui non uscirai facilmente.
Ci doveva essere per forza una via d'uscita, anche se le pareti bianche e così luminose raccontavano diversamente ciò che speravo ardentemente.
"Aiutatemiiii" gridai in un pianto liberatorio.
Perché dovevo subire tutto questo? Cosa avevo fatto di male per meritarmi una gabbia come quella?
D'un tratto mi parvero davanti agli occhi, un'altra gamma di flash.  Un'accozzaglia di immagini sfocate e troppe movimentate, parole senza senso e persino odori.
Rividi me steso a terra, con le mani parate davanti per difendermi da non so chi. Un uomo alto, muscoloso e rosso di rabbia? C'era una figura femminile dietro di lui, vestita di verde, con lunghi capelli, che piangeva. Una donna alle sue spalle che gridava il mio nome.
«Non Timmy no. Fermatii...»
Poi l'immagine cambiò  e si proiettò in un'atmosfera che avevo già percorso, che già conoscevo bene.
Mi ritrovavo sdraiato su un sedile di una macchina, adagiato sulle braccia della mia migliore amica. Vidi Armie che si girava ad accarezzarmi il viso e piangere per non so cosa. Entrambi piangevano. Volevo dirgli che non c'era bisogno di piangere perché stavo bene. Perché mai piangere ?
Vederli così addolorati mi rattristrava troppo ma soprattutto avrei voluto abbracciarli, e baciare il mio Oliver devastato dal dolore, rassicurarlo che dopotutto non c'era motivo di essere tristi. E invece ero fermo, immobile e incapace di emettere anche solo un suono.
La stessa immagine da sfocata divenne più vivida consentendomi il tal modo di raccogliere più particolari che non avevo avvertito prima. Osservai sempre il mio corpo , che ora sembrava piegato con le mani appoggiate sulla sinistra. Perché ero piegato in quel modo? Sentii l'aria che entrava dai finestrini solleticarmi il viso. Quest'ultimo era bagnato, caldo,gonfio e sporco. Sentivo un odore di ruggine misto a sale. Sembrava sangue ? Perché stavo sanguinando?
Con la stessa velocità con cui i flash d'immagini apparvero, scomparirono in un batter d'occhio lasciandomi  di nuovo solo in quello spazio indefinito e freddo. Cosa volevano significare le immagini? Il sangue, qualcuno che mi picchiava, Armie e Sors che piangevano per qualcosa che non capivo. Mi guardai: indossavo lo stesso grembiule azzurro aperto solo sulla schiena; il tubo era sempre attaccato al costato sinistro e se chiudevo gli occhi non scompariva; la macchia invece era diventata più piccola e circoscritta attorno al punto d'ingresso di quell'arnese strano e rigido. Tastai leggermente il livido formatosi e mi accorsi che anche il dolore era, pur sempre presente, ma più lieve.
Collegai quelle piccole cose che avevo  con ciò che avevo ricordato:  il camicie, il tubo, il dolore, il sangue, la macchina che sfrecciava nella notte.
Armie che piangeva e che diceva che tutto sarebbe finito al più presto. Sors che gridava «respira male».
Capii cosa mi stava succedendo, non ero in un una stanza qualunque, mi trovavo in una stanza d'ospedale, tuttavia senza un lettino, una finestra o macchinari. Niente di niente.
Ma perché? Perché mi avevo portato lì? Nello stesso istante in cui pensai ad una risposta plausibile, il cuore prese a volare più veloce di prima, sembrava che volesse uscire dal petto. Sentii che il dolore stava aumentando a dismisura e solo dopo, la stanza che era fin sempre stata bianca, iniziò a tinteggiarsi di tonalità più scure.
Bianco crema.
Grigio cenere.
Grigio scuro.
Nero onice.
Nero tenebra.
Mentre sprofondavo in quell'abisso, la mia mente consapevole di ciò che stava succedendo, proiettò l'unico pensiero, l'unica persona che volevo che mi stesse accanto per un ultima volta accanto: il mio Oliver.
"Continua a far battere il tuo cuore" disse con la sua voce calda e sottile.
"Armie" gli dissi.
"Sono qui amore mio. Ti prego continua a combattere."
Combattere per cosa? Perché non potevo lasciarmi andare a quella dolce sensazione di pace che emanava quel briciolo di oscurità?
"Combatti. Combatti."ripetè la sua voce perfetta.
Lui voleva me, voleva che rimanessi li con lui. Dovevo combattere perché mi stava aspettando. Armie mi stava aspettando.
La stessa oscurità in cui ero inizialmente piombato, scemò sempre più velocemente, lasciando posto alla familiare tonalità chiara di quella stanza infinita.

Nero tenebra.

Nero onice.

Grigio scuro.

Grigio cenere.

Argento.

Bianco crema......

Sono di nuovo al punto di partenza, pensai aprendo gli occhi.

Tu sei il mio Oliver ed io sarò il tuo Elio - La Scoperta del CambiamentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora