"Timmy timmy, ti prego svegliati." disse Saiorse dal sedile posteriore, cercando di tenerlo sveglio.
Avevamo lasciato la festa in fretta e furia per dirigerci verso l'ospedale più vicino. Non sapevo se le lesioni riportate da Timmy fossero serie o no, perciò la sua amica e mia moglie avevano suggerito di portarlo al pronto soccorso. Non riesco ancora a credere a ciò che è accaduto. Le mani di Pierre addosso al mio piccolo, mentre lui inerme e fragile restava impassibile difronte a quella furia di cento chili. L'unica cosa che ho pensato in quel momento era "NON LUI. NON LUI" e senza perdere tempo mi sono buttato su quello che credevo fosse un amico. Mi hanno dovuto tenere in due perché altrimenti lo avrei ucciso. Anche ora che ripenso a quell'essere, se così posso definirlo, mi fa ribollire di rabbia. Guardai dallo specchietto retrovisore il viso del mio piccolo angelo ora tutto tumefatto e sporco di sangue secco. A quella vista, non so se per via della tensione arrivata ai limiti possibili o per la sua fragilità, scoppiai in un pianto silenzio.
"Arm" disse con voce spezzata.
Mi rigirai e con un mano gli accarezzai il viso mentre conl'altra tenevo ben saldo il manubrio.
"Timmy amore mio, stiamo arrivando presto sarà tutto finito...."
"Armie ti prego fai il più veloce possibile, respira malissimo"
Non me lo feci ripetere un'altra volta. Affondai al massimo il pedale dell'acceleratore e suonando clacson mi feci strada in mezzo alle altre macchine. Per nostra fortuna o per via di qualcuno dalla su, capirono che era un'emergenza e ci lasciarono libero accesso. I cartelli stradali riportavano che il primo ospedale distante cinque chilometri da dove eravamo, era il Good Samaritan Hospital.
"Siamo quasi arrivati" dissi più per convincere me che loro.
Ti prego fa che non sia nulla di grave, fa che non sia nulla di grave, pensai velocemente. Dopo nemmeno dieci minuti di corsa sull'autostrada I 209, arrivai all'ingresso principale del pronto soccorso. Lasciai la macchina li e incurante del fatto che avrebbe potuto creare fastidio, presi tra le mia braccia Timmy e assieme a Saiorse corremmo dritti al gabbiotto della sala triage. Un'infermiera vedendoci arrivare si precipitò verso di noi.
"Vi prego aiutatelo" disse in lacrime Saiorse.
Altre due infermiere presero una barella invitandomi a depositarlo sopra.
"Cos'è successo?" chiese l'infermiera di colore di nome Sheila.
"Una rissa ... il mio ....." non sapevo cosa dire.
"Suo figlio ha fatto a botte? Dov'è stato colpito?"
A stento riuscivo a capire quello che diceva per fortuna che c'era la sua migliore amica a prenderne le mie parti.
"Si sono zuffatti ad una festa. Timotheé ha litigato con un nostro amico e si sono presi."
"Claire chiama il dottor Holstead qui abbiamo un codice giallo se non rosso. Portatelo al Trauma 3 - disse la caposala del pronto soccorso ai colleghi che avevo preso Timmy e infine vedendoci preoccupati aggiunse-" ci penseremo noi. Per favore rimanete in sala d'attesa."
Assolutamente no, se lo poteva scordare.
"Nooo" le gridai contro mentre Saiorse mi teneva per un braccio.
Me la scrollai di dosso e andai incontro alle infermiere.
"Fermati lei non può...." me ne infischiai di ciò che stava dicendo ora volevo stargli accanto.
"Per favore lo lasci andare" gli chiese supplichevole Sors.
"Non uno di più" cercò di dire la caposala.Lo portarono in un box vuoto ove sulla destra della barella vi erano dei macchinari mentre sulla sinistra un carrello delle emergenze.
"Timmy..." cercai di chiamarlo ma lui non rispose. Era di nuovo svenuto in macchina. Le due infermiere iniziarono chi a misurare la pressione e la frequenza cardiaca, chi a togliere la camicia per avere una maggior accessibilità.
"Porca miseria." Si lasciò sfuggire una vedendolo il torace tumefatto. Guardai anch'io a cosa si stava riferendo e per poco non scoppiai di nuovo a piangere. Sulla base del costato sinistro vi era una macchia evidente di sangue coagulato.
"Chiamate il dottore" gridò l'infermiera dai capelli castani.
"Cosa succede" chiesi agitato.
"Suo figlio sta avendo un collasso polmonare." mi disse osservandomi con sguardo perplesso.
"Che significa?" Le chiesi ormai in un pianto isterico.
"Non può respirare bene" nell'istante in cui l'altra infermiera mulatta terminava di inserire un accesso venoso al braccio sinistro di Timmy, dalla porta scorrevole del box, entrò un dottore alto e dai capelli rossi.
"Cosa abbiamo qui?" Chiese alle due infermiere presenti. Con un fonendoscopio passò a setacciare entrambe i polmoni. Osservò anche lui con timore il grande livido e si bloccò.
"Ha uno pneumotorace. A sinistra non riesco a percepire il murmure vescicolare. Quant'è la saturazione?"
"84" disse.
Non riuscivo a seguire il loro discorso ma capii al volo che qualcosa non andava, che quelle lesioni non era semplici ferite.
"Dottore cos'ha?" gli chiesi impaurito e con voce tremante.
"Il suo polmone di sinistra non è in grado di ventilare sufficientemente, dovremo inserirgli un tubo per farlo respirare adeguatamente e drenare all'esterno il sangue."
"Non si preoccupi suo figlio è in buone mani." Aggiunse infine.
"Non è mio figlio, è il mio ragazzo" dissi e tutti mi guardarono sorpresi.
Dopo aver inserito il tubicino, passarono a disinfettare il naso, pulendo prima la superficie esterna e poi il labbro superiore. Il naso alla fine non era rotto, ma il labbro si era aperto in una parte perciò gli dovettero mettere due punti di sutura.
"Claire monitoriamo l'ossigenazione, fai un prelievo arterioso e analisi del sangue al completo." Impartiti i giusti ordini il dottore si girò ad osservarmi attentamente.
"Lei non è un familiare e non posso darle ulteriori notizie." Aggiunse in fine. Capii al volo dove voleva andare a parare ma senza controbattere, annuii in silenzio.
"Dovresti chiamare un famigliare"
"Certo lo farò senz'altro" dissi.
Non potendo far nulla, tornai nella sala d'attesa dove trovai Sors seduta con le gambe al petto. Le andai incontro e mi sedei accanto. L'abbracciai e in silenzio mi lasciai coinvolgere dal suo stesso dolore.
"Quant'è grave?" Chiese.
"Non lo so ma il dottor Halstead ha detto che per ora deve riposare"
Le riferii la strana patologia menzionata, della manovra d'inserzione del tubo per far espandere di nuovo il polmone, e dei punti che gli avevano messo.
"Armie come ha potuto quel viscido, lurido bastardo picchiarlo?"
"Vorrei saperlo anch'io."
Quando chiudevo gli occhi vedevo ancora la scena come se fosse proprio davanti a me. Pierre sopra il corpo del mio Timmy che gli sferrava cazzotti sul costato, sulla faccia e sullo stomaco, Elizabeth che tentava di allontanarlo dal ragazzo e poi Timmy steso agonizzante e inerme a terra. Se solo Kelly e Colin non mi avessero retto, gli avrei spaccato la faccia volentieri. Distolsi la mente dagli ultimi ricordi o mi sarei di nuovo imbestialito. Presi il telefono dalla tasca posteriore dei pantaloni.
"Che fai?" Chiese Sors allontanandosi dalla mie braccia.
"Devo chiamare i genitori di Timmy. Non me lo faranno vedere perché non sono altro che un amico."
"No che non lo siete. Gli hai detto che sei.."
"Si ma non cambia nulla. Se Timmy non è in grado di rispondere per il momento, i genitori sono i più prossimi per qualsiasi scelta vogliano intraprendere i medici." Le spiegai quella strana questione di privacy e legalità formale della sanità.
"Ci penso io Armie. Non vorrei che gli prendesse un colpo se lo vengono a sapere da te". Si alzò e con in mano il mio telefono si diresse verso l'uscita.
Nel frattempo per perdere tempo spostai la macchina parcheggiandola vicino all'entrata.
Perché doveva averlo aggredito in quel modo? Come mai si sono azzuffati ? Ma soprattutto perché Pierre si era spinto così fino a tanto?
Tornai indietro e mi sedei allo stesso posto di prima. L'unica cosa che avrei dovuto fare era aspettare possibili notizie. Più il tempo passava e più la rabbia, l'ansia e la paura si erano messe d'accordo per condurmi verso l'agonia. Sentii che tutto tutto il mondo costruito attorno a noi stava crollando a pezzi. Che ogni parte del puzzle assemblato assieme e incastrato perfettamente alla mia vita, stesse iniziando a scomporsi, lasciandosi dietro piccoli pezzi per ogni passo che facevo. Timmy era di là sdraiato su un lettino e perso in un baratro scuro. Perso chissà dove. Sapevo che era in buone mani, ma il dottore non era riuscito tuttavia a placare quell'agonia che provavo e che mi stava iniziando a divorare da dentro. L'avevo già sperimentata quando, per delle incomprensioni, Timmy aveva provato a lasciarmi. Solo che questa volta poteva accadere sul serio e sarebbe stata definitiva. Scacciai via quel pensiero maledetto, perché Timmy era un combattente. Il mio piccolo non si sarebbe arreso.
"Armie. Oh Armie dov'è mio fratello?" domandò Pauline entrando nel pronto soccorso. Subito dopo di lei, entrarono i signori Chalamet accompagnati da Saiorse.
"Tu come osi restare qui" mi inveii contro il padre- " come osi bastardo. È colpa tua se è finito in questo casino"
"MARC calmati dannazione." Disse la moglie Nicole cercando di fermare il marito.
"Per favore lasciatemi spiegare" cercai di dire difendendomi dalle accuse. Il padre era furioso e impazzito tanto da prendermi per la giacca con forza che mai e poi mai mi sarei aspettato da lui e sbattendomi al muro della sala d'attesa.
"Ah" sentii una fitta nel punto in cui avevo sbattuto. Presto sarebbe uscito un bel livido.
"Non devi spiegare nulla. Lo devi lasciar in pace mio figlio. Lo hai rovinato con la tue stronzate da frocietto."
Volevo reagire per cercare di difendermi ma se l'avessi fatto, avrei solo che peggiorato le cose. Rimasi così zitto ascoltando le sue parole arcigne e spregevoli. Ora capivo perché lo avevano cacciato di casa: i genitori non amavano le storie tra uomini o donne dello stesso sesso, perché erano convinti che fossero cose ripugnanti e vergognose.
"Sei un coglione. È un ragazzino diamine. Ha solo ventidue anni, vattene o quanto Gesù Cristo ti spacco la faccia."
Intervennero due guardie per separarlo da me e solo con l'aiuto della sorella e l'amica di Timmy, riuscirono a distoglierlo dall'idea di picchiarmi. Non potevo non biasimarlo, anch'io ce l'avevo dannatamente con me stesso. E aveva ragione nel dire che era colpa mia se Timmy era in quelle condizioni. Chi era che l'aveva convinto a venire alla quella stupida festa? Io.
Chi era che lo aveva supplicato a non assentarsi per la paura di soffrire per la sua mancanza? Io.
Cosa potevo fare li in ospedale se i medici non mi permettevano di vederlo, in quanto non suo familiare ? Per di più ora ci si era messo anche contro Marc Chalamet, il padre di Timmy, che era evidente a tutti quanto poco tollerasse la mia presenza.
L'unica cosa che potevo fare era andarmene via e lasciare che i medici lo curassero. L'idea di lasciarlo inemere e immobile senza sapere se si fosse risvegliato, mi uccideva più di ciò che era accaduto.
"Saiorse, tienimi aggiornato." Le dissi guardandola addolorato e poi spostando lo sguardo verso i genitori di Timmy aggiunsi-"Perdonatemi. Mi farò da parte. Ma non prendetevela con vostro figlio. È un ragazzo d'oro e unico. Non merita tutto questo"
Me ne andai di corsa. Salii in macchina e partii spedito dirigendomi fuori dal Good Samaritan Hospital.
Continuai a camminare senza smettere di pensare al mio piccolo Timmy, alla sua famiglia che mi odiava e a tutto quello che si celava dietro. Le lacrime tornarono a sfiorarmi le guance fino ad arrivare ad inzuppare la camicia già bagnata. Ormai il pianto era diventato una parte inseparabile per la quale non potevo farne a meno. Piangevo perché mi sentivo perso, solo e uno schifo. Piangevo perché era l'unico modo di non scordare i momenti belli passati assieme al mio angelo custode. Al mio piccolo Timmy.
Accellerai di nuovo in direzione questa volta , di casa mia. Questa volta doveva chiarirsi tutto. Timmy non aveva agito in quel modo se non fosse stato stuzzicato prima. Aveva paura di Pierre e per puro caso si trovava in cucina ove c'era mia moglia. Elizabeth doveva chiarirmi alcune cose......
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Tu sei il mio Oliver ed io sarò il tuo Elio - La Scoperta del Cambiamento
Fanfiction!!!!!!!! IN REVISIONE !!!!!!!! «...replicai il gesto di quella notte, portando questa volta, le mie labbra umide e calde su quelle di Tim. E questa volta senza nessuna esitazione, senza paura e vergogna, ma solo e semplice desiderio di averlo...» ...