45. E poi il mondo mi è crollato tutto addosso

961 66 22
                                    

Per essere solo le undici di notte, l'autostrada I 209 era libera da qualsiasi ingombro di macchine. Potevano esserci due o tre veicoli che camminavano lenti, ma il resto era completamente deserto. Volevo che anche la mia mente fosse deserta e libera come quella strada, ma avrei dovuto aspettare. Aspettare che da quella situazione affiorassero più risposte che domande.
La strada libera  di notte significava solo una cosa: correre a tutta velocità. Quell'idea era così piacevole e folle da destarmi per un momento dalle preoccupazioni delle ultime ore. Accellerai per un po'. Correre e sentire l'aria che entrando dai finestrini aperti, sfrecciava addosso al viso, ascoltare   la musica a palla e cantare a squarciagola senza sapere ciò che vai dicendo, ridere e piangere nello stesso istante fregandosene di tutto il resto.
Corri, perché tanto la vita finirà prima o poi, corri per puro divertimento, corri per reagire, corri per infrangere le regole, corri per sentire dentro le vene l'adrenalina fare faville, mi ripetevo.
Se avrei corso avrei lasciato alle spalle il rifiuto dei suoi genitori e l'odio che il padre provava nei miei confronti, lo sguardo perso della sorella mentre piangeva, gli occhi della madre che cercavano spiegazioni nei miei, Saiorse, l'unica assieme alla sorella, a capire ciò che provavo, ciò che stavo vivendo. Se avrei chiuso gli occhi tuttavia avrei rivisto il mio angelo con le ali spezzate, devastato dall'ira disumana di un bisonte, della barella in cui poggiava e sulla quale avrebbe dormito per un sonno incognito e indecifrabile. Non aveva senso correre e comportarsi da irresponsabile, chiudere gli occhi per cercare di non sentire dolore. Era uno spreco di tempo. Dovevo ricordare tutto, che mi facesse male o meno, che mi facesse piangere o gridare a squarciagola, perché tanto quello che era successo non potevo cambiarlo.
Decisi così di decelerare e camminare alla velocità raccomandata. Non avevo fretta di arrivare a casa perché le risposte le avrei avute lo stesso. Spensi anche la musica lasciando solo i finestrini abbassati. L'aria fresca notturna mi aiutava a pensare più lucidamente e restare concentrato. Ripensai a ciò che era successo alla festa, facendo una lista di tutte le cose fuori posto che riguardavano Timmy, Pierre, Elizabeth. Per prima cosa ripercorsi i momenti antecedenti all'accaduto. Erano state le 21 di sera quando si è presentato alla porta di casa in ritardo. A rivederlo così preoccupato e impacciato mi venne quasi da ridere ma a ripensarci bene, era stato strano il modo con cui ci siamo salutati quasi con piena indifferenza assoluta. Avevo pensato che avesse seguito alla lettera il mio consiglio eppure c'era qualcosa che non quadrava.  Quella  sua distanza di sicurezza andava più che bene per non attirare l'attenzione, ma arrivare a non salutarsi era davvero inusuale. Mi concentrai ancora di più per capire  il motivo di quel suo gesto. Avevo aperto la porta e vedendolo immobile affianco alla sua migliore amica, mi aveva rallegrato. Tuttavia il suo sorriso non era stato quello che mi aspettavo. Aveva paura di ciò era di fronte. Arrabbiato anche ? Perché aveva paura di me?
D'un tratto mi ritornarono in mente le sue parole Chi è il tizio che ha aperto la porta? Che tipo è?
Non so se era per via di quelle parole tornate a galla dalla mia mente o per l'intera faccenda collegata, ma capii che il suo strano comportamento era senz'altro dovuto al mio, ormai ex amico, Pierre. Perché mai avere paura di lui? Non lo conosceva nemmeno...... a meno che..... non si conoscevano già. Impossibile, pensai. Il mondo era piccolo ma non fin a quel punto. E anche se fosse, perché Timmy doveva essere intimorito da lui? Pierre è sempre stato un ragazzo si arrogante e strafottente, ma una persona calma e pacifica.
Quelle poche volte che eravamo usciti durante le serate al college mi erano bastate a capire che Pierre non era come appariva all'esterno. Come avevo detto a Timmy, se lo frequentavi e ci parlavi più spesso, era totalmente diverso. Simpatico, loquace al punto giusto e anche leale. Ma allora perché Pierre ha dato di matto alla festa? Perché aggredirlo con una furia omicida?
Quando lo vidi accanirsi in quel modo, non ci avevo più visto. Mi sono buttato a capofitto su di lui e con la stessa rabbia, avevo iniziato a prenderlo a cazzotti. Poi sono sopraggiunti a separarci Kelly, Colin e qualcun'altro che non mi ricordavo bene chi fosse, forse Robert o Caroline, l'amica di mia moglie?
Mia moglie invece? Era rimasta anche lei ferma a piangere e sbraitare contro Pierre e la sua furia. Perché non lo aveva fermato? 
Troppe domande e ancora nessuna risposta. Spero che se ne sia andato, altrimenti al mio ritorno, in presenza o meno dei miei amici, lo avrei pistato a dovere. Non mi importava se fosse morto. La mia vita, la mia dose personale di tranquillità, il mio angelo custode non doveva essere toccato.
Strinsi il volante ancora più forte fin quando le nocche non diventarono pallide per la costrizione nervosa. Immaginai che il volante fosse la faccia di Pierre e iniziai a prendere a pugni più forte che mai. Incurante del dolore, lasciai che la rabbia accumulatasi, venisse fuori e se la prendesse con quello stupido volante.
Non riuscivo a capacitarmi di come una semplice serata, da un attimo di piena spensieratezza fosse precipitata a così tanto. Se solo avessi approfondito la preoccupazione di Timmy, ora non si troverebbe in un letto d'ospedale. Non sarebbe mai stato vittima della mani di Pierre. Saremmo ancora alla mia villa, a festeggiare uno stupido anniversario di matrimonio che presto sarebbe terminato. Continuare a fingere non aveva senso ormai. Elizabeth l'amavo  perché era pur sempre la donna che ho sposato otto anni addietro, amavo le sue fossette che si creavano quando rideva, amavo le sue torte della Bakery House (il suo negozio al centro di LA) appena sfornate e ovviamente amavo alla follia le due pesti che aveva dato alla luce: Harper e Foster. Eppure da quando ho incontrato Timmy nessuno era riuscito a capirmi in fondo come quel ragazzino ventiduenne. Con un semplice sguardo sapeva come stavo e come vivevo. Inoltre non avevo mai provato una simile affinità con un altro essere umano, in vita mia.
Stavo commettendo uno sbaglio? Forse si o forse no. Forse sarebbe stato difficile per i miei figli sapere che il padre era innamorato perso del suo migliore amico. Ma lo avremmo affrontato. Io non potevo più fingere, non potevo più soffocare le emozioni che provavo quando Timmy era presente o quando era lontano, tanto sarebbero uscite allo scoperto lo stesso e la situazione non sarebbe stata poi così diversa.
Parcheggiai la macchina a lato sinistro della villa. Prima di scendere mi guardai un ultima volta nello specchio e mi promisi che questa volta Elisabeth o Pierre avrebbero parlato una volta per tutte

Tu sei il mio Oliver ed io sarò il tuo Elio - La Scoperta del CambiamentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora