Lui
< Oggi sei in perfetto orario. > Le faccio notare, non appena entra nello studio.
Mi prendo un momento per osservarla: indossa dei jeans scuri, una t-shirt sbrindellata con sopra una camicia a quadri neri e bianchi e le sue Converse, tiene i capelli sciolti sulle spalle e il ciuffo libero di scivolarle sulla fronte e sugli occhi. E' splendida.
Si sistema, imbarazzata come al suo solito, la tracolla sulla spalle e inclinando la testa mi dice < Vuoi che ripasso tra un po'? >
Scrollo la testa, è terribilmente facile scoraggiarla. Mi chiedo se lei, questo, lo sa.
< Non dire stupidaggini, Mia. Siediti. >
Giro attorno al bancone e mi siedo sulla poltrona, la osservo mentre batto le mani sulle ginocchia. Sistema i suoi appunti davanti a se, passandosi di tanto in tanto le mani tra i capelli. E' piuttosto agitata e vorrei sapere cos'è che la preoccupata tanto.
< Iniziamo? > le chiedo, sorridendole, mentre lei annuisce.
Le assegno degli esercizi che ho trovato nel mio vecchio libro di trigonometria e, mentre lei si butta a capofitto nel cercare di risolverli, io metto un po' di ordine in certe cartelle del pc.
< Perché? > sbotta, quasi senza accorgersene.
Quando alzo gli occhi su di lei ha la testa tra le mani ed è rossa in viso, Mia inizia a battere ripetutamente la fronte sul bancone e mi fa' ridere in modo spontaneo.
< Qual è il problema, Mia? > Le chiedo, mentre le sfilo il foglio da sotto il naso.
< Sono io il problema, Victor. >
< Non fare così Mia, imparerai. >
< Mi spieghi cosa diavolo c'entrano i simboli numerici e le lettere? >
La cosa mi colpisce < se la vedi così, Mia, non imparerai mai. > Prendo la Bic nera tra le mani e inizio a spiegarle l'esercizio, sotto il suo sguardo perplesso. < Non devi fissarti su cose così sciocche. E smettila di voler trovare una ragione per tutto! > La rimprovero dolcemente, mi accorgo di aver già risolto l'esercizio e le dico < ecco, vedi? Non è così difficile come sembra. Prova a fare il prossimo e non lagnarti. > Torno al pc, continuando a guardarla di sottecchi.
< Senti, Victor? > mi chiama esitante e imbarazzata.
< Si, Mia? > mi concentro sul suo sguardo corrucciato e ansioso, mentre inizio a mangiucchiarmi le dita.
Mia guarda le sue mani attorcigliate e poi alza gli occhi al cielo, infine tira un sospiro e si passa le dita magre sul ciuffo.
< Ecco, volevo... come posso dire? > sbuffa irritata. Ho un vago sospetto di quello che vorrebbe dirmi, la guardo inarcando le sopracciglia e nascondo un sorriso appoggiando il mento alla mano.
< Il fatto è che volevo dirti grazie per quello che stai facendo per me. Insomma tu nemmeno mi conosci, eppure... sei sempre stato gentile nei miei confronti. Io so perfettamente di essere una frana in questa dannatissima materia e sono consapevole che ti sto facendo perdere un sacco di tempo. E non riesco ancora a capire perché tu lo permetti. Ma, ad ogni modo, so che ti devo le mie scuse e devo esserti riconoscente. Quindi, grazie Victor. Davvero. >
Imbarazzata Mia, torna a chiudersi di nuovo in stessa e non guarda più me ma tiene gli occhi bassi, le sue ciglia perfette che quasi le sfiorano gli zigomi, le guance arrossate e i capelli sciolti in piccole ciocche arruffate. Confuso da tutte le parole che vorrei dirle e confessarle continuo a sorridere mentre rifletto sul fatto che le sue parole sono state del tutto inaspettate per me, mi aspettavo un semplice "grazie" non... tanto. Mi ha appena dimostrato –anche se già lo sapevo- che non è davvero un muro imbattibile e senza emozioni come vorrebbe far credere. Dannazione, ho il sospetto che –se solo lo volesse- potrebbe essere davvero la persona più dolce che io abbia mai conosciuto. Chissà quanti altri strati si nascondono dietro quella facciata da dura.
< L'hai capito. > Riesco infine a dire, con una sensazione di sollievo che mi stupisce tanto quanto le sue parole.
< Cosa? >
< Che non sono un cattivo ragazzo. >
< Forse > scrolla le spalle < in realtà ho solo capito che io non sono nessuno nella tua vita e che non ti conosco abbastanza per poterti giudicare come ho fatto. Mi dispiace, davvero. Quella... quella non sono io, non sono sempre così tremenda. >
E' piena di sensi di colpa. E non solo a causa mia, ma per tutto quello che la riguarda.
< Non dispiacerti, Mia. Sono contento che... ecco, per la cronaca, non ho mai pensato che tu fossi tremenda. >
"Grazie Nonno."
< Potresti farmi un favore? > le chiedo, non appena l'accompagno fuori.
Mi guarda sollevando le sopracciglia perfette < come posso aiutarti? >
< Vieni a bere qualcosa con me, domani. >
La mia proposta la lascia del tutto perplessa, fa un espressione buffa mentre continua a fissarmi con le sopracciglia aggrottate e le labbra sporgenti. Però, non riesco a capire se sia contenta o meno della mia proposta perché, se c'è una cosa che Mia Hamilton sa fare bene, è nascondere le proprie emozioni.
< Credo sia... okay. >
Scoppio a ridere sotto il suo sguardo ancora perplesso, l'unica ragazza da cui traggo il desiderio di farmi conoscere davvero crede che sia okay uscire con me, come se mi facesse davvero un favore.
< Stai ridendo di me? > Mi chiede pacata, inclinando la testa di lato.
Mi appoggio allo stipite della porta e mi stringo le braccia al petto, tornando serio < niente affatto. >
< E allora? > chiede.
< In realtà sto ridendo di me, Bambina. Ci vediamo domani > So che non capirà e, forse, per il momento è meglio così.
Le do un bacio leggero sulla fronte e scappo dentro lo studio, per evitare di stringerla forte tra le braccia.
"Merda, quanto vorrei farlo."
![](https://img.wattpad.com/cover/153244271-288-k83034.jpg)
STAI LEGGENDO
Qualcosa di più
RomanceMia ha diciassette anni ed è già stanca di tutto: del posto in cui vive, delle persone che la circondano e di essere considerata la ragazza di Derek Collins, nonostante siano passati anni. Non fa altro che correre, per un infinità di motivi: per ca...