Sydney, 20 settembre 2000
Al primo incontro sul tatami Francesco era molto nervoso, ma dopo il primo inchino, l'arbitro diede il segno di iniziare, l'australiano lo afferrò immediatamente per i lembi del uwagi azzurro, che indossava al posto del tradizionale Jûdôgi bianco corredato di cintura o obi, che indica il grado raggiunto, nel caso di Francesco che aveva il secondo dan, sarebbe stata, comunque, nera. La divisa olimpica, invece, non aveva i colori tradizionali, ma pretendeva un contendente con l'abito bianco, che in questo caso era toccato all'australiano e l'altro in blu. Questa colorazione rendeva più chiaro agli spettatori cosa stava accadendo, così anche chi non capiva nulla di Judo, come alcuni amici di Francesco, poterono notare che l'avversario lo aveva afferrato per la giacca, talmente forte da sfilagliela dalla cintura, che la teneva chiusa e ferma al suo posto.
L'avversario era decisamente più basso, di almeno dieci centimetri, anche se parlare di uomo basso era relativo, comunque stava cercando di sfruttare la maggiore massa muscolare e come commentava, infervorato, Edo:
«Vuole fargli un Kusuchi, che bastardo, non gli ha dato tempo di prepararsi. Ha attaccato velocemente!»
«Cosa vuole fare?» Chiese Eric, guardano il suo ragazzo come fosse un marziano, ma Edo era concentrato sulla gara e non rispose. Si mordeva il labbro e quando vide, Francesco spostare l'anca in un certo modo, riuscendo a liberarsi, tirò un sospiro e gridò un:
«Così, vai!» All'amico, che ovviamente non lo sentiva, ma che tornò a concentrarsi dopo essersi risistemato la giacca, come Eric definiva il uwagi. Edoardo, prima che iniziasse una nuova azione, mentre sul tatami i due si giravano intorno, disse:
«Scusa piccolo, cosa mi hai chiesto?»
«Che cosa voleva fare.» Rispose il castano, divertito.
«Ah, sì. Lo voleva sbilanciare, fargli perdere l'assetto e la postura, ma non c'è riuscito. Francesco ha una tecnica di posizione solida, credimi ne so qualcosa, buttarlo giù è difficile e poi è bravo in dife... Sì cazzo!»
«Che è successo?» Chiese Veronica, che aveva visto i due rotolarsi a terra e l'arbitro, che li faceva rimettere in posizione, mentre Edo esultava.
«Ha fatto un waza-ari!»
«Un... Cosa?» Fece Laura interdetta, ma Edo non ascoltava più, i due erano di nuovo vicini, l'attacco era imminente, lui lo sapeva. Gli altri osservavano un po' la gara e un po' gli unici quattro del gruppo che stavano davvero capendo qualcosa. Edo era primo dan, cintura nera di judo da quando aveva sedici anni e anche se Francesco era sempre stato più forte, conosceva lo sport in tutti i suoi aspetti. Giulia, Antonio e Flavio, negli anni, non si erano persi una gara dei ragazzi, da piccola Giulia, aveva anche partecipato, fermandosi alla terza cintura, prima delle scuole medie, ma ricordava le regole e le capiva. Fu proprio il padre di Francesco a rispondere alla ragazza:
«Un punto importante. Ora sta attaccando Francesco!»
«Ippon!» Urlò Giulia, saltando al collo di Veronica, che si era alzata.
«Si, cazzo!» Aveva detto Edo nello stesso istante, mentre tutto il palazzetto urlava e applaudiva.
«Grande, figliolo!» Urlava Flavio con gli occhi lucidi, mentre Antonio era andato sulla falsa riga della figlia:
«Ippon, cazzo!»
Mentre negli spalti urlavano, i due si rialzarono e il giudice di gara li fece rimettere in posizione uno davanti all'altro. Sugli spalti, la tensione di quei secondi si tagliava con il coltello, Eric provò a chiedere cosa stesse accadendo, anche se dall'esultanza sembrava che Francesco avesse fatto un altro punto, persino lui aveva capito, che quando butti di schiena uno per terra dev'essere positivo, ma Edo non rispondeva, continuava a parlare con l'arbitro sottovoce, come se potesse sentirlo, borbottava una litania:
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I Ragazzi della città del vento
ChickLitIl romanzo è una sorta di family dramma e di teen story, ambientato a Trieste a partire dal 1998. Si ricollega al mio primo romanzo "E l'inverno finirà" (in vendita in tutti gli store on-line). È un romanzo corale, in cui si narrano le vicende delle...