XXV - Un padre.

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Trieste, 24 aprile 1998

L'ultimo giorno delle vacanze di Pasqua, tutti i ragazzi erano indietro con i compiti, forse era così per tutti gli studenti d'Italia, i primi giorni non si studia, bisogna riposare e poi c'è tempo. In un attimo arriva Pasqua e anche per chi non è religioso ci sono gli interminabili pranzi con i parenti ed infine il giorno migliore delle vacanze: Il Lunedì dell'Angelo, o come i comuni mortali lo definiscono Pasquetta, il giorno della gita con gli amici. Dunque, per rimettersi in pari qualsiasi studente con un minimo di cervello aspetta il martedì, anche perché il mercoledì si va a scuola ed è troppo tardi.

Laura non faceva eccezione, aveva passato meno tempo del solito, durante le vacanze, con la sua amica Sara, impegnata a cercare di passare ogni minuto disponibile con il suo ragazzo mentre si trovavano entrambi a Trieste. Aveva, così, egregiamente ripiegato su Giulia e i suoi amici, il fatto che Veronica fosse a casa per le feste era stato piacevole, a Laura quella ragazzina piaceva molto, era coraggiosa nonostante l'aspetto fragile, era la ragazza giusta per Francesco e stava diventando una buona amica anche per tutti loro.

Laura aveva sempre sentito un grande affetto e una bella sintonia con le sorelle della sua migliore amica, soprattutto con Giulia con cui invece Sara non andava d'accordo, molte volte, scherzando ma non tropo si era offerta di prendersela come sorella. Sara sarebbe stata d'accordo, piuttosto avrebbe ceduto più malvolentieri i due amici della sorella. In realtà se qualcuno si permetteva di offendere, anche di misura, Giulia davanti a lei, la dolce Sara diventava una tigre protettiva.

Laura era affezionata e sempre più amica dei ragazzi e quando la sua compagna era impegnata passava molto tempo con loro, così come era avvenuto in queste vacanze. Però, per la prima volta, capiva esattamente quel sentimento d'affetto incondizionato e quel senso di protezione che si sente per i fratelli, lei stava imparando a conoscere questo sentimento, che diventava ogni giorno più forte, da quando erano arrivati Ignazio e Rubina.

Laura aveva passato molto tempo con i suoi amici ma ne aveva passato ancora di più, e questo non accadeva da quando era una bambina, in casa propria con i genitori e soprattutto con i suoi fratellini.

Stare con Rubina e Ignazio era splendido, i due piccoli si stavano inserendo nella famiglia Zorzin ed erano sempre più tranquilli.

Dopo una decina di giorni di assoluto silenzio Ignazio aveva iniziato a parlare, aveva chiamato Paola per nome, era stato un momento emozionante per la donna.

Da allora, non era diventato un chiacchierone, ma diceva diverse cose, anche se entrambi avevano un linguaggio un pochino arretrato per la loro età.

I gemellini erano normodotati anzi, secondo i test a cui Luigi li aveva sottoposti, erano due bambini intelligenti, ma forse il trauma li aveva un pochino bloccati, anche se sembrava che si stessero riprendendo di giorno in giorno.

Il momento tragico arrivava quando il padre naturale andava a trovarli, i bambini sapevano a che ora sarebbe arrivato, poiché l'uomo passava sempre verso le sei dopo il lavoro, una mezz'ora prima iniziavano ad aspettare di vedetta alla finestra, quando lo vedevano comparire dall'angolo della strada iniziavano a ridere felici, illuminati da una gioia pura. Poi correvano davanti alla porta e tenevano le braccia sollevate per farsi prendere finché l'uomo non arrivava e li accoglieva entrambi, anche lui rideva sempre quando arrivava.

L'ora seguente la passava interamente giocando e parlando con i piccoli e di tanto in tanto chiedeva qualcosa della giornata agli affidatari. Capirono presto che si trattava di un uomo buono, travolto dagli eventi e dalla vita.

Era grande d'età per avere dei bimbi così piccoli, aveva cinquant'anni e aveva conosciuto la madre dei figli, una donna di origini ungheresi, sul treno, dove lei lavorava e che lui prendeva ogni settimana per recarsi all'ospizio, dove si trovava la madre anziana.

Si erano innamorati ed erano andati a convivere e tutto pareva procedere bene, avevano comprato casa ed erano arrivati i gemelli. Poi lei aveva avuto una grave depressione post partum da cui non si era ripresa, non aveva mai accudito i figli e non li voleva nemmeno vedere. In quel periodo era andata a trovarli solo una volta un po' costretta dal servizio sociale e un po' dal compagno che voleva rimettere in sesto la famiglia e riavere i bambini.

I figli non l'avevano voluta, anzi, Rubina, in genere più solare e socievole tra i due, le aveva sbattuto la porta in faccia. Era stata una scena a dir poco sconcertante.

Da allora il signor Mori, veniva da solo. Lui si stava impegnando moltissimo, aveva smesso di bere e frequentava un gruppo di sostegno per il gioco d'azzardo.

Questi vizzi, in forma più lieve li aveva da anni, ma dopo il tracollo della sua relazione, i problemi della compagna e dei figli, si era buttato in essi totalmente, come se annullarsi cancellasse i problemi, e per un po' forse funzionava, ma poi le cose erano solo peggiorate.

I suoi problemi si erano sommati a quelli della madre diventando ulteriore fonte di attrito fra i due e creando altri danni ai bambini. Finché, non era stato raggiunto il culmine ed il comune, in seguito alla segnalazione di un avventore del bar dove i piccoli passavano la maggior parte del tempo, era intervenuto.

Questa decisione così drastica stava però portando dei risultati positivi nel signor Mori, che non beveva e non giocava dal giorno in cui i figli erano usciti di casa.

Stava sistemando l'abitazione e aveva portato la compagna, di cui era ancora innamorato, al Sert per un aiuto.

Insomma, se le cose fossero continuate così, fino alla fine dell'anno era probabile che i bambini sarebbero tornati a casa. I Zorzin, ovviamente, erano felici di questo, ma da un altro lato, avrebbero sentito fortemente la mancanza dei bambini, e si ripromisero di rimanere in qualche modo nella loro vita; il fatto che stessero costruendo un buon rapporto con il padre biologico, era di buon auspicio.

Massimo Mori era loro riconoscente dell'aiuto e anche del fatto che nonostante le visite previste fossero due la settimana, Paola e Mario, lo accoglievano in casa ogni giorno, capivano benissimo l'esigenza sia del padre che dei figli di vedersi.

Il momento più difficile di queste visite era la fine, quando vedevano l'uomo indossare il giubbino e capivano che stava per andare via, i bambini piangevano in modo convulso e irrefrenabile, e ogni volta finivano anche tutti gli adulti con le lacrime agli occhi.

Quando finalmente andava via, con il cuore gonfio d'ansia per aver dovuto lasciare i suoi figli così disperati, i bambini, smettevano. In genere ci voleva una mezz'oretta di capricci, poi riprendevano a giocare, buoni e sereni, almeno fino al giorno dopo dove si ricominciava dall'inizio.

Quando erano andati a trovare Veronica in ospedale, la ragazza, con l'aiuto di Laura, li aveva messi su una sedia a rotelle e li aveva spinti lungo un corridoio vuoto a velocità, i bambini si erano divertiti tantissimo per quella giostra improvvisata che avevano chiesto diverse volte:

«Amo a otale, a vede Verokina, coeiamo cola makina!» La prima volta che Rubina aveva fatto questo discorso Laura e Paola avevano dovuto farselo ripetere tre volte per riuscire a capire che cosa volesse dire, alla fine Paola aveva avuto un'illuminazione, proprio quando i due stavano iniziando a spazientirsi:

«Aspetta, Rubina, amore di Paola, hai detto: Andiamo all'ospedale a vedere Veronica, corriamo con la macchina? Ho capito!» Esultò la donna quando i bambini si misero a ridere e a ballare perché li aveva capiti. La donna promise di riportarli passata la Pasqua.

Quando Laura aveva raccontato l'episodio tutti avevano iniziato a chiamare la povera ragazza Verokina, era divertente, perché in genere i bambini semplificano tutto e invece questo lo avevano complicato. La diretta interessata aveva colto l'occasione per sorridere un po' e accantonare i brutti pensieri, soprattutto, quando Laura le aveva detto che li avrebbe rivisti in settimana.

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