XVIII -Ignazio e Rubina.

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Trieste, 21 marzo 1998

«Allora? Non tenerci sulle spine! A Pietro ho già raccontato tutto... avanti!» La incoraggiò Sara.

«Ok. Niente riassunto delle puntate precedenti. Bene...» Iniziò Laura, con un attimo di pausa per raccogliere le idee,quello che doveva raccontare non era semplice.

«Dai!» Urlarono i ragazzi più o meno tutti insieme, Laura rise, ma poi si fece seria, abbassò la voce e avvicinò la sedia per fare in modo che solo il circolo più intimo sentisse e iniziò il  racconto:

«Quando siamo arrivati i bambini erano al bar di zia, il padre era con loro, la madre non l'abbiamo vista, siamo saliti in casa loro a prendere le cose dei piccoli. Non potete capire la tristezza, la casa è un appartamento anche carino, ma sporco e con i mobili consunti... poi sapevano che i bambini, in ogni caso, al massimo in paio di giorni dovevano andare via, ma non avevano preparato nulla...»

Laura disse che l'uomo aveva tirato fuori qualche abitino sporco e con una puzza terribile, la stessa che impregnava persino i muri della casa,  aveva messo tutto in una busta della spesa, e aveva consegnato quelli che erano tutti gli effetti personali dei bambini. Poi, prima di uscire, aveva fatto indossare il capotto ai figli, ma il maschietto se lo era tolto e lui aveva detto che poiché, non amava il capotto,lo potevano lasciar uscire così, tanto si spogliava, forse non aveva freddo. Sembrava impossibile, poter anche solo pensare una cosa simile con le temperature gelide di quella sera di marzo, ma il bambino era ovviamente troppo piccolo, mentre il padre non riusciva ad imporsi su niente. Paola, senza dire nulla, aveva preso i piccoli e li aveva coperti, e tenendoli in braccio li avevano portati via.

In un primo momento erano rimasti entrambi tranquilli, ma quando li avevano messi in macchina e il padre non era andato con loro, ma era rimasto sul marciapiede con gli occhi bagnati dal pianto, i bimbi erano scoppiati a piangere a loro volta.

Era stata una scena straziante, la femminuccia si lanciava verso il padre tendendo le braccia in alto e gridando:

«Pa-pa-pa-pa» tra i singhiozzi.

Il maschio, invece, aveva il viso triste, sconsolato, con le lacrime che gli solcavano le guance, silenziose e irrefrenabili, non emise nemmeno un piccolo lamento, ma il suo sguardo ferito spezzava il cuore.

Flavio, commosso, aveva portato l'uomo dentro il bar, e aveva, poi, raccontato di come fosse crollato disperato su una sedia, anche se gli aveva assicurato che poteva andare a vederli tutti i giorni, era distrutto.

Probabilmente non esiste dolore più grande che vedere qualcuno che porta via i tuoi figli, e non importa se si è consapevoli che in quel momento possa essere la soluzione migliore, forse l'unica.

Flavio, aveva rassicurato l'uomo, ricordandogli che non appena avessero risolto i problemi principali e reso la casa un luogo sicuro, i bambini sarebbero tornati. Dopo che aveva ripreso un pochino di speranza e si era fatto forza, l'avvocato l'aveva salutato ed era tornato alla macchina.

Nel frattempo, i bambini, non vedendo più il padre piangere si erano calmati, Mario e Laura li avevano fatti giocare e ridere, mentre Paola si assicurava che stessero bene. Quando il padre di Francesco li aveva raggiunti, erano partiti ed erano andati a casa Radin, dove gli altri aspettavano.

I piccoli erano spaesati, ma non avevano più pianto, anche per merito di Emma che aveva giocato con loro.

Appena arrivati, Gisella e Luigi, li avevano visitati e si erano accorti che erano mal nutriti e denutriti, la dieta che facevano non era appropriata e avevano suggerito a Paola di ricominciare con il biberon e uno svezzamento veloce, anche se i bambini masticano perfettamente, era stato divertente, ad esempio, vedere con che abilità toglievano i noccioli alle olive senza ingoiarli.

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