LXXXIX- Preparativi.

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Trieste, 14 gennaio 2001

Era domenica e le giornate di riposo da passare in Italia, per i tre studenti Oxfordiani si erano concluse, o meglio si sarebbero concluse la mattina seguente, con un volo alle nove dall'aeroporto di Venezia.

Pietro li avrebbe accompagnati al risveglio, piuttosto presto. Avevano appuntamento per le sei meno venti, avrebbe usato la macchina del padre di Edo, infatti, con la sua cinquecento vecchio modello, per quanto graziosa, ci avrebbero messo un mese, invece, avrebbero viaggiato veloci e in tutta comodità con la nuova BMW M5. Luigi l'aveva comprata l'anno precedente, in sostituzione di un'altra BMW, che pur avendo quasi dieci anni, non sembrava essere mai uscita dal garage. Innegabilmente la nuova E39, in versione sportiva era una bellezza. Nera con interni in pelle chiara, comandi elettronici sul volante per il climatizzatore, la radio e i finestrini. Aveva cerchi in lega e, soprattutto, uno splendido motore V8, che nascondeva, sotto il cofano, 400 cavalli di potenza. Era una vera gran turismo travestita da berlina, Pietro adorava guidarla e Luigi, che ormai conosceva il ragazzo e sapeva che, avrebbe trattato la sua piccola con le dovute cautele, gliela prestava volentieri, tanto più che lui doveva lavorare e non avrebbe potuto accompagnare il figlio in aeroporto, quindi, gli stava facendo un favore.

Il dottore, poi, si divertiva, di tanto in tanto, a prendere la piccola auto di Pietro. Era un vero gioiello d'epoca, gli ricordava la sua prima macchina, che era stata proprio una Fiat 500. Era color panna, non rossa come quella del ragazzo, suo padre gliel'aveva regalata al diciottesimo compleanno, ben prima che avesse la patente e contro il parere materno. Aveva imparato a guidare con quella piccola meraviglia, la possedeva ancora quando conobbe Gisella. Dopo sposati ne acquistarono una più grande e adatta alle esigenze familiari, inoltre la madre insisteva sul fatto che non fosse l'auto adatta ad un medico. Così, per un po' era diventata la loro seconda macchina e, infine, una decina d'anni prima, l'avevano venduta, sostituendola con una Mini minor, che per Gisella era più comoda. L'auto inglese, si era rivelata una bella macchina, ma non era la stessa cosa, sia lui che la moglie si erano pentiti dopo pochi mesi e avrebbero voluto riprendersela, ma il concessionario, l'aveva già venduta e non avevano potuto recuperarla.

Tante volte aveva pensato di ricomprarne un'altra, ma il nuovo modello era orrendo e quelle originali stavano scarseggiando, chi le aveva se le teneva stratte. Pietro l'aveva ereditata dal nonno materno, era il suo tesoro più grande e anche se adesso che aveva iniziato a lavorare a tempo pieno nello studio di architettura del suocero, avrebbe potuto cambiarla, non aveva intenzione di farlo. Forse un giorno avrebbe preso un'altra auto da affiancare a questa, perché in occasione di viaggi fuori città, come quello che avrebbe fatto il mattino dopo, non era il massimo della comodità. Per il momento stava bene così, in più lui e Luigi avevano trovato un'ottimo equilibrio nel mutuo scambio, il ragazzo si divertiva con un'auto che non si sarebbe potuto permettere nemmeno nei suoi sogni e l'uomo tornava a vivere la sua adolescenza, seppur con il colore sbagliato!

La notte tra la domenica e il lunedì i tre moschettieri e le loro metà, la passarono a casa di Edo, Pietro sarebbe andato a prenderli in un unico posto e le cose sarebbero state più comode. Almeno questo aveva detto Andrea ai suoi genitori, salutandoli nel pomeriggio prima di andare a casa dell'amico, dove avrebbero passato l'ultima sera in compagnia e la notte con Giulia, in modo da salutarsi nel modo migliore.

La sua ragazza gli sarebbe davvero mancata, Oxford gli piaceva e l'Inghilterra gli offriva opportunità che in Italia non avrebbe mai avute, si era accorto di questo fin da subito, ma non sapeva come parlarne con Giulia che sembrava essere attaccata a Trieste in modo assurdo, era solo un luogo, che importanza poteva avere? Fosse stato per lui, probabilmente dopo gli studi sarebbe rimasto oltre Manica, ma aveva davvero il dubbio che la sua ragazza non avesse le stesse idee.

Comunque, ancora mancavano due anni e mezzo, poteva aspettare e convincerla con il tempo, certo la laurea di Giulia sarebbe durata di più e questo avrebbe voluto dire almeno quattro anni separati, Giulia era già insofferente, ma sperava di avere il tempo per convincerla. Intanto aveva in programma di godersi la serata.

La cena a fu divertente, anche se venata da un pizzico di malinconia, si erano riuniti solo loro sei, in un clima d'affetto e complicità, che con la crescita e l'arrivo di nuove persone nelle loro vite, potevano gustare sempre meno. Giulia era particolarmente giù di corda, perché come in autunno, partiva, oltre al suo ragazzo, anche il suo migliore amico. Le sarebbe mancato anche Eric, ormai lo considerava un membro della famiglia, ma l'idea di allontanarsi dagli altri due le faceva stringere lo stomaco in una morsa. Francesco e Edoardo non si sentivano molto meglio anche se, soprattutto il primo, lo mascherava dietro le buffonate e gli scherzi. In più, a differenza di Giulia, i loro fidanzati gli sarebbero rimasti a fianco e questo alleggeriva molto l'animo di entrambi.

Eric vedeva gli occhi lucidi del suo ragazzo ogni volta che si posavano su Francesco e Giulia, e persino quando guardava Veronica, lo vide diverse volte sul punto di scoppiare in lacrime. Anche lui non era felice di partire, quei ragazzi erano i migliori amici che avrebbe potuto desiderare e il fatto che Andrea andasse con loro era una soddisfazione minima. L'unica cosa che lo faceva partire, se non felice, almeno sereno era il fatto di non lasciare Edo, era una follia, che in via sua, non avrebbe compiuto mai più e sapeva che il suo ragazzo era d'accordo, nei suoi occhi passava il sollievo solo quandosi posavano su di lui. Era come se si ricordasse che non sarebbe stato solo, la cosa che lo faceva sentire strano e che lui si provava gli stessi sentimenti, eppure per lui si trattava di un ritorno a casa, ma ogni volta che lasciava la città del vento per la sua terra d'origine, si sentiva sempre di più come se stesse lasciando casa anziché tornarvi.

Una volta Sara aveva detto che non si poteva non amare questa città, con i suoi monumenti, le piazze sul mare, i canali e i lampioni dorati. La città, che con il suo golfo davanti e le montagne di lato era un crocevia di popoli e di venti. Sara si era definita una figlia della città del vento, Eric si trovava spesso a ricordare quella conversazione e, sempre di più, si sentiva parte di Trieste. Ormai, era anche lui un ragazzo della città del vento, per questo sapeva che sarebbero tornati, casa era quella.

Tra una pizza e un aneddoto, con la radio che suonava le ultime canzoni e Veronica che raccontava le novità del loro vecchio istituto con tanto di pettegolezzi, mentre i ragazzi facevano finta di non interessarsi per poi chiedere avidi dettagli, la serata proseguiva.

Angolo autrice
Ciao a tutti!
Scusate se sono sparita ma dopo tre anni ho ripreso a lavorare e i ritmi sono stancati, devo farci l'abitudine, ma non lascerò le storie senza conclusione, dovete solo avere un po' di pazienza.
Ovviamente questo è un po' un capitolo di passaggio...allora prossima!

I Ragazzi della città del ventoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora