LXXIV - Un sogno difficile.

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Sydney, 20 settembre 2000

Mentre si incamminava verso il tatami per il secondo incontrò sentì:

«Nardi! La tua fidanzata vuole una medaglia!»

Era Michele Monti, che gli dava la carica ricordandogli le sue priorità e prendendosi gioco di lui, Francesco gli rispose con un gestaccio discreto, per non farsi beccare da fotografi e telecamere che erano ovunque. Poi si concentrò su Felice Mariani, che gli dava gli ultimi suggerimenti e le indicazioni sul suo avversario. Veniva dalle isole Maurtius ed era un osso duro, Michele lo aveva affrontato qualche anno prima e anche lui gli aveva dato consigli preziosi.

Francesco aveva vissuto tutta la vita in un Dojo, da bambino vi andava due volte a settima, che erano diventate tre alla fine delle elementari e poi tutti giorni, dai tredici anni in poi. Aveva fatto una quantità di gare incredibile e, per essere così giovane, aveva un bel palmarès personale, ma le Olimpiadi erano un'altra cosa. La pressione che stava vivendo quel giorno, non l'aveva mai avvertita in vita sua. Aveva cercato di distrarsi e stemperare un po', ma più il tempo passava e gli avversari cadevano sul tatami, sotto i suoi attacchi e più la pressione saliva.

Aveva iniziato la giornata con l'incoscienza di un diciannovenne felice di esserci, poi aveva cercato la prima vittoria con forza, voleva regalarla a Veronica, ma la sua fiducia in lui e il fatto che avesse vinto anche la seconda gara, lo avevano indotto a sperare davvero in una medaglia, la sua principessa aveva ragione, ci poteva riuscire. Aveva già vinto due incontri e scese sul tatami per il quarto con una fame e una concentrazione che spiazzarono il judoka più esperto che si trovò sulla sua strada, un altro Ippon ed era in semifinale, adesso era davvero a un soffio!

Guardò verso il settore italiano dove la folla era aumentata, la sua famiglia era ancora lì, Veronica gli mandò un bacio e lui le rispose allo stesso modo, vide Edoardo ridere e lo fece anche lui, si allontanò verso il settore in cui stava la squadra. I tre allenatori erano orgogliosi, sia lui che Ylenia, che stava affrontando la gara femminile in contemporanea a quella maschile, stavano andando bene. La ragazza era nuovamente in zona medaglie, così come era avvenuto ad Atlanta quattro anni prima, poteva sperare nel bronzo ed era determinata a bissare. Francesco aveva tifato per lei dal divano di casa ed ora erano lì insieme, due italiani vicini all'impresa!

Quando tornò, dopo aver ottenuto l'accesso alla semifinale, tutto lo staff azzurro lo sommerse di abbracci. Non ci credeva, rimase fermo a vedere l'incontro da cui sarebbe arrivato il suo avversario e quando vide che si trattava di Mark Huizinga, tremò. Aveva perso contro di lui agli agli europei pochi mesi prima, si conoscevano bene. Francesco sapeva, che era dannatamente in forma e quel giorno lo stava dimostrando. Ebbe un attimo di sconforto, ma non disse nulla. Anche Michele lo aveva affrontato diverse volte nella sua carriera e si accorse dello stato d'animo del ragazzino. Aveva peso la strafottenza, era silenzioso e preoccupato, intento a guardare la gara femminile, come se fosse interessantissima, anche se era evidente che non stesse seguendo nulla.

«Puoi batterlo, devi solo crederci, oggi sei stato fenomenale!»

«Michè, mi ha distrutto all'europeo, è il suo anno, l'hai visto finora?»

«Beh, vorrà dire che si prenderà un onorato bronzo, se è così bravo, la prossima la vince, ma adesso dai tutto e battilo!»

«Pensi che potrei?»

«Penso che ti preferivo quando dicevi cazzo ogni tre per due! Forza non fare il lattante o la tua bella fidanzata ti sculaccia!»

«Vorrei vederla! Cazzo, quello scricciolo è capace di farmela pagare comunque! Hai ragione posso farcela! E poi, che cazzo, ho promesso a Vè, che ci avrei provato fino infondo e io le promesse le mantengo!»

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