LXXXIV- Una reazione prevedibile.

13 6 4
                                    

           
Trieste, 1° gennaio 2001

«Il 4 febbraio! È il quattro febbraio giusto?»

Chiese nuovamente Antonio Radin, a nessuno in particolare, camminando in tondo sul tappeto persiano del salotto. Era un bel tappeto, lui e Maria Adriana lo avevano comprato in viaggio di nozze, lo aveva sempre amato, tutte le sue figlie avevano gattonato su quel tappeto. Sì era davvero bello, adesso la sua testa era piena di piccoli dettagli insignificanti, come i colori della lana e della seta che aveva sotto i piedi, i ricordi delle sue bambine che giocavano in quel punto della stanza e quella data. Sì, continuava a venirgli in mente, era come se non riuscisse a non pensare a quel giorno. Così guardò le persone sedute nel salotto, chi in poltrona, chi sul divano, Emma sul suo prezioso tappeto. In quella riunione di famiglia era presente anche Pietro e questo lo rincuorava, essere l'umico uomo in quel momento lo avrebbe mandato al manicomio.

«Oggi è il 1° gennaio...»

Disse Laura con voce titubante, guardando il padre della sua migliore amica come se fosse impazzito, non aveva idea del perché si fosse fatta convincere a rimanere in quel momento. Antonio Radin la guardò come si fa con chi ha detto la peggior stupidaggine del mondo e forse era così, ma Laura davvero non capiva perché continuasse a chiedere se fosse il quattro febbraio. Certo gli avevano comunicato che stava per diventare nonno, ma non credeva che una notizia simile facesse impazzire, tanto più che era un uomo decisamente giovane, quanti anni avrà avuto? Sapeva che non arrivava a cinquanta, forse quarantacinque ben portati? Un paio in più? Non era lontana, aveva più o meno l'età del padre, che di anni ne aveva quarantanove, quindi la demenza senile davvero era strana.

Maria Adriana, poggiò una mano sulla gamba di Laura e sorrise alla ragazza, era un sorriso tirato, il primo che faceva da quando aveva visto quel dannato bastoncino di plastica, che le comunicava il suo futuro stato di nonna prima di compiere quarantacinque anni. Le sembrava impossibile, solo l'anno prima, per una settimana, aveva avuto la paura di essere lei in attesa e invece,non solo sarebbe diventata nonna, ma non era, nemmeno, la maggiore a darle questo privilegio. Non che volesse che Sara si rovinasse la vita con una gravidanza in piena Università, ma in quel momento ci avrebbe messo la firma venti volte. Guardò il marito, che sembrava un leone in gabbia e stava facendo un solco nel pavimento camminando in tondo. Era convinta che l'avrebbe presa peggio, o forse il fatto che non stesse urlando non era un buon segno?

Prima che l'uomo, che nel lontano 1977, era diventato il suo sposo, potesse uccide Laura per la sua domanda, che agli occhi del marito era stupida come poche, si affrettò chiedere:

«4 febbraio, magari 1986, è questa a data di cui parli, vero Antò?»

Disse la donna con voce pacata e un sospiro, vide Anna nascondersi il viso con le mani, il marito che sbottò un seccato:

«Quale altra?»

«Già, quale altra? Perché vuoi ricordare quel giorno?»

Chiese la moglie cercando di calmarlo, era una pentola a pressione pronta ad esplodere. In genere non esisteva uomo più pacato, ma niente era più prezioso della sua famiglia e Maria Adriana sapeva che era furioso, lo conosceva come nessun'altro.

«Secondo te? Ti ricordi cosa hai fatto quel giorno di quattordici anni fa? Perché come Laura qui ci ricorda, siamo a gennaio! Quindi non sono passati ancora, nemmeno quindici, fottuti anni! Cazzo!»

Urlò in faccia ad Anna, che si rattrappì nascondendosi dietro Giulia, mentre a Emma si riempiva il volto di lacrime. La più piccola era spaventata da quest'uomo arrabbiato, con i pugni stretti, gli occhi arrossati e le vene del collo gonfie, che urlava in quel modo, quest'uomo, che somigliava a suo padre, ma non si comportava come lui.

I Ragazzi della città del ventoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora