Capitolo 36

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Capitolo 36.

Non so di preciso cosa in particolare l'avesse eccitata così tanto, ma non mi dispiaceva affatto.
Nudo come mamma mi aveva fatto con Alice come mio unico vestiario, potevo dare sfogo finalmente alla mia eccitazione.
La sua camicetta bianca volò via in un istante senza disintrecciare le nostre lingue.
Le mie mani erano intente a slacciare quel suo maledetto bottone dei pantaloni di pelle troppo stretti e scomodi al nostro spasmodico obbiettivo, ma volarono via anche quelli rischiando anche di romperli.
Destino che toccò alle sue mutandine, quelle si, fecero davvero una brutta fine.
Finalmente ad armi pari, eravamo vestiti solo della voglia di mangiarci.
Il suo solito fare voleva prendere il sopravvento, spingendomi con tutta la forza che aveva contro gli armadietti, facendomi anche sbattere la testa, ma quella volta, non avevo voglia di dargliela vinta.
Sarà stata la mia forzata castità appena conclusa, l'alzai di peso facendole perdere ogni appoggio, come ogni pressione su di me.
I suoi occhi stupiti ma eccitati mi instaurarono ancor più fiducia verso la strada giusta in quell' istante.
Scalciava la bambina cattiva, ma nessun diniego uscì dalla sua bocca anzi, l’eccitazione verso quell'inaspettato ammutinamento bruciava dentro di lei.
Fui io a prenderla questa volta, dirottando entrambi sul muro apposto.
Poggiai la sua schiena sulle fredde mattonelle, mentre la sua aria di sfida consumava velocemente l'ossigeno del camerino.
Le sue mani che cercavano di allontanarmi e le sue gambe invece ben avvinghiate a me dicevano tutto.
Era una lotta oramai su chi dettasse il ritmo, se non di chi comandasse il gioco.
A volte mostrava i denti, quasi soffiando come una gatta inferocita, ma poi non riusciva a socchiudere gli occhi presa nell'estasi del momento. Sembrava far l'amore con due persone ben distinte ed opposte.
Una che diceva:
"Questa me la paghi amaramente"
e l'altra che intimava di continuare.
Di certo io ascoltavo solo la seconda, finché non sentii sparire la prima sempre di più.
Oramai anche le sue mani non si opponevano più stringendomi a sé calda e grondante di entrambi.
La mia partita era quasi vinta, se non che, ammetto, non riconoscendo quella diavoletta divenuta angelo, mi venne la folle idea di fermarmi di colpo.
I suoi occhi si sbarrarono di colpo infiammati di rabbia e le sue unghie affondarono per diversi millimetri nella mia carne.
Alice era tornata.
Ripartii all'istante, sotto la sua furiosa rabbia per il mio palese dispetto.
Scalciante anche più di prima, protestava contro il perduto controllo premuta tra me e il muro.
Strizzava gli occhi incredula di come la nuova situazione la eccitasse nonostante era fuori dal suo pensiero di dominazione.
Ritornò inevitabilmente ad abbandonarsi, implorante questa volta. Il suo sguardo pregava pietosamente di non fermarmi ancora.
Mi guardava dritto negli occhi, come sempre avevamo fatto, ma questa volta non era lei a comandare.
Innamorata rilassava le sue cosce donandomi anche quei millimetri di penetrazione in più, ogni sua velleità era morta, stringendomi forte tra le sue braccia.
Attendeva solo quello che inevitabile stava giungendo per entrambi, occhi negli occhi nella rivoluzione momentanea dei nostri ruoli.
Conoscevo a memoria la sua apnea e questa volta sembrava non finire mai.
Insistevo quasi impaurito guardandola non riprender mai fiato, sperando che lo facesse da un momento all'altro.
I suoi occhi fissi preludevano imminente l'esplosione dell’attimo.
Riprese finalmente fiato anche se per urlare questa volta, mentre mi abbandonai anch'io alla mia inevitabile conclusione, sia per l'eccitazione che per l'assurdo pericolo scampato.
Non glielo dissi mai, ma mi ero spaventato davvero.
Respiravamo praticamente l'aria nella bocca dell’altro con nessuna voglia di staccarci, ancora uniti ed immobili, tornammo a fissarci sbalorditi di ciò che era successo.
L'ammutinamento era riuscito, ed ora la Padrona sembrava non riuscire più a ricomporsi nel suo ruolo naturale, ma l'azzurro dei suoi occhi brillava come non mai abbandonata completamente all'accaduto.
La adagiai lentamente, facendole ritrovare il contatto con il pavimento che le avevo sottratto tutto il tempo.
Feci un passo indietro per volerla vedere tutta intera, nel tentativo di scattare un’immagine totale di lei nel mio cervello.
Se ne stava poggiata sul muro con un palmo della mano su un occhio e le dita dell'altra tra i capelli, sconvolta, cercava di riprendersi dall'accaduto.
Mi venne in mente allora di inginocchiarmi tornando a quattro zampe da lei e con il guinzaglio in bocca strofinai la mia guancia sulla sua coscia, come un cucciolo in cerca di carezze.
Volevo farle capire immediatamente che nulla era cambiato e che lei sarebbe stata sempre la mia Padrona.
Non potevo vederla da lì sotto ma le sue carezze facevano intendere la sua totale approvazione.
Di tutto punto si abbassò anche lei alla mia altezza, mi prese il viso tra le mani, mi guardò dritto negli occhi dicendo.
"Ti amo campione".

SWIM SWITCH amori pericolosiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora