capitolo 9

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Chiamai Alice da una cabina telefonica fuori dalla piscina, mentre i ragazzi si avviavano verso un ristorante non lontano.

Nonostante odiassimo entrambi la comunicazione telefonica, in certi casi, era del tutto inevitabile doversi sentire così.

Non ascoltavo la sua voce da troppe ore e il mio cuore ne risentiva.

Mi mancava terribilmente, ancor di più dopo gli ultimi avvenimenti.

Strani come eravamo, scambiammo pochissime parole per confortarci di esserci l'un per l'altro, anche se a nostro personalissimo modo.

Chiudemmo velocemente la comunicazione con il consueto

"Ti amo" e poi raggiunsi gli altri nel ristorante.

Mi sedetti tra Mattia e il coach, durante il pranzo leggero, in un silenzio quasi surreale.

Eravamo tutti concentrati sulle gare del pomeriggio, tranne Sasha che smaltita la delusione, si prodigava a caricare il resto del gruppo riempiendo di chiacchiere i silenzi che scorrevano tra noi, per via della tensione che man mano saliva.

Martina questa volta era più distante, senza però mai perdere l'occasione d'incrociare i miei sguardi.

In lei era visibile tutta la sua sbandata per me.

Nella mia testa stavo già cercando le parole giuste per farla indietreggiare senza farle del male, o almeno, quella era la mia intenzione.

Vivevo una situazione di contrasto, tra le lusinghe di quei bellissimi occhi verdi su di me e l'impossibilità di poterle dichiarare le mie stranezze, in perfetto contrasto con la sua purezza giovanile, ma al contrario così compatibili alla mia Alice.

Dopo il pranzo tornammo in piscina a piedi, sempre più silenziosi, ma anche sempre più vicini e uniti, consci che quello fosse un pomeriggio molto importante per tutti noi.

Feci i soliti gesti dagli spogliatoi alla vasca, tuffandomi per il riscaldamento in attesa dei giochi seri.

La tensione, in quegli istanti, si tagliava con il coltello e si mangiava con la forchetta, da quanto era presente e concreta l'ansia nell'aria.

Questo si percepiva nello sguardo di chiunque s'incontrava nelle finali pomeridiane, sia negli atleti che negli allenatori.

Per noi cominciò a nuotare Ivan.

Nella finale dei 100 dorso il gemellino slavo conquistò un buon quinto posto, aprendo bene le danze per la nostra squadra.

Poi fu il turno di Erika, sesta nei 200 dorso, all'esordio anche Lei e così via fino al terzo posto di Mattia che portava il primo bronzo alla nostra squadra nei 200 stile libero.

Ce ne stavamo tutti uniti in gruppo a guardare le gare dei compagni, quasi quasi con un impegno maggiore del nuotatore di turno.

Ogni tanto ero vicino a Yuri, poi a Paola, di tanto in tanto a Martina, in un gioco molto casuale.

Ero molto preso dal volere spingere sempre più forte i compagni impegnati a nuotare.

Arrivò il turno di Martina, nella corsia cinque a dare tutto di se nei suoi 200 misti.

Seguii la sua gara dalla camera di chiamata, poiché toccasse a me gareggiare subito dopo di lei.

Ottima la sua partenza, mi dissi.

Martina effettivamente fu troppo veloce nella prima vasca delfino, per poi accusare nelle vasche a dorso e rana dove lei era carente, scivolando fino all'ottava e ultima posizione.

Pensavo avesse ancora troppa foga e generosità, a discapito di una condotta di gara più saggia e riflessiva, ma negli ultimi 50 metri a stile libero mi smentì, venendo fuori rimontando metro dopo metro quasi tutte le posizioni.

Dalla mia prospettiva, vedevo lei in primo piano nuotare sempre più forte e i miei compagni di squadra sullo sfondo ad agitarsi non poco, con il coach che urlava fino quasi a cacciarsi un polmone dalla gola, pur di farle sentire le energie arrivarle da tutti loro.

Non ci potevo credere, quella che consideravo una bimba fino a poco tempo prima, si stava divorando un'avversaria dietro l'altra, andando persino a toccare per terza.

Non ci potevo credere, pensavo avesse dato il meglio di se in mattinata ed invece, ne aveva ancora da vendere.

Potevo vedere la sua gioia mentre usciva dalla scaletta laterale questa volta.

Avevo le lacrime agli occhi quando il giudice in camera pre-chiamata fece il mio nome all'appello della mia finale. Entrai sul piano vasca ancora emozionato per lei.

Ormai non la vedevo più, chiusa dentro l'abbraccio di tutti i compagni nel nostro angolo a festeggiare per la sua medaglia di bronzo vinta.

Toccava a me e lo sforzo più grosso era non piangere di commozione per lei.

Fissai il blocco di partenza, mentre indossavo i miei occhialini, poi il bordo opposto in fondo ai 50 metri, pensando.

"Si va e si torna in un attimo"

Era da sempre la mia rutine scaramantica ritrovando la concentrazione di colpo, quella che isola da tutto.

Solo il grido praticamente assordante della mia compagnia entrò nel mio cervello.

"LUCKYYYYY!!!"

I ragazzi erano indubbiamente tutti con me.

Dopo i soliti tre fischi, salì sul blocco numero 4 che mi conquistai con il primo tempo della mattinata.

Attesi inerme.

La piscina tutta a un tratto si fece incredibilmente silenziosa.

"Take Your markes"

La voce dello starter annunciava il mio momento.

SWIM SWITCH amori pericolosiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora