13 anni fa.
Dai ad un bambino una casa sull'albero e sarà il suo castello. Dagli un intero maniero, e sta pur certo che ti sei tolto il marmocchio di torno per almeno tre settimane.
Non che la padrona di casa volesse levarsi dai piedi sua figlia. Ma non la faceva impazzire l'idea che bazzicasse vicina a quella gente.
La festa di inaugurazione della loro nuova dimora era stata un discreto successo anche se avrebbe preferito una cena intima tra di loro, piuttosto che avere per casa tutta l'Alta Società. Piuttosto azzardato, considerando che aveva dovuto segregare la sua pargoletta da sola nell'altra ala come una rinnegata. Ma i loro pomposi parenti non avevano resistito allo sfoggio dell'opulenza.
La loro nuova abitazione era da sempre stata il fiore all'occhiello della famiglia. Costruita su una propaggine strategicamente ricolma di fitti boschi, era un vero e proprio capolavoro di architettura di fine ottocento.
Quattro piani, infinite stanze e terrazze, la pianta era a ferro di cavallo e si apriva sul giardino principale con una loggia alla quale si accedeva tramite scalinate gemelle, solitamente usata come palcoscenico durante le feste che, grazie a dio, sarebbero state poche d'ora in avanti.
In facciata, tale palco si mostrava sormontato da un frontone di tempio ionico e quattro colonnine, mentre internamente, perlomeno al pian terreno, tutti gli ambienti si distribuivano simmetricamente attorno ad un salone centrale, sul cui fondo si ergeva un'enorme scalinata di marmo bianco che portava ai piani superiori dividendosi poi in scale più piccole, a destra e a sinistra.
Se il giardino principale era piccolo e ben curato, pieno di fontanelle e siepi concentriche, quello dietro era selvaggio, circondato da rose e affacciato su un bosco nero. Sua figlia aveva richiesto che la sua camera da letto fosse su quell'ala della villa.
Amava il silenzio, la sua bambina. Le piaceva il sapore del vento che proveniva da quegli alberi, l'odore del muschio e del legno di pino. Era per lei che avevano deciso di andare ad abitare laggiù, isolati dal resto del mondo.
Saperla chiusa e lontana dal resto della famiglia in un giorno così importante le metteva un gran malessere dentro, ma la piccola in verità si stava divertendo parecchio.
La casa era enorme, le vetrate ampie a forma acuta avevano tasselli verdi e rossi che distorcevano la realtà esterna. Un enorme labirinto da esplorare, la prima novità della sua vita.
Correva senza paure, così, una piccola streghetta riccioluta di quattro anni. Tutti quegli estranei rimanevano al pian terreno ad ascoltare la voce di sua madre che ne aveva approfittato per distribuire i volantini della sua nuova associazione. Lei era invece libera di sgattaiolare per tutti i corridoi ai piani superiori!
Sperò che non si affaticasse troppo, visto che era prossima al parto. Il suo pancione gonfio ogni tanto faceva delle pernacchie e si illuminava tutto. La sua sorellina doveva essere una peste!
"Dio, quanto è caduta in basso questa famiglia."
Una voce fredda, sibilante e sconosciuta, paralizzò la bambina sul posto.
Al quarto piano c'era qualcuno. Proprio dentro la sala del pianoforte.
Avrebbe dovuto allontanarsi, come le diceva sempre sua madre. Ma la curiosità ebbe la meglio sugli avvertimenti e sulla paura.
Una casa nuova, un bosco, e qualcuno che non doveva essere lì: forse quella era la voce di una fata.
Ma quando, senza farsi notare, sporse il nasino oltre lo stipite, non furono delle fate quelle che vide.
O forse lo erano, affascinanti fate del male dagli occhi gelidi che fumavano sigari profumati.
C'erano due donne, nella stanza. Giovani, splendide.
La prima aveva un aspetto burroso, pelle candida, bocca piena, lunghissimi boccoli che le coprivano in ampie onde di velluto nero la schiena. Spalle dritte, portamento fiero, un vestito verde oliva a maniche lunghe bordato di pelliccia dalla scollatura ampia e sensuale.
La seconda aveva capelli di un pallido biondo legati in una coda bassa, divisi sulla fronte in due boccoli, di piccola statura, occhi neri come pece, agghindata come un uomo.
La bruna si appoggiò allo stipite, continuando a fumare, strizzando gli occhi di tanto in tanto con fastidio.
"Se sento ancora un'altra stronzata sul mischiarsi ai babbani do fuoco a tutto quanto." Sibilò, disgustata. "Quella schifosa maganò inizia a darmi sui nervi."
"Tuo fratello Alphard sembra gradirla."
"Bastardo." La strega digrignò i denti. "Ha perso la testa, quell'imbecille. Si è messo in testa che vuole sposare una babbana, nostro padre Pollux si starà rigirando nella tomba. Fortunatamente Cygnus non ha quella tara nel cervello."
"O non lo avrei scelto come marito. Iniziamo?" Sorrise Nartrix Rosier, agitando la bacchetta e facendo levitare in cerchio alcune fotografie. "Il pargoletto ha dato ancora problemi?"
"E' ribelle." Ringhiò la Black. "Non riesce a stare al suo posto. Ho dovuto sedarlo, non sopportavo più la sua voce."
"Che mammina modello."
La Black scoppiò a ridere. Lentamente, si avvicinò alla cognata, abbassandosi vicina al suo orecchio. Sembrava un abbraccio affettuoso ma i ghigni di entrambe si spensero, per far posto ad uno sguardo crudele, vorace e senza vita.
"Vogliamo parlare di te invece?"
"Ossia?"
"Pensi che non me ne sia accorta, Rosier?" le sussurrò Walburga, diabolica. "Che hai usato l'Imperius su mio fratello minore?"
La bionda scostò appena il viso, quasi con noia...ma la sua mano scese sull'elsa della spada, appesa ai suoi fianchi snelli da una cintura di cuoio. La tensione divenne densa come burro.
"Sei la più intelligente tra tutti i tuoi fratelli, mia cara Walburga."
"Non credevo che l'ambizione dei Rosier sarebbe arrivata a tanto, sai?"
"Sai com'è." Continuò l'altra, accarezzando la sua spada. "Chi arriva per secondo ambisce sempre a prendere il posto del primo. O a salire sul podio assieme, nel mio caso."
"C'è chi è morto per molto meno."
"Vuoi forse uccidermi, Walburga?"
Questo parve divertirla. La strinse come un'amica, passandole un braccio attorno alle spalle e assumendo un'aria civettuola che aveva un non so che di folle.
"Nartrix cara, certo che no!" ridacchiò con vocetta stridula, prima di abbassarla nuovamente ed esibire un'espressione furba. "Lo sai, non me ne importa niente...se hai messo sotto Imperius quell'imbecille di Cygnus e hai preso tu le redini della vostra famiglia. Non farò la spia, non temere...anzi, è meglio così. Mio fratello non ha abbastanza spina dorsale. Con te al comando, è tutta un'altra storia! E' per questo che ora ci sei tu, qui, e non lui, a partecipare al Rito di Sangue di Sirius."
La bambina si aggrappò allo stipite, inquieta. Le veniva da piangere e non sapeva il motivo.
Si dice che i bambini siano particolarmente sensibili alla magia nera...e mentre le foto iniziarono a vorticare in cerchio nella stanza e le persiane vennero chiuse telepaticamente, l'aria lì dentro iniziò a darle fastidio. C'era qualcosa di oscuro, che stava iniziando ad aleggiare tra loro.
Ciò che impedì alla piccola di fuggire fu un bambino.
Walburga Black si avvicinò ad una poltrona, togliendo un lenzuolo e scoprendo un marmocchio addormentato. Capelli neri come velluto, le nocche delle mani sbucciate, lunghe ciglia che sfioravano zigomi alti.
Un colpo di bacchetta e il piccolo aprì gli occhi. Non pianse, non proferì parola. Alzò solo lo sguardo sulla madre...con espressione vacua.
Assente.
"Non piange." Notò Nartrix, mentre la donna lo tirava in piedi bruscamente. "Di solito i mocciosi si innervosiscono quando devono farlo. Gli dà fastidio la magia."
La madre si chinò sul figlio, poggiando entrambe le mani sulle sue spalle esili.
"Digli il metodo che usa la mamma per non farti piangere, Siry."
Nessuna espressione. Solo quegli occhi vuoti, una calma e una durezza non adatti ad un bambino.
"Ad ogni lacrima che mi cola dagli occhi corrisponde un colpo di bastone." Mormorò.
"Visto?" belò la strega, soddisfatta. "Mi fa impazzire, mi danna l'esistenza con tutti i guai che combina. E ha un modo di guardarmi che non mi piace, è ribelle come il demonio. Ma almeno non piange mai."
Lo abbracciò da dietro, avvolgendolo tra le braccia e posandogli le labbra sulla guancia con espressione quasi famelica.
Nartrix girò le spalle, iniziando a recitare qualcosa...come una litania, che parve prendere forma. Le parole che le uscirono dalle labbra lo fecero non solo sottoforma di suono ma anche in forma fisica, unendosi fino a creare un lungo nastro di simboli, che si intrecciò fino a formare una cupola.
Le fotografie vi vorticavano all'interno, come impazzite.
"Ora, mio amato primogenito, ho bisogno del tuo sangue." Sussurrò Walburga. "Fai questo per la tua mamma."
Sì, per la mamma un bambino farebbe qualsiasi cosa. Anche allungare la mano e farsi tagliare il palmo da un coltello affilato.
Tutto, pur di ricevere ancora quell'abbraccio. Pur di avere una briciola del suo amore.
Le madri hanno molte armi per manipolare i propri figli.
Il sangue colò sul nastro magico ed improvvisamente, la cupola che li aveva avvolti si tinse di rosso. Iniziò a brillare, ad emettere un cupo brontolio. La casa intera parve tremare un poco, con un sibilo sordo.
Le fotografie vorticavano così velocemente ora da sembrare un'unica massa indistinta.
Aveva paura, Sirius Black. Ma non pianse. Non pianse mai.
A differenza della piccola bambina che, nascosta dietro la porta, bagnava le sue guance rosate di lacrime di sale, così tanto terrorizzata da non riuscire più a muoversi.
"Ha ora inizio il Rito." Mormorò Walburga, agguantando un braccio a suo figlio. "Qui davanti a te, figlio mio, ci sono i nemici della tua famiglia. Oggi, come ad ogni quarto compleanno dei primogeniti dei Black, abbiamo l'occasione di liberarci di uno di essi senza alzare la bacchetta. Oggi si compie il tuo destino. Alza la mano e rendici onore."
Sì, per la propria madre si fa di tutto. Anche perdere la propria innocenza. Perché da bambini, la propria madre è il centro dell'universo.
Aveva quattro anni, Sirius Black, quando senza nemmeno saperlo, segnò il destino di un suo simile.
Alzò la mano in quel vortice, sfiorò una fotografia...e tutto parve rallentare.
C'era una donna, su quella che aveva preso, in modo totalmente casuale, colmo di terrore, colmo di inconsapevolezza. Erano solo foto, no?
Non poteva succedere nulla di male. E la sua mamma aveva un profumo così buono...
"Ma tu guarda." Nartrix sogghignò. "Divertente caso del destino, non trovi?"
"E' anche incinta." Sorrise compiaciuta Walburga. "Dici che il bambino che porta in grembo renderà vano il rito?"
"Niente rende vano il rito. Il potere di un bambino che perde l'innocenza è quanto di più potente al mondo. Nemmeno le gravidanze riescono a competere."
La risata riecheggiò macabra dentro la stanza.
"Due in uno!" annunciò divertita la donna, prima di abbracciare di nuovo il piccolo. "Sei stato bravo. Sei felice? Hai reso contenta tua madre. Ora sei un Black a tutti gli effetti."
La bambina cacciò un grido, quando la foto le fu visibile. Perché su quella foto... c'era la sua mamma. La sua bella e giovane madre. Ricordava quella fotografia. Era stata scattata al parco, lei rideva con i capelli al vento...ma ora qualcosa era cambiato. Nello scatto, la donna non rideva più.
Strillò di nuovo quando la foto iniziò a sanguinare e l'intera casa tremò fin nelle fondamenta.
Le donne non la sentirono nemmeno, tanto era il frastuono...ma il bambino che aveva preso la foto sì.
Si girò verso di lei di scatto e per un istante, i loro occhi si incrociarono.
La bambina arretrò, fino a correre via.
Al piano di sotto, qualcuno iniziò a urlare.
STAI LEGGENDO
M.A.R.A.U.D.E.R.S.
FanfictionNell'oscurità di una guerra incombente, le sfrenate e spensierate esistenze dei Malandrini si sfilacciano negli intrighi di una Hogwarts sempre più ricca di pericoli ed insidie. In un labirinto di incertezze, nell'ultimo anno l'amore sembra essere l...
