La neve era caduta a grandi falde, quella notte. Folate di fiocchi si erano ammassate contro Londra, impolverendo gli spicchi degli alberi e le tegole consunte della scuola, riempiendo fossati, livellando pertugi e addolcendo le forme aguzze dei gargoyle.
Il cielo di quella mattina di dicembre si stendeva immobile e grigio come l'ala di un allocco e nell'aria si sentiva come un lieve crepitio, il rumore ovattato della neve che indurisce le radici degli alberi e cristallizza i fiori.
Il suono di alcuni stivali di gomma fu inghiottito come se stessero calpestando del cotone.
Lily Evans uscì dalla Foresta Proibita sistemandosi meglio la cuffietta di lana sulla testa. Aveva i capelli imperlati di alcuni fiocchi gelidi, le guance ed il naso arrossato, ed il respiro le usciva in voluminose nuvole di condensa.
Gli occhi lucidi, la bocca gonfia dal freddo, appena screpolata sul labbro superiore. La piega all'ingiù, seccata.
"Niente, nemmeno oggi!" si lamentò, incrociando le braccia e voltando il capo.
James Potter emerse dagli alberi scostando un ramo sopra la testa, sbuffando.
"Te l'avevo detto!" Sbottò, affiancandola. "E' la terza volta che mi sveglio all'alba per niente!"
"Perché non si fa vedere? Forse il cervo non gradisce la tua presenza..." borbottò la ragazza, sfiorandosi il mento come se non l'avesse nemmeno sentito.
"Che?! Semmai sei tu che hai il passo di un elefante! Come cacciatrice faresti pena, lo sai?!"
La vide accigliarsi e alzò gli occhi al cielo.
Colpita e affondata. Erano tre giorni che Potter l'accompagnava lì dentro, insolitamente docile alle sue richieste di seguirla, e l'occhio attento della Grifondoro una cosa l'aveva notata quasi subito.
Quel ragazzo sembrava non avere peso. Nel camminare non faceva il minimo rumore, si muoveva fluido e lento come un'ombra, fermandosi di tanto in tanto e aguzzando la testa nel cogliere cose che a lei sfuggivano.
Perfettamente a suo agio. Perfettamente in armonia con tutto ciò che apparteneva a quel posto.
Al contrario, la povera Prefetto inciampava praticamente in continuazione, si era già bucata tre paia di pantaloni e si ritrovava ogni volta ricoperta di spine e rametti!
"Beh, scusa tanto se non passo qui le mie giornate!" rimbeccò. "E comunque ti ho già detto che non era un animale normale! Ti assicuro che non aveva paura..."
"Beh, qualunque cosa fosse, se n'è andato." Le rispose James, guardando altrove. "Non ci riesci proprio a lasciar perdere?"
"Ma si può sapere perché ti dà tanto fastidio questa storia?!"
"Eh?" balbettò quello, quasi balzando all'indietro. "Ma no...è che...ecco..."
"Marauder Evans!"
A salvarlo in corner fu l'arrivo tempestivo della caposquadra psicolabile di quello che a tutti gli effetti era stato allegramente nominato "La brigata delle Mini-Evans", anche dette "Branco di imbecilli premestruali."
Charlotte Blossom, si chiamava. Tredici anni, visetto minuto accarezzato biricchinamente da un paio di codini color carota, un principio di acne sulle guance che si mescolava alle lentiggini e l'apparecchio ai denti.
Come potesse quella ragazzina far parte di un fanclub che iniziava per "Marauder" e contemporaneamente anche del Comitato della Morale pubblica era un bel mistero, ma l'occhiata sdegnosa che lanciò ad entrambi la disse lunga.
"Da soli nella Foresta?" pizzicò, alzando un sopracciglio.
Prima che Lily potesse aprir bocca, il demonio si palesò nel sorrisetto di James che le circondò il collo con le braccia.
"Oh no, ti giuro che non è come credi...sembra che stiamo solo passeggiando! Ma in realtà stiamo facendo sesso!"
La Blossom schioccò la lingua, unica espressione di fastidio, ed incrociò le braccia al seno inesistente.
"Imbecille!" sbottò invece la rossa, tirandogli repentinamente un orecchio con tutta l'intenzione di staccarglielo. "E' solo una bambina!"
"Oh tesoro non fraintendermi, io adoro i bambini! Specialmente quando piangono, perché a quel punto qualcuno se li porta via!"
"E' quantomeno disdicevole!" saltò su la nanerottola. "Mandy Harpies vi sta con il fiato sul collo, lo sapete? Perlomeno dovreste aspettare fino al matrimonio..."
Entrambi su guardarono, gonfiando le guance.
"Che? Matrimonio? Noi?"
E giù a sganasciarsi dalle risate, tendendosi la pancia e battendo i piedi in terra, il tutto condito con un'occhiataccia acida verso l'altro. Il ché fu abbastanza disturbante come visione e fece chiedere alla piccola Tassorosso se quei due non avessero qualche problemino mentale.
Comportarsi in quel modo bizzarro però era l'unico stratagemma che avevano trovato per levarsi dai piedi il più velocemente possibile quel branco di galline, infatti la piccoletta raddrizzò le spalle e con voce sussiegosa informò la Prefetto che era attesa nel pomeriggio in Sala Professori per l'organizzazione del Ballo di fine anno.
Mentre si allontanava, Lily si batté una mano sulla fronte.
"Ecco, ci mancava pure un altro Ballo!"
"Vero, che palle! Trovare sempre nuovi modi per portare alcolici in sordina inizia ad essere una faticaccia."
"Oh, va a quel paese Potter!"
Sfilò la borsa dalla spalla, scrollando i capelli dall'ultima neve e inginocchiandosi.
"Devo anche passare per la Biblioteca..." borbottò, rovistando nella borsa fino a che non cadde fuori una minuscola pallina di vetro, circondata da ghirigori di metallo che andavano a formare un grosso occhio verticale.
"E quello?"
"Oh, questo." Lei lo prese in mano, rigirandoselo. "L'ho confiscato a Laverne McLaird. E' un Verboscopio. Se qualcuno mente diventa rosso, se qualcuno dice la verità diventa verde. E' illegale e lo stava utilizzando su alcuni Grifondoro del quinto anno...assurdo, una Prefetto che fa queste cose!"
Non la stava più ascoltando. Rovesciato nella neve, c'era un libro.
Il titolo svettava a chiare leggere. "Gli animali della Foresta Proibita".
Ma era seria?!
"Stai scherzando, mi auguro!"
Beccata. Lily lo afferrò, infilandoselo in saccoccia.
"Dovevo pur cominciare da qualche parte!"
"Vuoi ancora cercarlo?!" Potter fece il giro e le si piazzò davanti. "Sono tre giorni che fai cilecca, quanto ti ci vuole per capire di mollare la presa?!"
"Lo vedi che sei infastidito?! Si può sapere che problema hai?!" frecciò la ragazza, incamminandosi con un movimento stizzoso. "Lo cercherò fino a che mi andrà! Fattene una ragione!"
Dannata testarda!
James rimase un secondo di più immobile a fissarle le spalle, i capelli più scompigliati del solito. Poi assunse un'aria battagliera e in due grandi falcate le sbarrò la strada.
"Ok, che cos'ha?" chiese, duro, impedendole di fare un altro passo. La ragazza sgranò appena gli occhi.
"Cosa...?"
"Che cos'ha di tanto speciale quell'animale?" azzardò perfino a metterle una mano sulla spalla, facendo attenzione a non scuoterla troppo ma premendole sulla pelle. "E non venirmi a raccontare ancora la storiella della ricerca accademica, non ci casco. Ne sei ossessionata, infrangi le regole, mi chiedi di accompagnarti nella Foresta, non ti occupi dei tuoi impegni di Prefetto e solo ieri hai preso la prima S della tua vita quindi ora voglio saperlo! Che cos'è che stai cercando davvero?!"
La vide mordersi un labbro, chinare la testa. Non l'aveva mai fatto di fronte a lui e per un istante si chiese se non fosse stato troppo aggressivo.
Era solo che...tutta quella faccenda...lo gettava nel panico completo.
Non solo si era mostrato a lei quando era trasformato. No, c'era anche dell'altro, un pensiero più egoistico... l'aveva baciata.
E in qualche assurdo angolo remoto del suo cuore sentiva che anche lei lo sapeva.
Ma che cazzo gli era passato per la testa?!
Lei lo sapeva che quello era stato un bacio! Un bacio vero!
E una volta che ne avrebbe preso piena coscienza, allora...allora sarebbe stato tutto perduto... in qualsiasi campo.
"Ok, so che sembra strano." Mormorò la rossina, a disagio, quasi triste. "Ma...quel cervo..."
"Non dirlo, non dirlo, non dirlo..."
"E' come se ci fosse stato un legame, tra di noi. L'ho sentito, capisci?" lei scosse la testa con un gesto brusco, mettendo su il broncio. "Ecco, ora puoi ridere."
Il ragazzo ricambiò il suo sguardo agguerrito riuscendo non si sa bene come a mantenere un'espressione neutrale.
"Un... legame?"
"Lo so, sembra assurdo." Ora la sua espressione si fece inquieta, se non addirittura infelice. Furono quei suoi occhioni smarriti a mettere a tacere l'urlo nel cuore di James Potter, che si ritrovò spiazzato da quel repentino cambio d'umore. "Sai, James..."
Si interruppe, guardando lontano. Come se lottasse contro qualcosa.
"Stai bene?" le chiese, sentendosi pesante.
Tutta quella discussione si era fatta pesante, all'improvviso.
"Malfoy mi ha fatto una paura tremenda."
Glielo disse così. Senza guardarlo negli occhi. Umiliata da quel semplice fatto.
La neve aveva ripreso a cadere, sofficemente. Un fiocco si adagiò sul bavero del suo cappotto, sciogliendosi piano.
"Non so nemmeno perché lo dico a te. Forse perché eri lì, più o meno." Lei sorrise amara, guardando il cielo di nuovo affastellato di nubi e ghiaccio. "Lo so che ho fatto la dura e tutto il resto, e ammetterlo mi pesa parecchio. Cavoli, essendo io una Grifondoro dovrei non avere paura, no? E invece...quello che mi ha detto, quello che mi ha fatto...mi vergogno a dirlo, ma sono spaventata a morte. E' dall'inizio dell'anno che ho paura. Forse anche da prima. Tutto sta diventando così strano e pericoloso e io sono così...così sacrificabile..."
Lui rimase immobile. Lei rise, cercando di sdrammatizzare.
"Non lo so, quel cervo, quel legame che ho sentito...è stato bello sentirsi al sicuro. E' bello credere che da qualche parte ci sia qualcosa di magico, potente e misterioso che voglia proteggermi."
"Lily..."
"...Ma penso tu abbia ragione, forse era solo un cervo qualunque. E io devo iniziare a tirare fuori la grinta e a smetterla di piagnucolare come..."
"Lily."
"Sì?"
"Posso abbracciarti?"
Un passo, due. Lei si bloccò, sollevando lo sguardo. Le gote ora erano rosse, ma non solo per il freddo. Lui le si fece vicino, una presenza calda, solida e granitica a contrastare le folate di vento.
"S-sì."
Le sue braccia si alzarono dolcemente, passandole dietro la schiena e premendo delicatamente fino a tenerla salda contro il suo cappotto aperto.
Rimase così, ferma e impacciata, senza muovere un muscolo, le mani molli lungo i fianchi, la fronte che sfregava appena contro il suo maglione. L'odore di James era sempre fresco, quasi selvatico ma con una sorta di eleganza, come quello di un bosco scarmigliato dal vento. Si accorse che le piaceva.
Chiuse appena gli occhi, senza timore visto che era nascosta dalle maniche del suo giubbotto.
Non c'era stato bisogno di parlare con Remus per capire quali fossero state le intenzioni dei Serpeverde. Conosceva McNair.
Aveva un certo acume e non le ci era voluto poi molto. Lupin poi la seguiva in modo apparentemente casuale, ma aveva notato quasi subito che si premurava di non lasciarla mai girovagare da sola, quando non era tampinata da Potter.
Era preoccupato per lei. E faceva bene.
Accettare che per alcune persone valeva quanto un capo di abbigliamento, un mero trofeo da esibire, non era mai stato facile. Sentirsi così vulnerabile, così svalorizzata, disumanizzata, le aveva messo addosso un manto di gelo.
Eppure, lì, in quell'abbraccio...che strano.
Sembrava una sensazione familiare... e non solo perché non era il primo strano abbraccio che le donava. Era una familiarità diversa...
"Eh eh, chissà cosa direbbe la Blossom se ci vedesse ora." Ridacchiò lui, staccandosi all'improvviso.
"Perché...l'hai fatto?"
"E tu perché me l'hai permesso?"
Lei arrossì, zittendosi. Il Marauder le si fece vicino, sentendo uno strano brivido interno nel vederla tremare appena.
Una vocina gli sussurrò qualcosa, prima di venire taciuta come al solito.
Non stava tremando per il freddo...
Le mise una mano sulla testa, scompigliandole i capelli. Un dispetto.
"Ecco, appunto. Ma sei troppo orgogliosa per ammettere che ne avevi bisogno. Beh, consideralo pari ai miei venti minuti di lecchinaggio di oggi." Ghignò.
Le voltò le spalle, con le mani dietro la nuca. Fece qualche passo e si voltò di nuovo.
"Lo troverai." Disse, piano.
"C-come?"
Lui si fece più sicuro. Quasi che fosse rassegnato.
"Quel cervo del cavolo. Lo ritroverai."
E nella borsa della ragazza, invisibile agli occhi, il Verboscopio brillò di una dolce luce verde.
Stava ancora sorridendo quando si infilò nella Biblioteca di Hogwarts, assaporando l'odore polveroso dei libri e schivando un paio di bigliettini volanti che andarono a frizzare contro una lanterna come due farfalline.
Si appoggiò al bancone di ingresso tintinnando la campanella per chiamare la bibliotecaria, il cuore sereno.
Questo fino a che non vide un ragazzo.
Stava seduto al suo solito tavolo - lo beccava spesso in Biblioteca – godendosi la vista della neve che cadeva. A giudicare dal cappotto bagnato, non doveva essere tornato da tanto.
Si bloccò a metà del bancone, sentendosi il respiro corto. L'agitazione fu inaspettata, tanto che le cadde il libro di mano attirandosi l'attenzione dello studente.
Era snello e pallido, ben vestito come tutti quelli che stavano in quel dannato dormitorio. Viso aguzzo, occhi chiari e capelli castano noce, portati in un taglio signorile, corti sulla nuca e più morbidi sul davanti dove la frangia sfiorava appena un sopracciglio in una curva che elegantemente sembrava voler tornare all'orecchio.
Michael Aliaset si alzò, sorrise appena con gentilezza nel vederla irrigidirsi e senza dire una parola le raccolse il libro, premurandosi di pulirglielo.
Un gesto carino, educato. Ma lei rimase immobile, lasciandosi superare senza nemmeno dire grazie.
Non era lui ad averla paralizzata quanto la sua lunga sciarpa verde e argento.
I Serpeverde erano tornati.
Merda.
Cristhine McRanney quella mattina si alzò e non trovò più un paio di scarpe. Scendendo nell'elegante Sala Comune dei Corvonero le vide al centro di un tavolino di marmo, ricoperte di liquidi di non ben definita origine.
Perfetto.
Sbuffando, appoggiò la mela e con un movimento di bacchetta le fece levitare fino al cestino.
I dispetti ormai si erano fatti all'ordine del giorno. Fortunatamente Silente le aveva concesso una camera privata visto le sue difficoltà all'intimità con gli altri, ma chissà come riuscivano sempre ad infilarcisi dentro.
Avrebbe dovuto parlarne con Laverne ma decise di lasciar perdere. Una ramanzina dalla loro Prefetto non avrebbe di certo fermato le ex di Sirius Black dal darle il tormento e onestamente, aveva soldi in abbondanza per riprendersene dieci uguali.
L'idea malevola – suggeritale perfidamente da alcune sue compagne – che anche lei potesse fare quella fine non le era mai passata per l'anticamera del cervello.
Essere una delle tante, un numero.
Un così grande retaggio di flirt e storielle avrebbe intimorito qualsiasi ragazza, ma scendendo le scalinate e vedendo l'occhiata tenebrosa che lui le rivolse fu quasi impossibile sentirsi parte del mucchio.
Era come se ci fosse troppo in ballo tra di loro.
Sorrise, sentendosi le gambe di gelatina quando gli occhi neri ed abissali di quello strano mago le si piantarono addosso bruciando di un desiderio quasi palpabile.
Sirius era stato fedele alle promesse, nonostante tutto. Le chiedeva il permesso per toccarla fino a quando non aveva imparato a capire quando farlo da solo, si conteneva parecchio e si fermava quando diventava tutto...troppo.
La sfiorava come se fosse fatta di vetro e questo l'aveva portata ad abbassare piano piano le difese, sempre di più. E c'era da dire che con gli occhi se la mangiava intera, facendole nascere dentro una vampata incandescente ogni volta che lo beccava a fissarla!
"Che lezione hai?" le chiese, porgendole una ciambella allo zenzero.
"Aritmanzia alla seconda ora." Rispose, sfogliando il programma mentre l'addentava. "Hey, grazie!"
"Stavano finendo e so che ti piacciono. Cristo, i Grifondoro sono peggio degli animali quando si tratta della colazione!"
Lei rise, superando alcune primine che si voltarono a fissarli e parlottare.
"Allora, secchiona." La prese in giro lui. "Cosa ti va di fare? Non dirmi che ti chiudi ancora in Biblioteca con Lily!"
"Nah, ho qualcosa di meglio in mente..." lei lo squadrò furbetta e gli si avvicinò armata di fiocchetti rosa.
Sì, fiocchetti rosa.
Gli sfiorò una ciocca sfuggente che gli accarezzava lo zigomo e la sollevò, facendogli un vero e proprio codino.
Lui alzò gli occhi per ammirare la cosa – che se l'avesse fatta qualsiasi altro non ne sarebbe uscito vivo – e sorrise rassegnato.
"Speravo te ne fossi dimenticata!"
"Vincere una partita a Gobbiglie contro il campione indiscusso di Hogwarts dopo avergli strappato la promessa di agghindarlo come una dodicenne in caso di sconfitta? Non basterebbero mille ciambelle!"
"Vediamo se ho altre armi che potrebbero funzionare, allora..."
Le passò un braccio sulla vita, stringendosela contro. Piano piano, le baciò la pelle del viso, scendendo dalla tempia fino alla guancia, sospingendola delicatamente contro il muro.
Tremava come una matta, facendolo letteralmente impazzire. Passò la sua bocca lungo il profilo della sua mandibola fino ad arrivare finalmente alle labbra, insinuandosi piano tra i suoi denti, infrangendo le dita nei riccioli dietro la nuca.
Sapeva di ciambelle, di zucchero, la sentiva sorridere in quel bacio e sotto le lunghe ciglia appena abbassate vedeva il rossore scorrerle anche sul naso.
Dio, se quelle sensazioni lo facevano stare bene... L'aveva letteralmente stregato.
Il click di una mollettina gli arcuò le labbra premute contro le sue in un ghigno esasperato.
Si staccò a malincuore di entrambi, ma rimanendo abbastanza vicino da contarle le lentiggini chiare sulle guance.
Seriamente, c'era Hello Kitty su quella cosa.
"Oh-oh, ammetto che hai delle belle armi da mettere in campo, signor Black, ma una promessa rimane una promessa! E ora passiamo al rossetto..."
"E immagino che ora vuoi chiamare James e godervela assieme come due carogne."
"Sì, non sarebbe male!"
Senza smettere di stringerla, cercò nelle tasche dei jeans fino a tirare fuori lo specchio gemello pronto per chiamare quel bastardo del suo migliore amico quando qualcosa di sgradevole gli scivolò lungo la schiena.
"Sirius."
Sollevò appena gli occhi oltre la spalla minuta della sua ragazza, stringendoli in un'espressione di puro odio.
Il silenzio fu tale che costrinse la Corvonero a voltarsi all'indirizzo di quella voce, sgranando appena gli occhi quando vide un ragazzino.
Elegante, ben curato, portava un dolcevita azzurro cenere come i suoi occhi e una sciarpa grigia annodata al collo sottile. Capelli morbidi e neri, corti ma con una frangia scarmigliata sul davanti. Lineamenti indistinguibili fra mille.
Regulus Black ricambiò il loro sguardo con un'espressione vuota.
Un tempo avevano avuto un cane. Un vero mastino, un essere feroce creato solo per attaccare.
Non era mai riuscito a farselo amico, nonostante lo riconoscesse come uno dei padroni. Quando era bambino, ricordava che ogni volta che vi si avvicinava esso mostrava impercettibilmente i denti emettendo un sordo ringhio sommesso.
Sei troppo gentile, gli aveva detto una volta suo padre. Non ti rispetta.
Incredibile come a distanza di tanto tempo, sentiva le stesse sensazioni guardando suo fratello maggiore.
Lo stesso sguardo di diffidenza, di minaccia, gli stessi occhi feroci e disgustati che lo facevano sentire minuscolo e insignificante.
Sistemò meglio gli occhiali da vista che usava per leggere sul naso, incurante alla risata amara che sgorgò dalle labbra di Sirius come acido.
"E così siete di nuovo tra i piedi." Sibilò il maggiore, con una smorfia. "Ma l'esplosione deve avervi fatto più danni del previsto se sei venuto fin qui con il coraggio di rivolgermi la parola."
"Non ho forse il diritto di parlare con mio fratello?"
"Fratello?" la risata amara di Sirius si fece di nuovo alta. "Ho perso un fratello nel momento in cui si è vestito di verde e argento."
"Per essere uno che fa delle etichette una croce sei piuttosto veloce nell'attaccarle sugli altri, sai?"
"Oh, Reg, non prendiamoci in giro. Sappiamo entrambi che cos'è successo davvero." Fece un passo avanti ed impercettibilmente, nonostante la sua aria fredda, il più giovane ne fece uno indietro. "Non ci sei finito per caso. Tu l'hai scelto."
Il ragazzo indurì la mascella, scoccando una vaga occhiata a Cristhine.
"Non puoi prendertela con me se agisco in modo più responsabile e penso prima di prendere delle decisioni. Non tutti si gettano dai dirupi con i piedi legati ad un masso."
"Oh, è questo che ti ripeti ogni notte? Che sei stato più furbo di me? A casa mia questa si chiama vigliaccheria. Mi hai voltato le spalle, hai tradito la mia fiducia. Hai scelto da che parte stare. All'angolo, come sempre, ad osservare senza mai agire."
Lui scosse il capo, amareggiato.
"Questa discussione non porta ad un cazzo."
L'aria era diventata tesa, si tagliava come il burro.
Cristhine appoggiò istintivamente una mano sul braccio di Sirius, sentendolo di granito. Tutta la sua figura si stagliava rigida come quella di un cane pronto a mordere.
"No, esatto." Fu un sorriso freddo quello che gli riservò. "Perchè per me non sei nient'altro che cenere."
Fu con un lampo di rabbia e – Cristhine socchiuse gli occhi – dolore? Che il ragazzino si avvicinò di scatto, diminuendo la distanza tra loro.
"Pensavo di poter riuscire a parlare civilmente ma sei rimasto esattamente come allora!" ringhiò, furente.
"Come quando, per l'esattezza?" sibilò Sirius e si avvicinò a sua volta. "Quando venivo rinchiuso nelle segrete senza acqua né cibo mentre tu vivevi nella fottuta bambagia? Quando ricevevo le frustate sulla schiena e fingevi di non sentirmi urlare?! Hai sempre messo la testa sotto la sabbia ed io ho sempre cercato di tirartela fuori ma sai cosa? Sono stanco di cercare di cambiare chi non ha niente che può essere cambiato."
"Perché?! Perché devi essere sempre così testardo, maledizione?!"
Cristhine si ritrovò quasi schiacciata tra i due fratelli, allungando disperatamente le mani per mantenere un minimo di distacco.
Con un gesto calcolato, Felpato se la tirò indietro come a volerla proteggere, non smettendo di fissarlo negli occhi.
"Ho pensato di essere riuscito a cambiarti, a salvarti, ma tu hai sempre saputo quale strada avresti preso. Lo sai? Ti avrei difeso con tutte le mie forze se solo avessi scelto almeno una volta nella tua vita di fare la cosa giusta."
L'altro gli sbarrò gli occhi addosso con un tremore impercettibile, pallido. Aveva perso la compostezza e l'eleganza con la quale si era presentato, e ansimava, ferito.
"E' la mia famiglia, Sirius." Sussurrò appena, quasi con disperazione. "Avevo undici anni, cristo."
Onora il sangue. Questo era il mantra che aveva attecchito nella testa di quel bambino fin da quando aveva smosso il primo vagito. Rispetta tuo padre. Rispetta tua madre. Sii fedele alle tue radici.
Sirius si sentì improvvisamente stanco, guardando quel suo fratello che nemmeno dieci anni fa aveva fatto giocare sulle sue ginocchia. Quel fratellino a cui aveva insegnato a cavalcare, a tirare di scherma, a cacciare.
Quel mantra maledetto, quei maledetti riti che avevano per tenerli legati a loro. Anche a lui avevano cercato di infilarglielo in testa e con profonda vergogna si rendeva conto spesso che dimenticare quelle parole non era mai stato semplice. Mai.
Erano come un parassita che si insidiava nel cervello e non lasciava mai più andare.
"Ed io li ho combattuti da quando ne avevo cinque." rispose di rimando, avendo improvvisamente la voglia di scappare via, di tornare indietro di pochi minuti, quando Cristhine gli stava infilando fiocchi nei capelli.
"Vogliono che tu sia a casa per Natale. Sono venuto solo ad avvisarti."
Se li tirò via uno ad uno, lentamente, cercando di non ascoltare quelle parole. Quando anche l'ultimo fu nelle sue mani, sollevò lo sguardo.
"Scordatevelo."
"Non è ancora tardi per rimediare, Sirius. Torna a casa..."
"Hai detto bene, è la TUA famiglia." Black si alzò il bavero del cappotto, dandogli le spalle. "Non sarà mai più la mia."
Lo sguardo di dolore e di supplica si tramutò con cattiveria, quando Regulus squadrò con odio la ragazza che suo fratello si stringeva contro, quasi a volerla proteggere da lui.
"E quale sarebbe, ora, la famiglia per te? I Potter? Tu non sarai mai come loro! O forse desideri disonorarci ancora di più sfornando piccoli mezzosangue con questa razza di..."
"Sirius, no!"
Non finì la frase. Un lampo di magia esplose nel corridoio, lucente e veloce come un falco.
Si schiantò e si dissolse contro un potente globo protettivo che avvolse il pulcino dei Black come una conchiglia su una perla.
Stordito, con ancora entrambe le braccia abbassate, il ragazzino sussultò quando una mano gli calò salda sulla spalla ed una presenza tossica fece la sua comparsa dietro di lui.
Fu lì che Cristhine, sollevando il viso verso il suo ragazzo, vide qualcosa che la lasciò paralizzata sul posto.
Sirius era sbiancato.
Dall'entrata del corridoio, in mezzo ad un fumo sottile che stava lentamente dipanandosi, comparvero due figure. Alte, nere, si posizionarono dietro Regulus Black come due guardiani venuti direttamente dall'inferno.
"Ti do un consiglio, ragazzo." Disse Orion Black con pigra ironia. "Quando colpisci qualcuno con la magia fallo ogni volta come se fosse l'ultima."
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M.A.R.A.U.D.E.R.S.
FanfictionNell'oscurità di una guerra incombente, le sfrenate e spensierate esistenze dei Malandrini si sfilacciano negli intrighi di una Hogwarts sempre più ricca di pericoli ed insidie. In un labirinto di incertezze, nell'ultimo anno l'amore sembra essere l...
