If you look into the distance, there's a house upon the hill
guiding like a lighthouse to a place where you'll be
safe to feel our grace, 'cause we've all made mistakes.
If you've lost your way...I will leave the light on.
Quando si capisce che l'infanzia è finita? Che l'innocenza è andata perduta e che i tempi dorati stanno per venire corrosi dal buio?
Quando si inizia davvero a sentire...l'odore di una guerra?
Che come una bestia ingorda si avvicina, pronta a divorare tutto, minacciando tutto ciò su cui la propria vita si è adagiata fino a quel momento?
Forse...forse quando un compagno di scuola, un semplice ragazzo di diciassette anni, ti sbatte in faccia che da qualche parte dovrai pur stare. Che in quella guerra non puoi rimanere immobile.
Perché la guerra inghiotte tutti. Sempre.
Si infila nelle famiglie, nelle scuole. Scuote i pensieri, divide in fazioni. Lo fa lentamente, senza farsi notare. La guerra arriva sempre in silenzio.
E Lucius Malfoy aveva scelto. Eppure, per qualche motivo, Lily Evans non sentì più il rancore.
In bilico sul cornicione, tenuta sospesa solo da una mano scheletrica e piena di bruciature, Lily Evans provo un moto di pena.
"Hai perso davvero la testa, Malfoy." Mormorò, con una smorfia. "Ti hanno fatto il lavaggio del cervello..."
"No, non è così." Negò quello, assottigliando le ciglia chiare. "Hanno solo dato modo ai meritevoli di prendersi ciò che spetta loro."
"I meritevoli?" sputò fuori la Grifoncina, arricciando gli angoli della bocca. "Pensi di meritare la magia più di altri per un po' di sangue nelle vene?! Dio, è questo che vi fanno credere?!"
"Risparmiati l'indignazione. Grindelwald ha segnato un punto di svolta, Evans. Tornerete strisciando nella polvere da dove siete venuti, finalmente!"
"Grindelwald è stato sconfitto da Silente!"
"Oh, ma c'è chi è pronto a sostituirlo." La voce di lui si abbassò, vibrando. "Un mago molto più potente. Niente può contro di lui. Nemmeno il vostro amato preside..."
La spinse appena un po'. I talloni ormai dondolavano nel vuoto, solo le punte delle scarpe sentivano ancora il cornicione sotto di esse. Una piccola crepa si sfaldò appena, alcuni piccoli sassi caddero scricchiolando.
La testa iniziò a girarle, la vista ad annebbiarsi. Le vertigini presero a colpirla ad ondate, ghiacciandole la schiena.
Lucius parve bearsi del suo sbiancare, riconducendolo a ciò che le stava dicendo.
"Avremo bisogno di servitori, sai?" le disse, improvvisamente suadente. "Non è necessario che per te finisca in un modo sgradevole. Volta le spalle a Potter, giura fedeltà a Serpeverde, sta al tuo posto e forse sarai lasciata in pace."
La ragazza sollevò le mani, stringendo i suoi polsi. I capelli le erano caduti sul viso come una tenda di fuoco. E improvvisamente, lo sentii.
"In caso contrario, Mcnair avrà il suo regalino di compleanno...Allora, che ne dici, Evans? Implora pietà, forza!"
Rialzò il viso, piantandogli addosso il suo sguardo. Sereno, fiero in un modo tale che Lucius serrò le labbra sottili, arcuando un sopracciglio.
Occhi verdi, limpidi e belli, ricolmi fino a esondare di un sentimento che un Serpeverde non avrebbe mai potuto provare.
Orgoglio. Onore. Coraggio.
"Mai."
E dandosi lo slancio con un calcio, fece l'ultima cosa che Lucius si sarebbe aspettato: si lasciò cadere nel vuoto.
Senza un grido, senza un'esitazione.
La sensazione del suo corpo in caduta libera, attirato al suolo dalla forza gravitazionale, fu quanto di più potente Lily avesse mai sentito.
Quanto doveva essere alta quella torre? Quanto dolore avrebbe sentito, prima che l'impatto la falciasse come una bambola rotta?
Il vento iniziò a strillarle nelle orecchie come il boato di una folgore, artigliandole le vesti come tanti mani invisibili.
Precipitava.
Non sentiva più il cuore. Era come se fosse rimbalzato via.
Perché l'aveva fatto?
Però...però aveva sentito qualcos'altro. Un altro cuore.
Pochi secondi dilatati nel tempo per decidere se quel gesto sconsiderato sarebbe finito nel peggiore dei modi.
"Ma è qui." Pensò disperatamente Lily Evans, chiudendo forte gli occhi, cercando la forza di urlare. "E' vicino. Lo sento."
Atto di fede. Cosa spinge qualcuno a fare qualcosa di così sconsiderato? Cosa spinge un uomo a seguirne un altro con così tanta devozione e fiducia? A varcare i propri limiti, ad assumersi rischi viscerali, a ballare in bilico tra vita e morte se non... la fede?
Si può credere in molteplici modi. Credere in un dio, credere in un Profeta. Credere in un ideale, perfino in un dittatore.
E credere nella propria dignità. Nel proprio orgoglio. Nell'amicizia.
Anche in quello che hai sempre considerato un tuo nemico. Credere che, nonostante tutto, la parte dove stare ti è stata già cucita addosso fin dalla nascita.
"Lui è qui."
Pochi metri. La terra si apriva come un gorgo oscuro, estendendosi sempre di più, avvicinandosi a velocità folle.
Il suo cuore aveva agito per lei perché, in quel momento, in quel singolo momento Lily Evans aveva avuto bisogno di credere.
"Lui DEVE essere qui!"
Credere che, nonostante tutto, lui sarebbe arrivato. Anche per lei.
"JAAAAAAAAAMEEEEEEEES!!!"
L'urlo uscì potente, superando il fragore del vento, gonfiando i polmoni, mischiandosi alle lacrime.
Si unì al rumore di un paio di sneakers in corsa contro le tegole di un tetto, al cui balzo parvero quasi esplodere.
Una figura comparve nel suo campo visivo, alla sua sinistra. Sempre più grande, la raggiunse come una fenice in volo.
Una mano afferrò la sua, lasciata docilmente nell'aria davanti a sé. Uno strattone, un braccio caldo dietro la schiena, l'odore del suo respiro contro la guancia.
James Potter la strinse così forte che per un istante, non seppe più dire dove iniziava uno e finiva l'altro. Precipitarono fin quasi a toccare il terreno ma, così come tutto era cominciato, altrettanto velocemente finì.
Il sibilo di una scopa dal manico cromato in oro sferzò l'aria, il vento, la corrente.
James Potter si aggrappò alla sua Comet appena in tempo, ad appena un metro da terra. Lo sbalzo fu lo stesso di una violenza immane e l'impatto fece loro sbattere i denti fin quasi a spezzarseli.
Rotolarono nell'erba per almeno due metri, sempre stretti, sempre senza fiato.
E poi, improvvisamente...il silenzio.
Sirius Black si fermò ansimando. La scuola era deserta e buia, più buia di quanto non fosse mai stata.
Cristhine stava rannicchiata in un angolo. Immobile, abbracciandosi le ginocchia.
Si era fermato appena l'aveva vista, rigido come una statua.
Che cazzo poteva dirle? Cosa?
Bastarono i suoi singhiozzi a fargli cadere addosso l'orrore. Tutto quello che c'era di pulito, di così puro e limpido tra di loro, stava venendo risucchiato via.
Era per questo che non riusciva a staccarsi da lei? Si chiese, sentendosi morire dentro. Era solo questo? Era l'orrore ad unirli così?
I segreti uniscono più dell'amore...
Rimase in silenzio, a vederla piangere. Le parole di nuovo congelate tra le labbra, morte, appese ad una realtà che non voleva accettare.
Fu lei a spezzarlo. Alzò lo sguardo, quasi con rabbia.
"Mio padre non è pazzo." Sibilò, asciugandosi bruscamente una lacrima dalla guancia. "Lui..."
Un nuovo lamento, di nuovo il suo viso tra le mani. Come se qualcosa la dilaniasse.
"Lui ha solo paura. E' solo iperprotettivo, ma non ha mai voluto farci del male. Ci ha chiuse in casa perché ci vuole bene. Non è pazzo!"
Assurdo che volesse parlare di quello. E lui non riuscì a rispondere.
Doveva sembrarle incredibilmente deprimente, quasi patetico. In silenzio, le spalle basse, i pugni così stretti da infilarsi le unghie nei palmi.
Lui, l'assassino.
"Ti ha mandato qui per uccidermi?"
Lo chiese con voce roca, lugubre. Quasi spettrale. Forse doveva sembrarle pronto a difendersi, la sua intera figura esprimeva minaccia, lo sapeva bene.
Le persone avevano sempre paura di lui. Sembrava sempre pronto a varcare i confini dell'inferno.
Ma sbagliavano.
Non si sarebbe mai difeso. Anzi, quasi ci sperava. Voleva essere punito, fatto a pezzi.
Perché l'inferno è uno specchio dall'altro lato di un tavolo che ad un certo punto comincia a risponderti. E lacrime con cui firmi il patto con il diavolo...non sono mai le tue.
Improvvisamente ebbe voglia di piangere. Di sentirsi di nuovo gli occhi lucidi, bollenti, di urlare e singhiozzare come un bambino.
Ma sua madre, nella sua enorme crudeltà, non aveva mai fallito nell'insegnarli qualcosa.
Non ci riusciva. Non piangeva più da tempi immemori, non sapeva nemmeno più cosa volesse dire. Non era più capace.
Anche se il dolore era così forte da spezzargli la schiena.
"Mi ha mandata qui..." mormorò lei, improvvisamente sprezzante, quasi offesa. "...perché non sono più malata. Perché l'ho scongiurato di farmi uscire di casa. Questo e nient'altro."
Improvvisamente, gli artigliò la giacca, disperata.
"Te lo giuro, Sirius!" gridò, come una bambina. "Te lo giuro, non è mai stata mia intenzione farti del male!"
Era questo, ciò che le importava? Che lui non la considerasse un'assassina? Una traditrice?
Forse, pensò con un senso di sconfitta, forse ci teneva davvero a non essere come lui. A non paragonarsi a chi...dio, non riusciva nemmeno a pensarci.
Aveva ucciso sua madre...
Si inginocchiò, incapace di reggersi in piedi. Agognava solamente un colpo. Un suo vendicarsi. Perché non si vendicava?
Cristhine si abbassò con lui, piano, le mani ancora premute sulle sue braccia. Il suo tocco leggero gli faceva male come se avesse avuto le mani infuocate.
"Tu lo sapevi? Lo hai sempre saputo..."
I suoi occhi color miele si ingrandirono appena sotto quell'accusa. Che cosa poter dire? Che cosa dire di fronte ad una cosa così orribile?
"Che...che cos'è un Rito di sangue?" chiese.
Sirius Black scoppiò in una risatina acida. Si passò le dita sui suoi occhi insopportabilmente asciutti e guardò il cielo, con un ghigno amaro.
"Ogni figlio che nasce in seno ai Black..." sussurrò, odiando se stesso "...viene iniziato al sangue. Viene iniziato alla magia oscura. E' una tradizione di famiglia, qualcosa di simbolico, un rito che trascende i secoli. Non ci sono bambini innocenti nei Black."
"Io...io ero lì." Ammise lei, rabbrividendo. "Ci siamo guardati."
"Dio, Cristhine." Ne uscì come un lamento. "Non me lo ricordo. Nessun bambino ricorda il proprio Rito di Sangue. Quando un bambino viene attraversato dalla magia Oscura...il trauma è troppo grande. Non ricordavo nemmeno di averne fatto uno. Non è assurdo?"
Rise di nuovo, scostandosi da lei come se ne avesse il disgusto.
"Ho ammazzato una persona e non me lo ricordavo nemmeno."
Le lacrime continuavano a scorrerle sul viso, senza freni.
"Volevo dirtelo." Mormorò, stringendosi le braccia al petto come per proteggersi. "Ma...Sirius, non...non trovavo le parole. Io non volevo mentire ma... mi dispiace. Mi...Mi dispiace..."
E mentre lei si prendeva le tempie tra le mani gemendo, lui sbarrò gli occhi.
"Che cosa?" mormorò, roco. "Che cosa...che cosa hai detto?"
Gli stava chiedendo scusa. Lei.
Lei stava chiedendo scusa a lui. Voleva forse scherzare.
Tutto quello era irreale, senza senso. Non riusciva a trovarci una logica.
Lui era quello marcio dentro. Lui non avrebbe mai conosciuto la pace.
Lui le aveva rovinato la vita. Perché allora, a piangere era lei? Perché era lei che si vergognava come una ladra?
Era tutto sbagliato. Tutto.
"Eri dietro la porta." Ricordò improvvisamente. "Eri tu. Mentre io...io..."
Tutti i tasselli al posto giusto, per lastricare la strada dritta fino agli inferi. Ricordò James, le sue parole, i suoi avvertimenti. Ma come uscirne, ora? Come, se ogni passo lo riportava tra le braccia di quella famiglia diabolica? Come, se ogni cosa gli urlava addosso che quello non era il suo posto?
E lei gli artigliò improvvisamente il bavero, furibonda.
"Non lo capisci ancora? Non mi sono mai voluta vendicare!"
"Perché?! Perché cazzo non lo vuoi fare? Ho ammazzato tua madre!"
"Eri solo un bambino!" gli urlò addosso. "Avevi solo quattro anni!"
Fu come perdersi in un improvviso Black out. Ma che cazzo stava dicendo? No, non era così che doveva andare. Doveva colpirlo, fargli male, era così che avrebbe dovuto finire!
"Non si tratta di un vaso rotto o di una stupida marachella da mocciosi, ho ucciso una persona!" urlò improvvisamente. "Ho ammazzato tua madre, cristo!"
Balzarono in piedi, strattonandosi.
"E cosa dovrei fare?" gridò lei, a tentoni tra i singhiozzi. "Dovrei passare il resto della mia vita ad odiare un bambino che non sapeva nemmeno ciò che faceva?!"
No, no, non poteva finire così. Non era giusto. Non...
"E per che cosa mia madre sarebbe morta, eh?!"
"Per il mio dito alzato, ecco per cosa!" ringhiò Black, stringendole le spalle così forte da lasciarle i segni. "Non lo capisci, razza di stupida?! Sono marcio fin da quel momento! Non merito niente!"
"Mia madre è morta perché la sua associazione dava fastidio alla tua famiglia!" Cristhine lo colpì al petto con deboli pugni, furiosa. "Te lo vuoi mettere in testa o no?! Come può un bambino voler fare questo?!"
"Io...non...ti prego, Cristhine, io non merito..."
"Chiudi quella boccaccia, Black!" abbaiò lei, al culmine dei nervi. Sembrava quasi un'altra persona. Qualcosa la scuoteva, dandole un'energia mai vista prima. "Se pensi che ti sia stata accanto per chissà quale motivo, di me non hai imparato nulla! Io mi rifiuto di essere così, mi hai sentito?! IO MI RIFIUTO!" Lo spinse ancora, e ancora. "Mi rifiuto di vivere di vendette, mi rifiuto di dare la colpa di tutto ad un innocente! Perché è questo che eri, esattamente come lo ero io! E se vivessi in questo modo mia madre si rivolterebbe nella tomba, lo capisci?! Non ci siamo avvicinati per quello, siamo diventati semplicemente amici!"
Sentiva il suo cuore battere come un tamburo impazzito, contro la sua camicia. L'odore del suo pianto, della sua pelle bagnata, della bocca e delle parole che ne uscirono. Parole che per tutta la vita, fin da quando era venuto al mondo, aveva solo desiderato sentire.
"NON MI IMPORTA!"
Si può scegliere di credere in se stessi? Di credere in un miracolo?
"Non mi importa il tuo stupido cognome! Non mi importa ciò che sei, ciò che ti scorre nelle vene! E' solo sangue! Solo stupidissimo sangue e non può decidere per noi!"
Possono bastare poche parole per farci scorgere un barlume di luce, su un sentiero lastricato di tenebre? Una ragazza che decide di scegliere...una via diversa? Del tutto inaspettatamente, del tutto priva di senso?
"Mi rifiuto di odiarti, mi rifiuto di fare ciò che tutti si aspettano da noi! Non me ne importerà mai niente, perché...perché tu...!"
Tu mi piaci.
Prenderla improvvisamente tra le braccia e tapparle la bocca con la propria fu quasi come cadere da una torre. Quasi come un atto di fede.
Il cuore fa lo stesso sobbalzo. Come se venisse strappato via dal petto.
Le gambe cedono, il corpo sembra trasformarsi in vento puro.
Solo due labbra bagnate ad ancorare al suolo. Due labbra morbide che sussultano, si stringono di sorpresa per poi aprirsi a quell'impellente bisogno, accogliere il suo desiderio, la sua disperazione.
Lo accettava.
In un modo incredibilmente sbagliato, assurdo e doloroso ma che dio li perdonasse, lo stava accettando.
Le passò le mani sulle guance, infrangendo le dita nei suoi riccioli, asciugando le lacrime. Sapeva di sale, le labbra si stavano come gonfiando sotto i suoi morsi, sotto la sua bocca in agonia.
La baciò come se stesse annegando, premendole sulla nuca, avvolgendola come un disperato.
E lei non lo rifiutò. Ancorò le esili braccia al suo collo, aprendosi al suo tocco, schiacciandosi contro di lui, stringendogli i capelli di velluto. Lasciando che la stringesse così brutalmente.
Si staccarono appena, riprendendo fiato per brevi istanti, i visi rossi, gli occhi lucidi, ansimando e tremando. Quando la baciò di nuovo, fu più delicato. Più lento.
Come se quel bisogno impellente e travolgente si stesse saziando piano piano.
Come se entrambi, sconvolti, terrorizzati e in preda all'assurdità di quel sentimento, si stessero rassegnando ad esso.
Fu strano e normale, violento e dolce. Non riusciva a capire come fosse possibile provare quello, fare quello, eppure chi avrebbe dovuto odiarsi, quella notte, scelse diversamente.
Tutto ciò rasentava l'impossibile eppure accadeva.
Non è forse un miracolo che una ragazza privata della sua mamma scelga di non seguire la via della vendetta? E che un ragazzo violato della sua innocenza decida di voler meritare qualcosa di meglio dell'autocommiserazione?
Per una volta, per una sola volta, Sirius Black decise di non farsi trascinare da ciò che era. Decise di scordarsi ogni cosa. Di concedersi qualcosa di bello, meraviglioso e pulito senza sentirsene in colpa.
Rubare un pezzetto di paradiso...nella strana strada per l'inferno.
Lily Evans piantò le mani nell'erba ormai umida di novembre e vomitò l'anima.
Tossendo, si pulì la bocca con la manica del vestito, cercando di mettersi in piedi.
Non ci riuscì. Barcollò per qualche metro e ricadde carponi.
Buttarsi da una torre di Hogwarts per uno scatto di orgoglio: segnato nella lista di cose da non rifare.
Anche James si alzò, ansimando.
La Comet si era incastrata tra due rami e sembrava messa male, ma al ragazzo parve non importare.
Vestito alla babbana, i capelli più in disordine del solito, del terriccio sulla guancia destra. Sembrava incredibilmente normale.
Un ragazzo come tanti altri. Non di certo uno che si era buttato dal tetto con un braccio protesto verso di lei come se fosse una cosa di tutti i giorni.
Si fissarono, ansimando, in silenzio. Il vento si era calmato.
Tutto aveva smesso di girare a velocità triplicata.
Andava tutto bene.
Tutto era ok.
No, non lo era.
James Potter balzò in piedi e si mise a correre verso di lei.
Gli occhi del mago erano...spaventati? Come se avessero visto qualcosa che lo avesse terrorizzato a morte.
"Cristo."
La raggiunse in due rapide falcate, le passò una mano dietro la nuca e in un istante, Lily Evans si ritrovò...stretta nell'abbraccio più disperato che si potesse ricevere.
Lo sentì rilasciare tutta l'aria che aveva nei polmoni...solo in quel momento. Come se non avesse respirato fino a quell'istante.
La sua spalla, premuta contro la sua bocca. Un braccio dietro le scapole e una mano alla base del collo, le dita che tremavano nel tenersela contro. Le appoggiò il mento sulla testa, continuando a stringerla, senza dire una parola.
Avrebbe dovuto irrigidirsi. Allontanarlo, respingerlo.
Era questo che faceva sempre, no? Ma...non ne aveva voglia. Si accorse di averne un disperato bisogno.
Di avere bisogno di qualcuno che la tenesse. O si sarebbe frantumata.
In tanti minuscoli pezzi.
Si lasciò andare contro il suo torace quasi come se stesse cadendo di nuovo, allentando la rigidità dei muscoli, delle spalle, cercando di ricordarsi come respirare.
Inalò il sapore del suo corpo, di quell'abbraccio così strano. Così angosciato.
James Potter non aveva mai paura, no? Non doveva averne. Perché se anche lui aveva paura, per lei non ci sarebbe stato scampo.
Lui le massaggiò piano la pelle, guardando un punto lontano con la mascella contratta, continuando a stringerla...
Quando l'aveva vista cadere...quando l'aveva vista con lui...
Avrebbe dovuto chiederle se stava bene, se si era fatta male, avrebbe dovuto chiederle qualsiasi cosa. Ma si limitava a tenersela contro, pietrificato, pensando che non l'avrebbe lasciata mai più.
Mai, mai più.
Fu impercettibile l'inizio del suo piangere.
Un respiro più rapido, le sue dita affusolate che gli risalivano il petto, che iniziavano a stringere la maglietta, piegandosi in modo lento, quasi calmo, per poi chiudersi in una morsa sul tessuto.
Un singhiozzo. Due.
Le uscivano a fatica dalle labbra, come se cercasse di trattenerli pur facendosi violenza.
Il pianto si fece più intenso, quasi isterico, man mano che passavano i secondi...fino a ché non la sentì gemere a lungo, la faccia nascosta contro il suo torace, le mani artigliate a quella stupida t-shirt degli Acdc che si infilava per andare a letto.
Rigida, quasi piccola così rannicchiata, con la paura che lui potesse toccare qualcosa, come una bambina che scopre il trucco di chissà quale splendida magia.
Ma non era quello il suo desiderio. Voleva solo...stringerla. Stringersi fino ad annullarsi.
Lento, con dolcezza, abbassò appena il viso sulla sua spalla, lasciandosi sommergere dai suoi capelli di fiamma. Le respirò sulla guancia, stringendo le labbra ad appena un millimetro dalla sua pelle, chiudendo gli occhi un istante.
Poi, delicatamente, le prese il viso tra le mani, alzandolo fino a farsi guardare negli occhi.
Il pianto stava finendo. Lily Evans si morse un labbro screpolato, gli occhi gonfi, il naso rosso e la pelle lucida.
Era la seconda volta, quell'anno, che la vedeva in lacrime. Non accadeva spesso.
L'aveva sentita. In un modo inspiegabile, in un modo così viscerale da mozzargli il respiro.
Aveva sentito il suo richiamo. Quando l'aveva percepita in pericolo, quando l'aveva vista cadere...e anche ora, mentre piangeva, la paura lo aveva assalito come una bestia vorace. Come una sorta di agonia.
Era un tipo di paura diversa, quella. Qualcosa che...creava un legame in qualche modo.
Non voleva perderla. Se le fosse successo qualcosa...niente avrebbe avuto più senso.
Strano quanto pochi eventi possano rivoluzionare il mondo intero. Se prima era confuso, turbato e pieno di domande, quella notte gli fu chiaro come il sole. Avrebbe voluto baciarla.
L'aveva detestata, combattuta, sfidata e allontanata. E lo avrebbe fatto ancora, spaventato dalla potenza di quel sentimento ora così lampante.
Ma dio solo sapeva quanto aveva di nuovo voglia del sapore della sua bocca, come quando le aveva rubato un bacio nel bosco, sotto la forma di un cervo.
La rivide precipitare, chiamarlo con tutta la sua forza. E ci fu qualcosa che lo bloccò. Qualcosa che iniziò a travolgerlo come una marea.
"Io..." parlare era diventato complicato. Come se qualcuno gli stesse stringendo la gola. Deglutì, scendendo verso di lei, appoggiando la fronte alla sua senza smetterla di fissarla.
Era colpa sua...colpa sua...
Finirai per ammazzarla, James Potter...
"Ti giuro sulla mia vita che tutto questo non accadrà mai più."
"I-io..."
C'era odio, ora, nelle parole di Potter. Odio puro.
"Ti proteggerò." Sibilò, stringendo i pugni contro i fianchi. "Te lo giuro, Lily. Non ti toccherà mai più."
Alzò lo sguardo sulla torre, allungando la mano verso la scopa. Quella, docilmente, gli andò incontro.
Non ascoltò più nulla. Non ascoltò i richiami.
Salì su quella torre in volo con un unico pensiero. L'avrebbe pagata.
L'avrebbe pagata a caro prezzo.
Ma Malfoy era scomparso. A terra, la bacchetta di Lily.
Se la rigirò tra le mani, in ginocchio su quelle piastrelle. La notte stava passando in fretta.
E, improvvisa come se n'era andata, la connessione tornò.
Il branco fece di nuovo parte di lui...ghiacciandogli il sangue nelle vene. Ciò che sentì degli altri fu tanto forte da farlo rantolare.
La paura di Peter, lo smarrimento. Il senso di colpa di Remus, distrutto dal suo non poter difendere gli altri, dal fatto di aver messo il suo sporco segreto ancora una volta davanti a tutti. E...il cruciatus. La mente di Sirius vacillante, fragile sull'orlo di un abisso.
E anche...un bacio.
Sentì sulle labbra il sapore di Cristhine McRanney. Lo sentirono tutti, quella notte.
Ma se fu un balsamo nel cuore di Black, se fece sorridere stancamente Lupin e Minus, su James Potter il tepore di quel bacio non suo fece un effetto opposto.
Sdraiato, con la luna che compariva a tratti illuminandogli il viso, parve caricarsi di una nuova forza.
Erano stati attaccati. Tutto quello a cui teneva di più...era appena stato morsicato a sangue.
Se quella era guerra, avevano appena trovato un degno avversario. Era finalmente ora di tornare alle origini.
Quella era la fine dei giochi.
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M.A.R.A.U.D.E.R.S.
FanfictionNell'oscurità di una guerra incombente, le sfrenate e spensierate esistenze dei Malandrini si sfilacciano negli intrighi di una Hogwarts sempre più ricca di pericoli ed insidie. In un labirinto di incertezze, nell'ultimo anno l'amore sembra essere l...
