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II

La prima cosa che la bambina percepì una volta dentro, quando la madre ebbe richiuso la porta e chiuso fuori il gelo dell'inverno, fu il profumo di cibo. Uno stufato caldo composto da carne di manzo, patate, cipolle e una spruzzatina di prezzemolo. Lo stomaco prese a fare le capriole su se stesso, assaporando già la bontà di quel pasto; ormai era completamente vuoto. Shirin non aveva avuto la possibilità di ingerire niente da almeno ventiquattro ore, ormai, e lei stessa faticava a comprendere come facesse ad avere l'energia per stare in piedi. La saliva le riempì la bocca, e la bambina fu costretta a deglutire diverse volte per mandarla giù, ma quella tornava sempre, in quantità maggiori di prima.

Lairal intanto batté i piedi sul tappeto all'ingresso cosicché la neve si staccasse dagli stivali. Soltanto quando questi furono completamente puliti se li sfilò e li ripose con cura nella scarpiera di legno, accanto agli zoccoli di pelle nera, che indossò subito dopo. Lanciò un'occhiata glaciale alla bambina, senza un motivo in particolare, prima di sparire oltre la soglia del corridoio.

Shirin tremava ancora. Ripensò al Vor del Fuoco e alla sua proposta e a quanto sarebbe stato bello, in quel momento, potersi scaldare grazie alle sue fiamme. Si chiese se davvero avesse fatto bene a scacciarlo, o se piuttosto avrebbe dovuto cogliere l'occasione e vendicarsi di tutti i torti subiti. Chiuse gli occhi, immaginando di affrontare Lairal a testa alta, pensando a come avrebbe reagito la madre se le avesse detto che se ne andava per sempre. Provò una certa soddisfazione nel cipiglio contrariato della donna e dal modo in cui si umettava le labbra nella sua fantasia, un chiaro segno di nervosismo. Eppure, quando risollevò le palpebre e trovò il calore familiare di quella casa, per quanto carica di tensione fosse, sentì di aver fatto la scelta giusta, sebbene, forse, la più dolorosa.

Si tolse lentamente il cappotto di dosso, da cui cadde una grossa quantità di neve, rimasta incastrata all'interno del cappuccio rovesciato. Rimossi anche gli stivaletti e infilato un paio di scarpe più comode, scivolò fuori dall'ingresso e seguì Lairal in cucina, dove sapeva che l'avrebbe trovata a mescolare lo stufato. Nel passare di fronte alle statuine poste sulla mensola nel corridoio, raffiguranti degli uomini dalle lunghe tuniche e privi di volto, Shirin posò due dita della mano sinistra sugli occhi e chinò appena il capo, in onore dei Divini. Era un gesto che la madre le aveva inculcato da piccola, ma la bambina fu felice di utilizzare quel breve istante per mandare una preghiera ai Divini. Chiese loro soltanto del cibo da mettere nello stomaco, dato che al momento era tutto ciò a cui riusciva a pensare.

Proprio quando riaprì gli occhi, una porta alla fine del corridoio, oltre la cucina, si spalancò di colpo. Il fratello, Onthar, ne venne fuori e, non appena i suoi occhi grigi e profondi si posarono su Shirin, il ragazzo si esibì in una smorfia di disgusto accompagnata da un grugnito. La sovrastava con la sua altezza, degna quasi di un uomo dello Yer-ran, tuttavia era ossuto come la madre. Si passò una mano fra i capelli per ravvivare il ciuffo che gli cadeva di lato. Tutto aveva, meno che l'aria di una persona malata. «Puzzi,» disse, con quella voce a metà fra quella di un uomo e quella di un bambino.

Shirin non rispose. Le ire di Lairal erano già abbastanza dure da sopportare, senza che ci si mettesse pure lui. Decise di ignorarlo e addentrarsi in cucina, ma lui la seguì con il naso arricciato.

«Mamma, Shirin puzza! Fa' qualcosa, mandala via, lo sai che mi fa schifo!»

Lairal era chinata sul fuoco del camino, intenta a mescolare lo stufato nella pentola. Il profumo lì era più intenso, e lo stomaco di Shirin emise un lamento insoddisfatto, inebriato da quell'odore. Non appena udì quel rumore, la testa di Tris, la sorella più grande, si sollevò dai libri che teneva poggiati sul tavolo per rivolgere un'occhiata ai due appena entrati.

Lairal invece emise un sospiro pieno di esasperazione, ma non si voltò. «Lo so,» si limitò a rispondere al figlio capriccioso. «Shirin, va' in camera tua. Per punizione niente cena neanche questa sera.»

Shirin sentì il ventre stringersi in una morsa dolorosa a quelle parole. Aveva un disperato bisogno di cibo, tanto che al solo pensiero di saltare di nuovo il pasto le fece salire le lacrime agli occhi. Si sforzò con tutta se stessa di rimandarle indietro, tirando su col naso ancora rosso a causa del freddo di fuori.

«Non ti sembra di esagerare? È un giorno intero che non tocca cibo,» s'intromise Tris. Nonostante le parole altruiste, aveva una voce atona, come se in realtà non le importasse davvero di quello che sarebbe potuto succedere alla sorella.

«Deve imparare a comportarsi,» disse Lairal, senza scomporsi. «Lo sa che non deve andarsene in giro ad attrarre mostri.»

«Esatto!» esultò Onthar. Aveva gonfiato il petto, e Shirin non si sarebbe affatto stupita se gli fosse spuntata una coda da pavone da un momento all'altro.

Tris roteò gli occhi al soffitto, ma non replicò più e tornò a concentrarsi sui libri che aveva davanti.

«Che ci fai ancora qua, puzzona? Muoviti!» Onthar rivolse a Shirin un cenno schifato della mano, come se stesse scacciando un insetto particolarmente disgustoso.

La bambina non osò ribellarsi, per quel giorno aveva già combinato abbastanza danni, perciò si allontanò dalla cucina strisciando i piedi e si rintanò nella propria camera. Chiusa la porta, girò la chiave nella toppa per ben tre volte, per essere sicura che a nessuno venisse in mente di entrare. Era sicura che, quando suo padre sarebbe rientrato, avrebbe tentato di accedere per salutarla e dirle che gli dispiaceva, ma non le avrebbe portato alcun cibo. Non aveva alcuna voglia di vedere la sua faccia, voleva solo sdraiarsi sul letto a piangere e sentire il proprio stomaco lamentarsi per il resto della notte.

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Il mattino dopo, Shirin si svegliò a causa della fitta di dolore al ventre, che le si insinuò nei sogni ingarbugliati fino a costringerla ad aprire gli occhi. I raggi del sole erano deboli, ma l'abbagliarono comunque, riflessi sulla distesa di neve bianca che ricopriva l'intera città.

La bambina si scostò le coperte di dosso e si mise a sedere sul bordo del letto con un lungo sbadiglio assonnato. Anche tendendo le orecchie e trattenendo il respiro non riuscì a captare alcun rumore dal resto della casa, né i passi pesanti del fratello o la sua voce insopportabile, né il tintinnio delle pentole di Lairal. Shirin non avrebbe saputo dire con certezza che ore fossero, tuttavia sospettava fosse presto, perciò si chiese se i due stessero ancora dormendo. Era un'eventualità che trovava più probabile di una loro uscita, soprattutto perché Onthar ancora si lamentava di star male, sebbene nessuno avesse di preciso capito cosa avesse. Di fatto si comportava come al solito e non pareva avere nessun tipo di dolore o malessere.

In ogni caso, Shirin aveva deciso che quelli non erano affari suoi. Dopo aver allungato entrambe le braccia sulla testa per stirarsi ben bene, si alzò dal letto e si vestì in fretta e furia. Finché Lairal o Onthar non si fossero svegliati avrebbe avuto via libera per fuggire di casa e cercarsi qualcosa da mangiare. Non sapeva ancora dove né come, ma pensò che avrebbe potuto chiedere aiuto ai Vor, in fondo, almeno loro erano interessati al suo benessere.

Uscì dalla camera in punta di piedi e scivolò furtiva fino alla porta d'ingresso. Aveva pensato, per un istante, di controllare se in cucina fosse rimasto un po' dello stufato della sera prima, tuttavia era sicura che Onthar l'avesse mangiato tutto, fosse anche solo per farle un dispetto. Perciò marciò in tutta sicurezza verso l'uscita, dove trovò Tris, intenta a rimettere le proprie scarpe nella scarpiera.

Shirin si immobilizzò. Non osò neanche respirare per qualche istante, mentre la sorella la fissava in silenzio.

«Esci?» le chiese Tris alla fine.

Shirin annuì, lo sguardo basso.

La ragazza afferrò il cappotto impellicciato della bambina dall'appendiabiti di legno, posto accanto alla porta, e glielo porse. «Fa freddo, copriti bene.» Restò ad aspettare che la bambina indossasse la giacca, poi sparì nel corridoio.

Shirin inspirò a fondo, sollevata di avere almeno qualcuno che non la odiasse in casa, oltre a suo padre, e finalmente uscì.


Note:

Non è che succeda poi molto in questo capitolo, ma spero che vi sia piaciuto comunque leggerlo. Grazie a tutti, come sempre! ^^

Il Segreto dei VorDove le storie prendono vita. Scoprilo ora