Savage

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Tic, tic, tic.

Nella stanza semivuota rimbombava il suono ripetitivo dello scatto di una penna. Nonostante la finestra fosse ben chiusa, si sentiva un gran fresco fra quelle pareti bianche vuote: la politica aziendale era stata quella di chiudere tutti i termosifoni degli uffici inutilizzati per risparmiare sulle bollette. Taehyung teneva in mano quella penna e stava sbarrando dalla sua lista cartacea i nomi di tutti gli effetti personali lì segnati, dopo averli attentamente riposti in un grande scatola di cartone. Contrariamente a quanto avesse previsto, non gli era stata necessaria che una mezz'ora per sgomberare la sua scrivania, così poté rilassarsi fra quelle quattro mura un'ultima volta.
Si poggiò con la mano destra sulla lucida superficie di legno bianco laccato e inspirò profondamente l'aria umida che c'era lì dentro alle sei e mezza del mattino. In pochissime occasioni si era trovato nel suo ufficio a quell'ora e doveva ammettere che l'atmosfera non gli dispiaceva affatto.
Chiuse gli occhi e la sua mente iniziò a fargli passare davanti alcuni ricordi risalenti ai primissimi periodi nei quali aveva iniziato a lavorare là dentro. Ne aveva fatta di strada da quel periodo, tanto che adesso gli spettava non solo un nuovo ufficio, ma anche una carica ben più alta. La sua promozione a fotografo principale della rivista per la quale lavorava era stata la notizia più bella in mesi e mesi di incertezza per il suo futuro e persino sua madre ne era più che entusiasta, a dispetto della sua imperitura avversione per la professione scelta dal figlio. Ricordò la prima volta che era entrato in quel posto durante il suo percorso di formazione per diventare fotografo: al tempo lavorare per quell'azienda era il massimo del massimo delle sue aspirazioni per il futuro.
Rivide la vecchia disposizione dell'atrio, con i due grandi vasi di porcellana bianca lattiginosa, crepata dal tempo e insudiciata dalla terra che contenevano. Le due palmette verdi smeraldo erano sparite da un bel po', così come i tre divanetti di stoffa azzurra e la vecchia reception in legno sbiadito, altissima e intimidatoria con i suoi vetri sottili e il blando odore di muffa. La sola cosa ad essere rimasta al suo posto era il lucido pavimento a piastrelle bianchissime, che a Taehyung aveva sempre evocato l'immagine di uno studio dentistico o addirittura di una sala operatoria.
Il nuovo aspetto asettico non lo entusiasmava particolarmente, soprattutto perché gli ricordava quanto tutto fosse cambiato là dentro negli ultimi cinque anni: il suo collega storico, nonché migliore amico, si era trasferito fuori città a fare un lavoro che non gli piaceva per nulla, ma per il quale veniva pagato il doppio; la signora alla quale era stata affidata la sua formazione e che lui considerava una sorta di zia era andata in pensione; la donna che invece vedeva come una seconda madre e che si preoccupava del suo inserimento aveva recentemente avuto grossi problemi di salute, per i quali si era dovuta allontanare. Non aveva fatto in tempo a riprendersi da un allontanamento che subito se ne ritrovava un altro da elaborare e per lui, abitudinario e introverso, risultava il doppio più difficile gestire la sua situazione emotiva senza più i grandi pilastri che reggevano la sua sfera sociale e che aveva impiegato così tanto a costruire e fortificare.
Gli venne il nodo alla gola ripensando al passato, quando sentiva quel posto come una seconda casa, abitata da una seconda famiglia. Adesso non era restato niente di quella sensazione di calore familiare e a volte gli pareva di essere entrato nell'edificio sbagliato, specialmente quando notava certi atteggiamenti meschini fra colleghi, malelingue e mancanze di rispetto di vario tipo e gravità.
Guardò fuori dalla finestra, mentre all'esterno cominciava ad albeggiare. Le veneziane sgangherate restavano sempre mezze aperte anche a causa dei suoi vari tentativi di sistemarle, rivelatisi sempre fallimentari, ma in quel momento ringraziò l'avarizia del suo capo nel non volerle sostituire, poiché attraverso quelle strisce di alluminio verniciate di bianco, una tela di luci rosa, celesti e arancioni si componeva di fronte al suo sguardo.
Si concentrò sulle nuvole pesanti dell'autunno, che sembravano ancora più soffici irradiate da quei colori caldi e delicati e sospirò consapevole che da lì a poco l'edificio si sarebbe riempito di gente che avrebbe interrotto quella dolce pace che gli conciliava così bene la riflessione. Allo stesso tempo, insieme alla confusione, anche la realtà sarebbe venuta a disturbarlo e avrebbe reso concreto il suo trasferimento.
Decise di annegare tra i ricordi ancora un po' prima di venire a patti con la sua vita reale, rimuginando su essi e giocando a indovinare cosa sarebbe potuto succedere se solo le sue scelte fossero state differenti. E così, mentre l'alba crescente gli baciava lentamente il volto concentrato e le sue mani accarezzavano incuranti la scrivania, un paio di scarpe eleganti si dirigevano verso l'entrata del palazzo pronte alla giornata di lavoro che dovevano affrontare.

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