Santal noir

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«Sono un cretino.» Pensò guardando l'orologio. Era passata più di un'ora e gli restavano altre tre cartelle intonse sulle quali lavorare.
Corse immediatamente in ufficio e aprì la penultima: "Tentazione di Adamo".
Era composta da un centinaio di immagini che sperava di riuscire a editare prima della pausa pranzo fissata a mezzogiorno e mezza.

Qui notò subito un rilevante cambio di intensità di toni rispetto alla cartella precedente: qui la luce calda era più intensa e i contrasti meno marcati.
«Meno lavoro da fare.» Si disse soddisfatto, mentre osservava i modelli interagire tra loro in pose ed espressioni differenti. Il concetto era simile in tutte le immagini: Eva che, con un linguaggio del corpo aperto, mostrava un fico a un Adamo ritorto su se stesso, che man mano si apriva all'idea di assaggiarlo.
La modella caucasica indossava dei pantaloni larghi e un gilet di lino sbottonato a coprirle i seni, mentre il ragazzo orientale vestiva una semplice tunica al ginocchio di cotone.

Iniziò con lo schema di lavoro già utilizzato in precedenza e a mezzogiorno e un quarto aveva scelto ben otto ultime immagini sulle quali finire di lavorare.

Non aveva amato particolarmente quella parte dello shoot, né del mito in generale: sapeva che era stata spesso utilizzata per colpevolizzare il genere femminile, come se tutte le donne fossero responsabili del peccato originale e Adamo fosse stato costretto ad accettare quel frutto proibito. Così aveva scelto di concentrare l'obiettivo sul ragazzo che, persuaso, accettava e si nutriva golosamente di quel fico maturo, sporcandosi di rosso le gote e le dita e facendosi gocciolare il succo dolce sulla tunica candida con sguardo fiero.
Gli occhi del modello non tradivano una stilla di pentimento o vergogna nell'aver compiuto quell'azione e la potenza di quella disubbidienza sembrava colare fuori da ogni orifizio del suo volto fluida come melassa. Eva lo osservava di lato con il suo viso pulito, incuriosita e ingenuamente felice di aver fatto conoscere un sapore così buono al proprio compagno.

A proposito di sapori: Taehyung stava morendo di fame.
Si allontanò dalla scrivania e andò verso la sedia che aveva sistemato sotto la finestra. Doveva servire a fare accomodare chiunque entrasse nel suo ufficio per parlare con lui, ma nessuno entrava mai lì dentro ed era sempre lui a galoppare da una stanza all'altra per sapere che cosa i suoi superiori avessero da riferirgli.
Prese la sua borsa e ne rovistò il contenuto per un momento, fino a trovare la scatolina di plastica contenente i panini che si era preparato la sera prima.
Finché aveva potuto lavorare con coloro che lo avevano guidato all'interno dell'agenzia, si era anche permesso di andare a pranzare alla mensa aziendale, ma dal momento che non aveva più nessuno che gli tenesse compagnia preferiva consumare i suoi pasti velocemente e in solitudine. La trovava una scelta pratica, poiché non doveva nemmeno spostarsi dal suo ufficio e aveva la possibilità di tornare a lavoro quanto prima, senza lasciarsi influenzare dal collega che si faceva accompagnare a prendere un caffè o a fumare una sigaretta.
Mangiare da solo gli permetteva inoltre di riflettere in silenzio su cosa avrebbe fatto successivamente, che tipo di filtro avrebbe applicato a questa e quella fotografia, se scegliere un formato piuttosto che un altro e così via, senza sosta.
Sua madre gli aveva spesso detto che questo comportamento maniacale lo avrebbe portato in burnout un giorno o l'altro, ma a lui pianificare piaceva: lo faceva sentire sicuro sui suoi prossimi passi e gli permetteva di svolgere un lavoro più accurato possibile.
Così, come spesso faceva, perse la cognizione del tempo a riflettere sui suoi lavori e su se fosse giusto o meno rendere gli occhi dei personaggi più brillanti prima o dopo aver mangiato il fico. Si concentrò così tanto che sentì a malapena il sapore del panino al tonno che stava ingurgitando e quando lo ebbe finito si scordò persino di averlo mangiato.

Si ributtò a capofitto sul secondo capitolo del photoshoot e con piacere ritrovò la modella con i ricci che tanto gli stava simpatica, mentre con sorpresa accettava un fico da un bel ragazzone  dalla carnagione scurissima, vestito di seta candida e oro.
Si avvicinava sempre più al momento al quale anelava maggiormente: la fine di quel lavoro e la meraviglia di poterlo ammirare nel suo complesso.

Non stava più nella pelle.

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