Patchouli Impérial

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Tornò a casa più stanco che mai quella sera, stremato dopo aver cercato di gestire la crisi che lo aveva attanagliato nel pomeriggio.
Aprì la porta di casa e si guardò al piccolo specchio che teneva dietro l'entrata, appena sopra il piattino delle chiavi: si vide ingobbito, con il viso stravolto, le occhiaie scavate, la pelle lucida e le labbra pallide e sottili.

Ogni volta che stava così, era solito cercare la solitudine finché non arrivava l'ora di andare a dormire: in quel momento tutti i pensieri e le paranoie si annullavano e la mattina dopo aveva le idee più chiare e riusciva ad essere decisamente più lucido.
Pensava a sé, al suo futuro e a se quel lavoro fosse giusto per lui. Le parole della signorina Park avevano lavorato dentro di lui in quei giorni, ma non credeva che sarebbero diventate una tale ossessione.
Camminava lungo il corridoio mentre rifletteva e meccanicamente compiva la sua routine serale prima di andare a letto. Entrò in camera iniziando a spogliarsi e nel frattempo si chiedeva come mai non fosse stato in grado di toccare quegli scatti, uscì in pigiama e andò verso il bagno mentre pensava a quanto fosse felice quella stessa mattina, si lavò il viso e i denti ma domandandosi se avesse qualcosa che non andava.
Aveva lavorato duro per arrivare a stare dove stava, anni di studi e tirocini per perfezionare la sua tecnica, fatica e tempo spesi come commesso in un minimarket solo per fare i soldi necessari a pagarsi la scuola. Era andato contro la volontà della madre e del fratello pur di portare avanti le sue passioni, sudandosi ogni singolo traguardo raggiunto e adesso? Arrivava il servizio grazie al quale poteva dimostrare le sue doti e la sua competenza e lui reagiva così. Che fosse la tensione? Che si stesse auto-sabotando inconsapevolmente?

Tornò verso la sua stanza da letto e si stese sul letto, coprendosi con le lenzuola profumate.
Mise in carica il cellulare e chiuse gli occhioni stanchi e secchi. La testa gli faceva un pochino male e sentiva di non respirare bene con il solito peso che si ritrovava sullo stomaco da quel pomeriggio.
Sperò di svegliarsi più sereno la mattina successiva, poi si addormentò profondamente.

* * *

«Kim che ti è successo stamattina?» Domandò una voce conosciuta che proveniva da dietro Taehyung.
«S-signor Wang, buongiorno.» Il ragazzo si inchinò e poi continuò: «Non ho dormito molto bene stanotte signore, sto avendo dei problemi con l'ultimo progetto.» Gli spiegò, mentre entravano nell' ascensore strapieno di gente, con una voce stranamente flebile per uno come lui.
«Mi dispiace davvero tanto ragazzo.» Disse sinceramente Jackson. «Ma tu sei uno in gamba, si vede subito. Riuscirai a venirne a capo ne sono certo.» Gli fece un sorriso rincuorante. «Altrimenti non c'è nessuno con cui ti puoi confrontare qua dentro?» Domandò interessato.
Taehyung lo guardò un po' spiazzato da tutta quella genuina apprensione per i suoi problemi e scosse la testa.
«Ho paura di no signore: che io sappia sono l'unico fotografo qua dentro e mi sono bloccato su un problema tecnico che solo un altro fotografo potrebbe risolvere.» Lo informò con il cuore piangente. «Comunque ho intenzione di provare a venirne a capo per tutto il tempo che mi è concesso, altrimenti ho già una specie di piano B.» Ridacchiò soddisfatto.
«Potessi ti aiuterei davvero ragazzo, ma so solo disegnare modelli e cucire due straccetti.»

Dlin dlon

Nemmeno il tempo di ribattere che Wang era uscito dall'ascensore, spinto dalla calca.
«Buona fortuna Kim.» Lo salutò da lontano.
«Grazie signore.» Rispose lui sorridendo, mentre veniva a sua volta trascinato da chi stava dietro di lui.
Ecco uno dei motivi per cui gli piaceva arrivare sempre presto: evitava gli altri dipendenti e conversazioni in mezzo a sconosciuti. Quella mattina però non ce l'aveva proprio fatta a buttarsi giù dal letto prima della terza sveglia e ne aveva appena pagate le conseguenze.
Varcò la soglia del suo ufficio sensibilmente più speranzoso di quando ne era uscito la sera precedente e non ebbe esitazioni stavolta nell'accendere il PC e aprire quella cartella.
Fissò il photoshoot davanti a sé come si fissa un nemico difficile da abbattere e ricominciò a sfogliarlo. Il sonno aveva davvero giovato al suo spirito, dato che adesso riusciva a scorrere quelle immagini senza esserne troppo turbato, certo, dentro di sé sapeva che non erano come tutte le altre e avvertiva gli smuovevano qualcosa, ma stavolta riusciva perlomeno ad essere oggettivo e ad individuare gli errori e le correzioni da apportare.
Si concentrò sulle immagini che più gli facevano stringere lo stomaco, come a voler sfidare se stesso e dimostrarsi che sarebbe riuscito a eliminare il problema.
Ne scelse una decina accantonando le altre e cominciò subito da quella che gli dava più problemi: raffigurava i due modelli accovacciati che si guardavano negli occhi. Stavano molto vicini ed entrambi avevano un'espressione sorpresa e incuriosita. Il ragazzo aveva la mano destra sull'orecchio sinistro di lei, nell'atto dolcissimo di metterle i biondi capelli a posto.
Tutto di quella foto gli faceva stringere il cuore, il gesto nell'insieme era di un'intimità unica, le pose incerte, la ragazza che un poco arrossiva a quel contatto e poi la tunica di lui che gli lasciava scoperta buona parte delle solide gambe, i suoi occhi lucidi e scuri, il suo braccio forte protratto verso di lei con delicatezza e infine la luce che ricadeva calda su di loro, caramellando i loro incarnati e illuminando i loro sguardi incatenati.

Si mise a capo basso, cercando di non pensare a nulla che non fosse il lavoro che doveva fare. Si scrisse una lista di modifiche da fare, cosicché se fosse di nuovo andato in crisi avrebbe ricevuto una mano dal se stesso del passato.

Questa volta tutti quei pensieri negativi non sarebbero riusciti ad ostacolarlo, ne era sicuro.

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