La vie est belle

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In quei corridoi freddi, l'unico colore che differiva dal nero dei vestiti degli impiegati e dal bianco asettico dei muri era il rossetto sui sorrisi delle ragazze, ma in  quella uggiosa mattinata di pioggia nessuno aveva voglia di sorridere.
L'aria entrava umida e pesante nelle narici di Taehyung, mentre si spostava nel palazzo verso l'ufficio di Sandara e ad ogni respiro gli pareva di sentire aumentare il macigno che gli premeva alla bocca dello stomaco.
Non bastava la frustrazione di non riuscire a trovare idee per il suo progetto, adesso emergeva anche il rimpianto per Jungkook. La sua testa era piena di "se avessi fatto" e "se avessi detto". Razionalmente sapeva di non aver agito in modo sbagliato nei suoi confronti, tuttavia in questi anni non aveva fatto altro che chiedersi che cosa avesse che non andava per allontanare così repentinamente una persona.
Dall'oggi al domani, subito dopo il servizio, Jungkook aveva smesso di rispondere ai suoi messaggi e alle sue chiamate e più che si struggeva per lui, più vedeva la sua immagine spiattellata ovunque: riviste, reclami online e cartelloni pubblicitari.

Chissà che persona era diventata, chissà se era felice e chissà se si ricordava ancora di quel tenero bacetto che gli aveva dato sulla gota quella sera.

Arrivò di fronte all'ufficio di Sandara, lei stava dentro e aveva sentito i passi rumorosi tipici di una suola di cuoio avvicinarsi, vide l'ombra di qualcuno al di fuori del vetro opaco stare ferma per qualche secondo davanti la porta e poi allontanarsi rumorosamente, così com'era venuta.
Si alzò dalla scrivania. I suoi tacchi a spillo che pestavano le piastrelle rimbombarono fino all'esterno della stanza, Taehyung si voltò appena in tempo per incrociare gli occhi di Sandara che apriva la porta.
«Ti serviva qualcosa ragazzo?» Chiese la donna con voce seria.
Taehyung si sentì come uno scolaretto che era stato beccato con le mani nella marmellata.
«Io veramente, ehm...» Balbettò spiazzato.
Lei gli rivolse un sorriso rassicurante.
«Vieni dentro Tae, lo sai che non mi disturbi mai. È tanto che non parliamo un po'.» Lo invitò con un sorriso sincero che avrebbe fatto impallidire il anche sole per quanto era raggiante.
Senza dire una parola, le si avvicinò di quella decina di metri che li dividevano e la guardò di nuovo negli occhi scuri.

«Vieni, siediti pure.» Lo invitò, una volta dentro. La direttrice creativa aveva aggiunto un tavolino da fumo e delle poltrone viola scuro al suo ufficio, che rendevano l'atmosfera decisamente più accogliente per i clienti. Si accomodarono proprio lì.
Iniziarono a rompere il ghiaccio.
Sandara aveva ragione e Taehyung lo sapeva bene: era molto che non facevano una delle loro chiaccherate. Nell'ultimo anno il ragazzo si era chiuso con tutti, aveva smesso piano piano di pranzare con i colleghi e li calcolava solo quando li incrociava nei corridoi, rivolgeva loro brevi saluti e qualche frase di circostanza per poi rintanarsi nel suo ufficio e sfogare la sua frustrazione sugli assistenti. Persino il centralinista aveva smesso di importunarlo dopo aver ricevuto un paio di risposte piuttosto stizzite.

«Che ti succede ragazzo?» Domandò con tono preoccupato la donna.
Lui abbassò lo sguardo e pensò per qualche istante.
«Non lo so Sandara, mi sento diverso ultimamente.»
«Diverso? In che senso?» Domandò visibilmente confusa.
«Non lo so, con voi, nel lavoro...» Non sapeva bene nemmeno lui come spiegarsi.
Si appoggiò con la schiena alla poltrona e allungò le gambe. Forse una posizione più comoda avrebbe favorito l'afflusso di sangue al cervello.
«Mi sembra... che tutti mi trattino in modo diverso da un po'di tempo.» Si cavò quel fastidioso pensiero dal cranio con lo stesso godimento con il quale un bambino si cava una caccola dal naso: sa che non dovrebbe farlo, ma è troppo soddisfacente per rinunciarci.
«Può essere benissimo che qualcuno lo abbia fatto per interessi personali o semplicemente per ammirazione Tae.»
«Non mi piace lo stesso.» Corrucciò lo sguardo.
«Perché no?»
«È ipocrita. Fin'ora c'era gente qui dentro che non mi degnava nemmeno di un saluto, ma da quando un paio di critici hanno detto che le mie foto sono belle, improvvisamente scopro che in realtà mi avevano sempre ammirato. Non voglio averci minimamente a che fare con questi.» Alzò inavvertitamente la voce pronunciando l'ultima frase.
«Sì ma non lo decidi tu. Anche se andassero in giro a dire che lavorano con te e siete grandi amici, comunque non potresti farci nulla. L'unica cosa che puoi fare è scegliere le persone giuste di cui circondarti.»
«Non posso scegliere io a chi accostare la mia immagine? Che significa?»
«Significa che prima di preoccuparti di chi sei per gli altri, dovresti preoccuparti di chi sei qui.» Gli si avvicinò, facendogli sentire suo odore di cannella e gli puntò un dito sullo sterno.
«Tutto il resto viene di conseguenza.» Concluse ricomponendosi.

Rimasero in silenzio per una trentina di secondi, Sandara osservava i suoi deboli cambi di espressione mentre rifletteva su ciò che si era appena sentito dire. Sapeva che non era il tipo da lasciarsi scivolare addosso le parole di chi stimava e sapeva anche che nel corso dei giorni successivi avrebbe riflettuto più volte sulla questione.

«Come faccio ad interessarmi al contenuto, se per lavoro curo lo scrigno?» Domandò a bruciapelo, guardando la donna negli occhi, che assumevano un'espressione confusa.
Lo guardò di nuovo e capì finalmente il perché in tutti quei mesi aveva cominciato a vestire completi eleganti e gioielli. Si era perso da qualche parte nella sua ossessione per la perfezione e la donna si maledisse per non averlo capito prima.

«Vedi Tae, ci viene insegnato a curare o la forma o il contenuto, mai le due caratteristiche insieme: pensa agli stereotipi da film statunitense dove la ragazza bella è stupida e la ragazza intelligente è racchia.
Questa non è altro che finzione, sono tutte bugie. Si può benissimo essere intelligenti e contemporaneamente bellissimi e sai, spesso è proprio l'intelligenza a farci belli.» Vide gli occhi di Taehyung inumidirsi appena e continuò il suo ragionamento: «Quindi non credere di aver perso te stesso solo perché adesso ti interessi anche a cose che sono socialmente considerate frivole, perché credimi la frivolezza è il sale della vita e dà più sapore a un'esistenza altrimenti pesante e sciocca. Semplicemente i tuoi interessi stanno cambiando, tu stai cambiando ed è giusto cambiare, altrimenti non si crescerebbe mai, no?» Gli sorrise mentre diceva l'ultima frase e vedeva i lucciconi di quel ragazzo che si era smarrito nel mondo degli adulti.
«L'importante ragazzo è andare a letto sereni la sera, sapendo di aver regalato solo bene agli altri. Cerca di fare così e non ci saranno anelli o camicie griffate che ti faranno dimenticare chi sei.» Concluse, poi si avvicinò e lo abbracciò stretto a sé, come una mamma farebbe con un bimbo spaventato.
Il suo dopobarba sapeva di pino silvestre e i suoi capelli scuri di vaniglia.

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