Ô oui

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Il risveglio fu piuttosto tragico.
Dormire in un luogo che non fosse casa sua gli aveva dato problemi da quando ne aveva memoria. Ancora prima di aprire gli occhi si sentiva il volto gonfio e i bulbi oculari secchi e doloranti. Provò a girarsi dall'altro lato, ma non ci fu nulla da fare: dopo un po' di tempo gli salì la rabbia e a quel punto il sonno era l'ultima cosa che gli sarebbe arrivata. Fece un lungo sospiro infastidito e poi iniziò a guardare il soffitto giallino.
Tutto sommato quella stanza e non era nemmeno male: piccola vero, ma aveva un bagnetto tutto suo e la moquette. Queste due caratteristiche già bastavano e avanzavano a un Taehyung abituato a dormire in sudici ostelli con bagni comuni durante i suoi viaggi.
Cominciò distrattamente a osservare la mobilia: abat-jour in stoffa gialla a ogni lato del letto a due piazze, poggiate su deliziosi comodini di legno con le gambe rifinite ad intaglio sul fondo con anelli concentrici. Di fronte a sé un piccolo armadio sempre di legno liscio, un termosifone, mentre nella parete alla sua sinistra c'era la finestra bianca con l'avvolgibile chiusa. Il bagnetto stava invece alla sua destra ed era minuscolo e tutto bianco.
Gli dispiacque quasi andarsene via l'indomani, perché davvero quella era la stanza di albergo più bella in cui fosse mai entrato come cliente.
«Be' almeno ho un'altra notte da passare qua.» Si disse e guardò l'orologio.
«Le nove. Almeno le mie ore le ho dormite.»
Quando andò in bagno e si vide riflesso nello specchio per poco non svenne sulla tazza. Adesso capiva come mai quella sensazione di gonfiore al viso: in mezzo alla fronte gli era spuntato un grande livido nero e viola che gli aveva fatto gonfiare persino la palpebra inferiore.
«Ma quel Mark voleva sfondarla a pugni la porta per avermi fatto questo. Ma che modi sono?» Si chiese. Lo sfiorò l'idea che lo avesse voluto fare apposta, ma fu subito scacciata come la falsità che era.
«Oramai mettere altro ghiaccio sarà inutile credo.»
Ebbe un attimo di smarrimento nel quale pensò che non sarebbe più riuscito a uscire di lì finché la faccia non gli fosse tornata normale. Si vedeva completamente stravolto allo specchio e più si osservava, meno riconosceva la sua immagine.
«Sono un mostro.» Pensò e un groppo gli si formò in gola.
Tutto quello che aveva tenuto dentro fino a quel momento, le tensioni, la rabbia, la sensazione di inadeguatezza, sgorgarono fuori dai suoi occhi bruni sotto forma di grandi gocce salate e a una a una gli rotolavano sulle gote rosee e accaldate.
Si piegò in due sul lavandino come sconfitto, avvertiva un grande peso dentro al petto e continuava a ripetersi: «Non ce la posso fare, mi vergogno troppo, che sono venuto a fare qui?»
Come ogni volta accadeva, la catena di pensieri negativi si rafforzava con il pianto, che non rappresentava assolutamente per lui una valvola di sfogo: aveva iniziato per un motivo, ma sarebbe potuto andare avanti all'infinito man mano che gli affioravano ricordi di fallimenti passati e presenti, di ansie e paure.
Si sedette per terra sotto il lavandino candido e con le braccia avvolse le proprie gambe piegate sul petto.
Si asciugava le lacrime e il muco del naso con i pantaloni del pigiama, ma dopo poco tempo erano già completamente umidi, così smise proprio di asciugarsi.
Passato un tempo che non riuscì bene a definire, sentì lo stimolo di uscire da quel bagno, ma non appena si alzò e incrociò se stesso allo specchio con la faccia stravolta, più veloce di un fulmine gli tornò il solito pensiero di poco prima e si ritrovò daccapo a ripetersi: «Non voglio uscire, fuori mi vedranno tutti così, mi vergogno.» Mentre, di nuovo, piangeva lacrime che non aveva nemmeno più ormai.
A quel punto dentro di sé però era sopraggiunta un'altra voce che con il timbro di suo padre gli diceva che era inutile perdere tempo a stare lì inerme e che prima avrebbe smesso di frignare, prima i segni del pianto sarebbero spariti.
Raccolse il poco coraggio che gli era rimasto e si alzò di nuovo. Stavolta evitando di guardare lo specchio, si lavò il volto con acqua fredda e si spostò in camera. Si spogliò del pigiama e lo gettò sul letto ancora sfatto.
L'aria della stanza non era fredda, tuttavia sulla sua pelle nuda corsero scie di brividi che provvide subito a coprire prendendo dalla valigia una bella tuta invernale.
Starnutì e avvertì gli occhi affaticati e irritati dalle lacrime, il naso ancora tappato poiché il muco si era come murato al suo interno, probabilmente a causa delle mucose infiammate dal troppo soffiarselo.
Decise che dopo un pisolino il mondo di solito era migliore e, almeno per quanto riguardava lui, i problemi sembravano più lontani. Così, stremato dal lungo pianto, si gettò sul materasso, chiuse gli occhi e piano piano scivolò nel torpore del sonno.

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