J'adore

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Pelle nera semplice, chiusura stringata e suola di cuoio: i passi sicuri di quell'uomo si avvicinavano rumorosi al luogo dove si trovava Taehyung.
Il completo formale color fuliggine non si spiegazzava mai addosso a Namjoon e tutti in quegli uffici erano bramosi di scoprire il suo segreto per apparire fresco e composto anche dopo dieci ore di lavoro.
Le sue braccia oscillavano un poco ai lati del suo corpo mentre camminava e il suo sguardo duro fissava il proprio obbiettivo attraverso gli occhiali quadrati, mentre i capelli lisci e scuri gli incorniciavano il volto sereno.
Era una persona estremamente precisa e Taehyung l'aveva capito al primo sguardo, soltanto notando quanti centimetri gli sporgessero dalla giacca le maniche della camicia perfettamente stirata, poi ad un secondo colpo d'occhio aveva notato le unghie, la barba e i capelli sempre puliti e curati; infine aveva dato un'occhiata attorno a sé durante il colloquio, pensando di non aver mai visto un ufficio tanto ordinato.
Namjoon guardò il proprio orologio da polso distrattamente mentre varcava la soglia dell'edificio, quasi fosse un tic involontario più che una reale necessità di sapere l'orario e prima di chiamare l'ascensore buttò uno sguardo alla reception con il bancone metallico che tanto gli piaceva. Schiacciò il tasto numero cinque e cominciò velocemente a salire.
Al quinto piano si trovavano infatti tutti gli uffici, compreso il suo e un paio di stanze che fungevano da piccoli magazzini di cancelleria e utensili vari.
Quando le porte si aprirono, notò una luce fredda filtrare dal vetro opaco dell'ufficio del fotografo ufficiale di Gloss magazine.

«Buongiorno Kim.» La voce profonda e sicura del caporedattore incrinò la quiete mattutina della stanza semivuota, facendo trasalire Taehyung, occupato a sistemare le sue cose all'interno dei cassetti della sua nuova scrivania. Si guardarono brevemente, sorridendosi cordialmente a vicenda.
«Buongiorno signor Kim.» Rispose gentilmente il ragazzo.
Namjoon annuì leggermente con la testa che sbucava dalla porta socchiusa, mentre rifletteva sulle parole di benvenuto da rivolgere al suo nuovo collega di piano, tuttavia non riuscì a trovarne di convincenti, così sorrise con più decisione e scomparve nel proprio ufficio.
Taehyung rimase stranito da quello scambio e cominciò a chiedersi se avesse detto qualcosa di sbagliato al suo capo, nel frattempo riponeva i suoi hard disk e il suo portfolio porta-fortuna in quei cassetti di legno profumati.
Si rese conto di non avere davvero molto da sistemare quando vide che gli scaffali della stanza erano rimasti quasi vuoti, così come le pareti e si domandò come facessero tutti gli altri ad aver riempito quegli spazi a regola d'arte, mentre lui era riuscito solo a farli somigliare a degli appoggi provvisori per i suoi effetti personali.
Gli sembrava di essere stato trasferito in uno spazio davvero troppo grande per lui, nonostante in realtà si trattasse di un normalissimo noioso ufficio: una finestra alla sinistra di una scrivania e tre piccoli scaffali a muro di fronte.
Si sedette sulla propria sedia imbottita, incantato sulla candida parete di fronte a sé e cominciò a concentrarsi sui suoni esterni. Udì l'intero piano iniziare a prendere vita: sentiva numerosi passi più e meno pesanti girovagare in quei corridoi, l'ascensore si apriva e si chiudeva a intervalli irregolari, le porte venivano aperte e richiuse, li uccellini fuori cinguettavano sempre più decisi e insieme a loro anche i rumori del traffico cittadino.
Dopo pochi momenti tornò al mondo reale, guardò il proprio orologio e si rese conto che era arrivato il momento di cominciare a lavorare.
Aveva appena sfilato il proprio portatile dalla valigetta, quando si sentì bussare alla porta.
«Avanti.»
Gli si presentò davanti uno stagista magrolino intravisto qualche volta, con una cartellina gialla in mano e lo sguardo assonnato.
«Buongiono signore, perdonate il disturbo.» Si inchinò gentilmente e continuò. «Il signor Kim mi ha mandato a dirvi che in giornata arriverà il tecnico a installare il PC fisso.»
L'espressione di Taehyung divenne così sorpresa che il ragazzino alzò inavvertitamente un sopracciglio confuso.
«Addirittura...» Disse incerto. «Sono passato dal lavorare in uno scantinato ad avere una postazione fissa per me.» Concluse, parlando più a se stesso che all'altro.
«Buon per lei signore, spero di arrivarci anche io un giorno.» Commentò lo stagista.
«Come ti chiami ragazzo?» Domandò Taehyung.
«Yeonjun signore.» Rispose lui.
«Bene Yeonjun, ti dico che se ti impegni e stringi i denti per un tempo sufficiente, riuscirai ad ottenere tutto ciò che desideri o quasi. Cosa vuoi fare qui dentro?» Chiese il più grande.
«Sto studiando per lavorare nell'editoria, nel frattempo faccio l'assistente del caporedattore signore.» Spiegò Yeonjun.
«Sei stato fortunato a trovare una occupazione così vicina a quello che studi. Complimenti.» Sorrise e accese il suo portatile.
«Grazie signore.» Si inchinò profondamente. «Con permesso, vado a finire le mie commissioni signore.» Si inchinò di nuovo.
«Vai pure Yeonjun. Buon lavoro.» Gli sorrise di nuovo.
«Grazie signor Kim, a lei.» Si congedò.

Taehyung lavorò incessantemente quella giornata, anche mentre quei due uomini in salopette blu parlavano tra di loro su dove fosse meglio posizionare il computer e su come le prese a muro dell'edificio fossero di nuova  generazione. Almeno questo era stato ciò che gli era parso di sentire tra i loro discorsi, ma non era totalmente sicuro di cosa avessero detto, impegnato com'era stato a editare quelle immagini che dovevano necessariamente essere pronte per la settimana successiva. Le uniche interazioni che aveva scambiato con loro erano stati i saluti dovuti e il cenno del capo che aveva rivolto loro, quando gli avevano domandato se gli piacesse la posizione in cui avevano piazzato lo schermo sulla scrivania. 
Era solito immergersi totalmente nel suo lavoro, così tanto da perdervicisi a volte e alzare gli occhi dallo schermo solamente per i morsi della fame dati dai pasti saltati. In quei momenti, proprio come un bimbo non ha voglia di lasciare i giochi per andare al bagno, malediva la sua umanità che lo spingeva lontano dalle attività che tanto lo interessavano. Poi si rassegnava alla propria fame e la soddisfaceva il più rapidamente possibile.
Credeva fosse anche quello uno dei motivi per i quali a sua madre non convinceva il suo lavoro, ma a lui poco importava di quei giudizi tanto superficiali, dati da una donna che non lo aveva mai capito.

Tornò a casa stanco quella sera, ma tanto tanto felice.








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