Bleu turquoise

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«È innamorato Namjoon.» Disse Jackson a bassissima voce, appena Taehyung fu rientrato nel suo ufficio.
«Ma che dici? Mi ha detto che sta avendo dei problemi con un cliente.»
Jackson fece la faccia di chi la sapeva più lunga e spiegò:
«Non hai visto com'è distratto? Sembra sempre che stia pensando ad altro e poi non ha mangiato quasi nulla.»
«Magari è stressato e non ha fame.»
«O magari ha il mal d'amore e non ha fame. Poi è sempre a guardare il telefono...»

«Guardate che vi sento!» Si sentì urlare dal corridoio poco più in là. Namjoon e Jackson si guardarono terrorizzati e si affacciarono, trovando Mark seduto al suo banchetto fuori dall'ufficio di Taehyung che sorrideva.
«Continuate pure signori, io sono molto d'accordo.» Affermò.
I due tirarono un sospiro di sollievo e sorrisero a loro volta.
«Mark se fai un'altra volta una cosa del genere ti licenzio.» Minacciò bonariamente il caporedattore Kim.
Al che Mark sbiancò e tornò solerte a compilare le sue scartoffie.

«Ad ogni modo quando e se sarà pronto ce lo dirà lui.» Concluse Namjoon.
«Non succederà mai Nam.»
«Ma che dici?» Stavolta il signor Kim non riusciva davvero a capire.
Jackson si guardò un po' intorno, poi lo trascinò nel suo ufficio e chiuse la porta.
«Vuoi dirmi che cosa ti passa per la testa?» Chiese Namjoon incuriosito, ma esasperato.
«Non ce lo dirà mai perché è gay Namjoon.»
«Sì lo so e quindi?»
«Come lo sai?» A quel punto fu Jackson quello stupito.
«Jack ti ricordo che sono gay anche io.»
«E quindi vi riconoscete? Come funziona?»
Namjoon rise di gusto per quella domanda innocente poi rispose:
«Circa. Ad ogni modo, ripeto, sarà lui a dircelo nel caso.» Lo guardò con aria rimproverante e aggiunse:
«Ti conosco, quindi non metterti a ficcare il naso in faccende non tue.»
«Agli ordini signor caporedattore signore.»

* * *

Jungkook quella mattina non aveva fatto altro che sbrigare burocrazia per potersi candidare come volto in uno spot pubblicitario.
Non aveva preso in mano il telefono nemmeno per un istante e se ne ricordò solamente davanti alla porta del signor Song, ma quando lo prese in mano e vide il messaggio era troppo tardi per rispondere, perché il signor Song aveva già aperto la porta.
«Buongiorno signore.» Si inchinò e continuò:
«Sono Jeon Jungkook, il candidato per lo spot pubblicitario.»
«Sei puntuale ragazzo.» Disse lui guardando il suo orologio da polso costosissimo.
«Vieni, entra pure.»
Il signor Song non aveva nulla a che vedere con tutti gli altri produttori con i quali aveva avuto a che fare Jungkook: era alto e in forma, aveva circa 50 anni e profumava di dopobarba. Il suo volto aveva lineamenti gentili, ma soprattutto: gli aveva sorriso.
«Stai a vedere che mi ha chiamato qua davvero per parlare.» Pensò ingenuamente.
Per quanto aborrisse l'idea malata secondo la quale il valore delle persone andasse di pari passo con il loro aspetto fisico, alcuni concetti che aleggiavano in quel mondo fatto di immagini patinate gli erano entrati subdolamente in testa e vi si erano stanziati. Per questa ragione giudicò immediatamente positiva la persona di Song Seojun, come se il suo essere curato nell'aspetto lo rendesse immediatamente rispettabile.

«Prego accomodati.» Gli disse, indicando un divano in pelle nera a lato di quell'immenso ufficio.
Tutto in quella stanza tendeva ai toni del celeste: dagli inserti sulla sedia girevole, ai quadretti appesi alle pareti. La TV a muro posizionata davanti la scrivania dava un film western di Sergio Leone, ma il volume era a 0 e il fotografo non poté capire cosa stava dicendo Clint Eastwood a il Cattivo.
Il signor Song portò un vassoio di tè verde e lo appoggiò sul tavolino da fumo in vetro che stava davanti al divano.
«Prego.» Gli disse, offrendogliene una tazza.
«Grazie mille, molto gentile.»

«Allora, ti piace questo ufficio, eh ragazzo?»
«Molto signore, lei ha un ottimo gusto.» Rispose mentre sorseggiava la bevanda calda.
«Mi ci è voluto un bel po' per arrivare qui, ma adesso direi che ho quasi tutto quello che desidero.» Finì quella frase mostrando i suoi denti bianchi.
«Complimenti davvero, spero di impegnarmi abbastanza per arrivare dov'è ora lei un giorno.»
Lo disse con aria così innocente e piena di ammirazione che sembrò sincero, la verità è che di tutto quel ben di Dio non gli importava un bel niente: aveva solamente affinato l'arte del lecchinaggio.
«Lo spero anche io ragazzo: uno con un visino così bello si merita di raggiungere tutto ciò che desidera dalla vita.» Pronunciò quelle parole con un tono ambiguo e poi prese una altro sorso di tè.
«Grazie signore.» Si limitò a rispondere Jungkook, poi continuò:
«Se posso chiedere-» Vide il signor Song annuire e andò avanti:
«Perché mi ha fatto chiamare qui?»
L'uomo gli rivolse un sorriso rassicurante e gli mise una mano sul ginocchio.
«Perché quando ho visionato i video di candidatura, ho visto la fame nel tuo sguardo Jungkook e volevo accertarmi che fosse così anche dal vivo.»
Si alzò in piedi, mostrando bene il suo costoso completo nero al modello, e ricominciò a parlare:
«Sai non tutti hanno le carte giuste per fare successo in questo mondo, io ne ho visti tantissimi molto più belli di me e di te finire nel dimenticatoio in men che non si dica: loro non avevano quello che abbiamo noi Jungkook.»
Si sedette sulla scrivania metallica un paio di metri più in là e proseguì:
«Sai com'è stata scelta Rihanna?»
«No signore, non seguo molto quel tipo di musica.»
«Non fa niente, te lo dico io. Lei era una sedicenne barbadiana come tutte le altre e non aveva talenti particolari, pensa che all'inizio non sapeva nemmeno cantare, ma è stata scelta per la sua fame e adesso guarda che cosa ha costruito.»
«Ma signore, mi scusi, ma che cosa è questa fame?»
Seojun rise e poi si sistemò i capelli brizzolati di nuovo sopra la testa. Aveva un bellissimo taglio alla David Beckham tenuto insieme da un tocco di gel.
«Hai ragione ragazzo, non mi sono spiegato bene.» Riconobbe, mentre scendeva dalla scrivania e andava a risedersi sul divano di fianco a lui.
«Diciamo che ognuno di noi ha il bisogno di affermarsi in qualche campo, sei d'accordo?»
Chiese gesticolando in modo affascinante.
«Sì signore.»
«Bene, conosci la famosa frase di Steve Jobs "stay hungry stay foolish"?»
«Sì signore.» Rispose arrossendo un poco per via del fatto che l'uomo si stava avvicinando parecchio.
«Ecco!» Esclamò appoggiando la grande mano sulla coscia di Jungkook, per poi continuare il discorso:
«Io mi rifaccio a quella frase e chiamo "fame" l'estremo bisogno di affermazione di alcune persone, un bisogno che si può individuare senza difficoltà all'interno degli occhi di chi ce l'ha-»
Adesso il signor Song, aveva abbassato la voce ed era vicinissimo al suo orecchio, mentre la sua mano risaliva lentamente dalla coscia verso il suo cavallo dei pantaloni.
«-ed è un bisogno talmente forte, che per soddisfarlo una persona farebbe qualcunque cosa.»
Gli sussurrò l'ultima frase con le labbra che gli sfioravano l'orecchio e la mano che oramai era arrivata al suo obbiettivo e lo stava massaggiando voluttuosamente dall'esterno.
Jungkook era invero estremamente eccitato e ansimava, mentre l'uomo gli mordicchiava la pelle del collo.
«Quanto sei buono giovanotto, vieni fatti assaggiare.»
E così dicendo gli sbottonò i jeans e insinuò la mano al loro interno.
«Ah sì, così ti voglio Jungkook.» Commentò non appena ebbe la conferma della sua eccitazione.
«S-signore.» Mormorò il modello fra gli ansimi afferrandogli un braccio.
«Shhh, non ti preoccupare: nessuno lo verrà a sapere.» Lo rassicurò, continuando a fare su e giù con la mano, mentre riprendeva a baciargli il collo.
Jungkook si lasciò un po' scivolare sul divano, in modo da restare in una posizione semiseduta.
Teneva gli occhi chiusi e la bocca socchiusa, le sue gote erano rosse così come le sue labbra.
Poi, senza preavviso, Seojun si fermò.
Jungkook aprì gli occhi contrariato e lo vide alzarsi per andare a cercare qualcosa nella sua scrivania.
«Non preoccuparti, adesso vedrai.» Disse, presentandogli un sacchetto di carta e sedendosi di nuovo al suo fianco.
«È per te ragazzino, voglio che lo indossi.»
Jungkook, confuso e stordito, guardò dentro e vide un ammasso di stoffa rosa.
Infilò una mano e ne estrasse delle autoreggenti nere, una minigonna rosa a pieghe e un crop top semitrasparente sempre rosa.
«M-ma signore-»
Come provò ad aprire bocca, la mano dell'uomo tornò dentro ai suoi pantaloni.
«Shhh coraggio ragazzo, non lo saprà nessuno.»
«A-ah d'accordo signore.»

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