Myrrhe Impériale

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Camminarono in silenzio fino all'ascensore, Taehyung davanti e Jungkook dietro a testa bassa: aveva gli occhi arrossati e si vergognava da morire a farsi vedere così debole. Taehyung gli aveva sussurrato mentre lo abbracciava che le lacrime andavano bene ed era giusto che si sfogasse, che tutti hanno i loro momenti difficili e di ricordarsi che tanto passano sempre.
«Domattina ti alzerai e penserai a quanto è stato sciocco farsi sopraffare dalla malinconia. Riuscirai a pensare più lucidamente e ad affrontare la giornata come niente fosse, ma se ora ti senti così va bene: è normale crollare ogni tanto.» Gli aveva mormorato dolcemente, mentre con la mano destra gli aveva accarezzato i capelli morbidi e profumati fino a che non si era calmato.
Benché fosse alto e muscoloso, gli era sembrato tanto piccolo e indifeso tra le sue braccia da fargli uscire un lato materno che non credeva nemmeno di possedere.
Jungkook non aveva detto una singola parola, ma la sua gestualità aveva abbondantemente parlato per lui.
Entrarono in ascensore e non appena le porte si chiusero Jungkook afferrò con delicatezza la mano di Taehyung e la intrecciò alla sua. Il fotografo si girò, le sue guance si erano fatte più rosate. Vide l'altro ancora con lo sguardo basso e gli sorrise, avvicinandosi per lasciargli un bacetto sulla gota liscia, che riuscì a scaldare il cuore a entrambi in quella scatola di grigio metallo.
Le porte si riaprirono e i due si lasciarono.
«Vieni: è di qua.»
Jungkook annuì.
Appena di fronte ad una uscita di emergenza, si stagliava un'enorme portone di metallo bianco taglia-fuoco che il fotografo spalancò, rivelando una pesante e polverosa tenda nera attraverso la quale passarono indisturbati.
Al di là si trovava una versione maggiorata dello studio di Taehyung: la stessa penombra, i soliti enormi rotoli di carta bianca appesi al soffitto a fungere da sfondo per gli scatti, scatole di lastre di plastica dei più svariati colori da mettere davanti ai flash, cavalletti e treppiedi di tutte le misure accatastati alla parete, un divanetto da sala d'aspetto, panchetti e sgabelli per fotografare da diverse altezze e un paio di tavolini dove stavano altre scatole con accessori e vestiti di vario tipo.
«Ho acceso il riscaldamento: fa freddo di solito qui nel seminterrato.» Lo avvisò Taehyung con un certo nervosismo nella voce.
«Vieni ti faccio vedere l'ambiente.»
«È come il tuo studio.»
«Magari! Qui c'è un bagno, un sacco di spazio in più e... questo tutto per te.» Così dicendo gli indicò un camerino di cambio.
«Niente separé.» Commentò Jungkook fintamente deluso.
«Be', visto che non ti piace allora lo richiudo a chiave.» Lentamente simulò di stare per chiuderlo.
«No no, scherzavo.» Rise Jungkook e poi continuò: «Non che mi serva a molto in realtà: devo essere nudo se ho capito bene.»
«Hai capito benissimo.»
«Non ti serviva questa scusa se volevi rivedermi nudo comunque.» Ridacchiò.
«Ma così posso riguardarti tutte le volte che voglio.» Disse serio, avvicinandosi al suo volto fino a fare toccare le loro fronti.
«Non è giusto che tu possa e io no.» Sbuffò divertito, mentre lo guardava negli occhi lussuriosi.
Poi le loro labbra si sfiorarono incerte, i loro respiri si mischiarono e finalmente, dopo quella che era loro sembrata un'eternità, si baciarono di nuovo.
Il petto di Taehyung ricominciò a scaldarsi e la testa si disconnetté dalla realtà, per entrare di nuovo in una dimensione di perfezione nella quale esistevano solamente loro due. Se avesse dovuto descrivere a parole quella sensazione di tumulto interiore e contemporaneamente di tranquillità che provava mentre stava con lui, non ci sarebbe mai riuscito: forse solo con una foto.
Le loro labbra si toccavano avidamente ancora e ancora, assaporando le une le altre con insaziabile voglia. Quando entrambi i loro respiri si fecero affannati, le mani di Jungkook cominciarono ad accarezzare pian piano tutto l'esile corpo del fotografo, focalizzandosi in paricolare si suoi bei glutei rotondi e sodi.
Le mani di Taehyung invece non indugiarono su inutili percorsi, ma si posarono a massaggiare vogliosamente il cavallo dei pantaloni di Jungkook.
I loro cuori battevano all'impazzata, avevano le guance rosse e gli occhi lucidi mentre proseguivano a baciarsi e a stuzzicarsi.
«Tae.» Mormorò il modello ansimando quando l'altro gli sbottonò i jeans e vi infilò dentro la mano.
«Fa caldo qua Jungkook.» Rispose iniziando a sbottonarsi la camicia proprio mentre le labbra del modello avevano preso di mira il suo collo.

Così finirono sul piccolo divano in velluto blu. Avevano trovato un gran bel modo per consolare Jungkook.



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