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Piemonte, Regno di Sardegna, 1769.


Dintorni di Rivombrosa.


Nella quiete mattutina del bosco riecheggiò d'un tratto, sempre più incalzante, il suono degli zoccoli di due cavalli spinti al galoppo.

Lungo la strada ombreggiata dalle fronde, un cavaliere era lanciato all'inseguimento. Giunto in prossimità di una svolta del sentiero, scattò rapido di lato, spronò l'animale e deviò tra gli alberi, ponendosi in testa al rivale. Oltrepassò un ponticello di pietra, sempre in vantaggio di una cinquantina di metri, ma dovette sterzare bruscamente non appena si trovò di fronte un campo di mais.

La seconda cavaliera, Taylor, arrivò al campo subito dopo; i ricci biondi erano scompigliati, il volto teso nello sforzo. Esitò, lanciò un'occhiata ai contadini che sistemavano il raccolto su un carro e infine si gettò tra le piante, sollevando le foglie di mais e le proteste degli uomini e delle donne accanto al carro.

Quando sbucò dal campo, Taylor si guardò alle spalle e vide sopraggiungere il cavaliere lanciato all'inseguimento, il viso nascosto dalla tesa di un cappello. Riprese il galoppo, in netto vantaggio. Arrestò la corsa solo quando entrò nel cortile delle scuderie del castello di Rivombrosa, la residenza dei conti Tomlinson dov'era cresciuta e dove lavorava come stalliera.

Qualche secondo dopo il cavaliere sconfitto la raggiunse.

"Mio caro Harry, ho vinto!" esclamò Taylor, mentre con un balzo smontava da cavallo.

Anche l'altro cavaliere scese da cavallo e si tolse il cappello. A quel punto i capelli castano scuro ricaddero sulle spalle, a incorniciare un viso maschile dolce e attraente, le guance arrossate per la corsa. Gli occhi verde smeraldo brillavano, divertiti.

"Hai barato" protestò Harry.

"No bello mio, ho vinto" ribatté Taylor. I lineamenti marcati erano addolciti da un'espressione infantile e nei suoi occhi si leggeva che non era la vittoria a renderla felice, ma la compagnia di Harry. Presero i cavalli per le redini e s'incamminarono verso le stalle.


Castello di Rivombrosa.


Dopo aver ricompensato Fedro, il suo cavallo, per la lunga corsa, Harry andò in camera. Non era lussuosa come le altre stanze del castello, ma era accogliente e la luce del sole si riverberava sulle pareti chiare. Davanti alla finestra c'era uno scrittoio, dove il ragazzo spesso si sedeva per affidare le proprie emozioni alle pagine del diario.

Harry era sul punto di cambiarsi, quando la contessa Charlotte Tomlinson entrò e gli si parò dinnanzi, stringendo nervosamente il ventaglio fra le dita. La bellezza pacata della donna, messa in risalto dai capelli chiari ben acconciati sotto il cappellino color crema, era irrigidita in una smorfia di scontento. Harry si affrettò a posare sulla sedia l'abito che aveva in mano.

"Che non succeda mai più, chiaro?" disse la contessa, gelida e severa come sempre. "Tu sei il cavaliere di compagnia di mia madre, e non un poco di buono che va a cavalcare con le stalliere per i boschi". Lo squadrò da capo a piedi e un'ombra di disapprovazione le attraversò gli occhi chiari. Harry indossava ancora i pantaloni usati per la cavalcata. "E per giunta vestito in questo modo, Dio che vergogna"

Harry avanzò di qualche passo "Contessa, io e Taylor..." cercò di spiegare.

"Silenzio!" lo interruppe Charlotte Tomlinson. "Non ti ho chiesto di rispondere. Il fatto che mia madre si sia intenerita e che ti abbia preso al castello non fa di te un gentiluomo, Harry" proseguì "Se non sai come si comporta un cavaliere di compagnia, forse sarebbe meglio che tornassi da dove sei venuto. Non mi resta molto difficile rispedirti in quella locanda"

L'amore impossibile || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora