XXXIX

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Castello di Rivombrosa.


Nei giorni successivi Harry si rinchiuse in sé stesso.

Restava seduto per ore a letto, o in poltrona davanti alla finestra, e si rifiutava di mangiare, di parlare, in altre parole, di sopravvivere.

La presenza di Briana Jungwirth al castello non migliorava certo le cose, ma non era la gelosia a inchiodare Harry alla poltrona. Era la colpa di negare all'uomo che amava la felicità di avere figli.

Harry non voleva imporgli un uomo sterile, Louis non se lo meritava.

Così facendo, a poco a poco, si allontanò da lui, che si sentiva sempre più impotente davanti a quei silenzi ostinati.

Una sera, Checca mandò a chiamare Louis. Il conte Malik era alla locanda da un giorno e una notte, con tanto alcol in corpo da non riuscire ad alzarsi. Louis lo portò con sé al castello, chiese disposizioni affinché gli preparassero una stanza e andò da Harry.

Le parole che gli aveva detto il dottor Horan continuavano a risuonargli nella testa: "Non sottovalutare la malinconia di Harry, non farlo. Anche per Selena, mia moglie, è cominciata così."

Il ragazzo era a letto, assopito. Nel sonno, era tornato sereno. Gli occhi erano segnati da profonde occhiaie e il viso era smagrito, ma l'espressione era distesa, senza quella cupezza che lo accompagnava di giorno.

Louis lo guardò a lungo con tenerezza, si sedette accanto a lui e gli sfiorò le guance con un bacio.

Fu allora che le labbra di Harry accennarono a un sorriso, quel sorriso che Louis amava, che gli aveva sempre dato la forza di combattere insieme a lui.

Continuò ad accarezzarlo, fino a quando Harry non si svegliò e la realtà di ciò che era successo gli piombò addosso.

Il sorriso scomparve.

Harry si voltò dall'altra parte e diede le spalle al conte. "Sto bene, Louis, sta' tranquillo" disse con lo sguardo fisso nel vuoto.

"Sorridimi ancora come prima" lo supplicò il conte "girati e sorridimi."

Ma Harry era apatico, perso nel proprio lutto. "Lasciami solo, ti prego."

"Io non ti lascio solo. Divideremo tutto, Harry, anche il tuo dolore."

"Lasciami solo" scandì lui, con un tono così duro che Louis non poté far altro che assecondarlo.


Torino, Palazzo Grimshaw.


L'esilio torinese di Charlotte Tomlinson aveva assunto presto i contorni di un incubo.

Suo marito Nick era messo alle strette dai creditori, ma non rinunciava per questo a uno stile di vita dissoluto.

Il marchese Grimshaw aveva trasformato il palazzo di famiglia in un luogo di malaffare, dove la sua amante, Nicola, si muoveva ormai come fosse la padrona di casa e dove si succedevano feste simili a orgie.

Quasi ogni sera, donne e uomini seminudi camminavano sui divani eleganti e i tappeti li ospitavano ubriachi, in pose oscene.

Charlotte trascorreva le notti a pregare, cercando di ignorare le risate, gli schiamazzi e le urla volgari che provenivano dal salone.

Una notte, però, la situazione degenerò.

La contessa Tomlinson era a letto, nella semioscurità della sua stanza, quando sentì alcuni colpi alla porta, seguiti dalle voci di due uomini ubriachi che chiedevano di entrare.

Charlotte si alzò di scatto e corse a chiudere a chiave. Poi si appiattì contro la parete, terrorizzata.

Solo quando li udì allontanarsi sospirò di sollievo.

Non contenti, i due arrivarono alla stanza di Doris. Trovarono la porta aperta, così barcollarono fino al letto, dove la marchesina dormiva tranquilla.

Le stavano togliendo la coperta di dosso, quando Doris si svegliò, si alzò a sedere e si trovò di fronte il viso alticcio e sudato dei due uomini.

"Mamma!" gridò la marchesina, con le lacrime agli occhi. "Chi siete? Che volete da me? Andate via!" singhiozzò. "Ho paura. Mamma, aiutami!"

Charlotte sentì le grida e si precipitò da lei.

Quando entrò, vide i due chini sul letto della figlia. "Chi siete? Chi vi ha fatto entrare?" gridò, mentre li scacciava dalla stanza. "Che cosa fate a mia figlia? Fuori!"

Corse da Doris e la strinse fra le sue braccia.

Richiamati dalle urla, alcuni dei partecipanti alla festa iniziarono ad accalcarsi nella camera.

Quando Nick si fece largo fra loro, Charlotte non si girò neppure a guardarlo. "Che Dio vi maledica, Nick Grimshaw" disse con la voce strozzata dall'odio. "Che siate maledetto."

Il marchese, poco a poco, recuperò un barlume di lucidità.

Aveva la camicia semiaperta, il viso paonazzo e i capelli scompigliati. "Che cosa diavolo succede?" chiese alla moglie, più infastidito che preoccupato. "Sta male? Vuoi che le chiami un dottore?"

"Date ordine per la carrozza" fu la risposta di Charlotte. "Lascerò questa casa con mia figlia, per sempre. Adesso."


Castello di Rivombrosa.


All'alba, la carrozza della contessa Tomlinson si fermò davanti all'ingresso del castello.

Quando Louis scese la scalinata, la contessa gli corse incontro. L'espressione indurita del conte si smorzò non appena lesse l'angoscia negli occhi della sorella. "Lottie. Che ci fai tu qui?"

"Lou..." Charlotte gli si avvicinò e nascose il viso contro la sua spalla.

"Che è successo?" Louis la guardò. La contessa aveva i capelli spettinati e gli occhi golfi, per il pianto e le notti insonni. Non era più la nobildonna altera e severa che aveva cacciato settimane prima. "Oh mio dio" mormorò il conte. "è stato lui? è stato lui a ridurti così? Rispondimi."

"Tu non lo sai, non puoi immaginare, Lou" disse Charlotte fra i singhiozzi. "Nick è un uomo orrendo. Io non ho più niente" gli posò una mano sul petto. "Ti scongiuro, Louis, riprendici a vivere qui a Rivombrosa, me e Doris."

"Ma certo, Lottie, certo" accolse la sorella con un abbraccio, poi guardò verso la carrozza, dove la marchesina sedeva spaventata, avvolta in una coperta.

"Doris..."

La bambina però non scese e si limitò a fissarlo con aria smarrita.

"Che cosa le è successo?" esclamò il conte. "Che cosa le ha fatto quel porco?"

"Niente, Louis, non è successo niente. Solo uno spavento."

Il conte si avvicinò alla carrozza. "Piccolina, vieni qui" la prese in braccio e si rivolse ai servi. "Portate su i bagagli di mia sorella."

Louis era in biblioteca con Charlotte, quando Taylor li interruppe per avvisare che mancava un cavallo nelle scuderie.

"E allora?" chiese Louis senza alzare gli occhi, senza accorgersi quindi dell'espressione affannata della stalliera.

"è Fedro che manca, signor conte." 

L'amore impossibile || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora