Tre

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Io lo so perché ho accettato di venire a Roma, e il sindacato non c'entra. Di sindacato ne avevo fatto fin troppo, in un'altra vita, e mi era costato il posto di lavoro. E la casa, la serenità e tante altre cose. Poi sono tornata alla mia prima idea di vita, l'insegnamento e lì, tra i ragazzi, avevo trovato una nuova ragione di vivere, lavorare. Lottare.
Ma mi trovo a Roma per un altro motivo: per fare quel viaggio dell'anima che avevo in mente da anni, in onore al viaggio fatto con mia nonna dopo la laurea. Era stato il suo regalo, per viaggiare assieme attraverso i luoghi della sua infanzia, in modo che il ricordo di lei potesse comprendere anche ciò che l'aveva resa quello che era, una donna coraggiosa e anticonformista. È morta moltissimi anni dopo quel viaggio, quando ero già più che adulta, ma da quel momento io mi sono sentita amputata della parte migliore di me.

Nelle settimane successive facciamo la spola con Roma diverse volte, gli incontri si susseguono e nonostante la presenza della Ministra Azzolina sia ormai costante, spesso è presente anche il Presidente Conte. Io ho fatto qualche altra figuraccia delle mie, ma pazienza, sono più  preoccupata dal fatto che non sembra stiamo andando nella stessa direzione.
In questo periodo viene anche presentato in pompa magna il piano Colao per la ripresa del paese.
Per quanto riguarda l'istruzione e la ricerca (ma non solo), non mi soddisfa perché privilegia la logica di mercato, rispetto a valori più alti che dovrebbero guidare, secondo me, soprattutto la formazione dei giovani, che saranno il nostro futuro.
Quel giorno arrivo all'incontro già estremamente nervosa, dopo aver passato parte della notte a studiare il piano e a seguire i resoconti dei lavori degli Stati Generali. Lucio se ne accorge e inizia a innervosirsi: "Che cos'hai? Perché sei già incazzata di prima mattina?"
"Lucio, ma l'hai letto il piano di Colao? E ti sta bene che stiano legalizzando la suddivisione in scuole e università di serie A e di serie B?"
"Eleonora, per favore, fai da brava. Guarda che oggi c'è anche Conte, non fare le tue solite scenate. Te lo sto chiedendo per favore".
"Ok, ok, stai tranquillo"

Durante quell'incontro il Presidente è in grande spolvero. Sarà l'adrenalina che gli scorre nelle vene perché gli Stati Generali da lui convocati con i maggiori esponenti non solo della politica ma anche dell'economia, stanno andando benissimo, ma è un fuoco di fila di battute, citazioni, e soprattutto di quelle espressioni (sorrisi, inarcate di sopracciglio, risate) che dovrebbero essere dichiarate illegali.
Sì Presidente, dovrebbe fare un DPCM contro se stesso.
È fatto assoluto divieto per qualunque essere maschile della Repubblica, di essere così terribilmente attraente, soprattutto la mattina.
Ok, ma questi pensieri da dove mi vengono? Che faccia avesse l'ho sempre saputo, perché oggi mi sta prendendo così?
Comunque per fortuna riesco ancora a ragionare con il cervello e non con la passera e quando inizio a sentir parlare di "formazione aziendale delle competenze" inspiro così rumorosamente che se ne accorgono tutti e inizio a ripassare con la Bic i disegnini del mio bloc notes fino quasi a bucare il foglio.
"Qualcosa non la convince professoressa? Dovrebbe aspettare il suo turno di parola, ma mi sembra ansiosa di esprimere il suo dissenso, perciò prego, ne ha facoltà", eccolo là, col suo sorriso... illegale.
Lucio mi tira la maglia da sotto il tavolo: "Stai zitta, abbozza, non dire niente!"
Io ovviamente parto per la tangente. Inizio con Gramsci e i suoi scritti sull'istruzione e dopo diversi minuti sento la mia voe concludere con:
"Non si può continuare a gestire la scuola con le logiche del mercato! La cultura non si può misurare a peso, la scuola non è un reparto ortofrutta! Il futuro dei ragazzi, e nostro alla fine, non può essere gestito con la logica delle offerte speciali del supemercato!".
Le ultime parole le ho pronunciate sbattendo più volte la mano sul tavolo, ritmicamente, ad accompagnare ogni concetto.
Scende il gelo sulla sala. La Ministra Azzolina mi guarda con gli occhi spalancati senza dire niente.
Il Presidente parla, fermo, senza alzare la voce ma allo stesso tempo è come se gli avessi sentito pronunciare Dracarys.
"Dottoressa, adesso basta. Io non le permetto di rivolgersi in questo modo a me, alle Istituzioni che io - e gli altri Ministri presenti - rappresentiamo. Ho sopportato fin troppo le sue intemperanze e le sue insolenze, adesso basta, lei non è più gradita a questo tavolo. La prego di uscire ADESSO".
Mi alzo, prendo le mie cose e esco, il tutto senza staccare uno attimo lo sguardo dal suo.
"D'altronde, professoressa, cosa avrebbe voluto, una sovietizzazione dell'istruzione?"
"E perché no, Presidente?"
Lucio mi segue di corsa.


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LUI

Questa donna mi farà diventare matto. È così insolente e... porca puttana ha ragione lei. A me questa riforma non piace per niente. Sono il primo a pensare che la scuola non è e non deve essere un prodotto commerciale, un'azienda da cui ricavare il massimo profitto.
Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Come se non l'avessi ripetuto milioni di volte ai miei studenti all'Università...
Mi fa infuriare perché mi smaschera, butta sul tavolo i miei pensieri, e mi mette nella condizione di dovermi giustificare, in primis a me stesso.
Ma le persone non sanno tutto quello che c'è dietro... col bilancio dello Stato in condizioni inimmaginabili, e nonostante i fondi europei, come faccio a estromettere i privati, le aziende, anche da questo importante settore? Non è possibile, non è davvero possibile.
Forse ho esagerato, però, non posso estrometterla dal tavolo, le sigle sindacali mi faranno nero. La convocherò domani e le parlerò, sperando che non mi faccia andare completamente fuori di testa.

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