Il giorno fatidico mi sveglio con la nausea per la tensione. Tra l'altro sono sola perché Giuseppe ha dormito nell'albergo a ventordici stelle dove si tengono gli incontri e dove alloggiano tutti gli altri Premier, mentre la cena ufficiale si terrà in un altro hotel, precisamente al Plaza, incidentalmente la struttura di proprietà del padre dell'ex compagna di mio marito.
Abbiamo avuto una brutta discussione per questo motivo, ovviamente lui non capiva dove stesse il problema, rassicurandomi sul fatto che, in ogni caso, l'organizzazione e gli accordi erano tutti delegati a funzionari di Palazzo Chigi e non se ne sarebbe assolutamente occupato personalmente, quindi non ci sarebbe stato modo perché lui e Olivia si parlassero. Ma in ogni caso gli ho chiesto di evitarmi l'incontro con la sua ex e di fare in modo che stasera lei non sia presente. Non so come farà, sono fatti suoi, ma il confronto con la valchiria non ho intenzione di subirlo.Sto per uscire per andare a scuola quando mi chiama.
"Allora, pronta?"
"Sì, sto già vomitando".
Ride.
"Cazzo ridi. Ma almeno stanno andando bene i lavori?"
"Sì, devo dire, sono molto soddisfatto".
"Bene".
"Come sei organizzata?"
"Quando esco da scuola vado a ritirare sia il mio abito che il tuo, li porto a casa e poi vado per i capelli. Ho appuntamento alle 14.30 e non so davvero a che ora uscirò da lì".
"Guarda però che alle sette dobbiamo essere pronti per uscire di nuovo eh".
"Eh, lo farò presente, che ti devo dire".
"Non essere nervosa".
"No, certo, che motivo avrei dopotutto?"
Ride. E due.
"Sei a tanto così dal divorzio, te ne rendi conto sì? Guarda, oltre che Amir ti porto via anche Niccolò!"
"Ok, hai vinto. Allora crogiolati nell'angoscia e ci vediamo più tardi".
"Usa il preservativo con Macron".
L'ultima cosa che sento mentre chiudo la chiamata è la sua risata, e anche io sorrido, ma l'ansia ce l'ho davvero.
E va beh, sono in ballo e devo ballare.
Dopo pochi minuti mi squilla di nuovo il cellulare. È il solerte responsabile della boutique Cartier che mi chiede a che ora potrebbero venire a consegnarmi i gioielli per la serata. Ci accordiamo per l'una, prima che io esca per andare a farmi restaurare.
Quando li portano rimango di nuovo a bocca aperta, ho paura anche solo a tenere in mano la scatola di velluto e mi affretto a mettere tutto in cassaforte, dopodiché esco.Il salone in cui ho preso l'appuntamento è un concentrato di lusso, nel quale sicuramente non avrò più modo di entrare nella mia vita.
L'appuntamento mi è stato fissato direttamente dall'atelier, deve essere politica della maison sincerarsi che una persona che va in giro con un loro abito non abbia l'aria di una scappata di casa, e li posso anche capire, in fin dei conti.
L'ambiente è lussuoso ma minimale, non opulento. Ovattato. Tutti parlano a voce bassa, quasi fossero in chiesa. Tutto molto Armani, in sintesi.
Appena entrata mi viene offerto di tutto: caffè, un centrifugato di frutta, la frutta tutta intera, io prendo solo un caffè, ovviamente.
Si avvicina a me Francesco, il ragazzo che mi lava la testa, mi mette non so quanti prodotti in posa e poi mi sciacqua. Poi è la volta di Federica, che aggiusta il taglio mentre Ruggero prepara il colore, che mi viene applicato nuovamente da Francesco, che poi lo risciacqua mettendomi altri dodici prodotti in testa. Alla fine viene Alina, una ragazza coreana piccolissima e bellissima che mi deve fare l'acconciatura.
Mi chiede se ho una foto del vestito e glielo faccio vedere, come anche gli orecchini che indosserò, io però le chiedo di cercare di fare un raccolto il più semplice possibile, non di quelle complesse architetture tenute su da chili di lacca che fanno sparire mezza Antartide. Lei sorride e segue le mie indicazioni.
"Ah, Alina. Questo ciuffo, vedi? Ecco, questo lascialo così com'è. Non raccoglierlo, non allisciarlo o arricciarlo in modo diverso, per favore".
"Va bene, nessun problema".
Finito con i capelli, finisco fra le mani di Kevin, un afroamericano di quasi due metri di altezza per più di cento chili di peso vestito da motociciclista, pelle e catene comprese, che temo si metta a cantare YMCA. Mi sorprende subito parlandomi d'arte, della mostra su Raffaello e di quella su Caravaggio. Anche lui mi chiede lumi sull'outfit e sulla tipologia di evento, poi mi chiede, in un perfetto italiano ma reso sexy dall'accento americano:
"Ma tu come vorresti apparire stasera? A chi vorresti assomigliare?"
Io ci penso un attimo e poi gli rispondo facendogli l'occhiolino: "A Dita Von Teese".
Kevin esplode in una risata baritonale e mi dice: "Ci penso io".
Ci mette un tempo secondo me esorbitante durante il quale mi parla della moglie italiana (mai fidarsi delle apparenze Eleonora!) e dei figli, e a un certo punto gira la poltroncina in modo che io non veda il risultato fino alla fine. Quando si ritiene soddisfatto della sua opera, mi rigira verso lo specchio con fare teatrale e dice: "Voilà, Dita Von Teese, ma versione first lady".
Mi guardo. Lo guardo. Mi guardo. Mi diventano gli occhi lucidi e lui se ne accorge subito: "Non osare rovinare il mio lavoro con le lacrime!" e si mette a ridere facendo ridere anche me.
"Sei un mostro Kevin, ma come cazzo hai fatto a trasformarmi così?"
"Io non ho tasformato proprio niente, cara mia, io ho fatto uscire la vera te", mi guarda dallo specchio con un espressione alla Miranda Priestly.
Della famosa pin up ha preso la pelle candida, l'eyeliner grafico e le labbra rosse, ma il tutto reso assolutamente di classe e in linea con l'evento.
"Ti bacerei se non temessi di rovinare il tuo lavoro".
"Allora torna domani a pagare il tuo debito".
Lo abbraccio, incurante delle norme anti contagio, e vado via di corsa, è davvero tardi.
Arrivo a casa tardissimo, Giuseppe è già quasi pronto.
"Ma dove cavolo...", si blocca quando mi vede. "Cazzo".
"Eh. C'è voluto un po', come puoi immaginare. Comunque devo solo farmi una doccia veloce, ci metto davvero un attimo. Prendi i gioielli dalla cassaforte nel frattempo".
Mi faccio la doccia gelida, perché il vapore mi rovinerebbe irrimediabilmente capelli e make up e tiro giù un numero di santi che sono troppi anche per il mio standard, mi asciugo e mi infilo l'abito. Mi sto allacciando i sandali quando Giuseppe entra in camera con gli orecchini. Me li porge e me li infilo, poi lui si avvicina per allacciarmi il collier col punto luce.
"Guardati".
"Mi vedo. Non sono io".
"Invece lo sei e dovresti essere sempre così, tutti i giorni".
"Non è esattamente l'outfit adatto per andare a scuola".
"Non è una questione di outfit, ma di sguardo, e di portamento. E quelli puoi indossarli tutti i giorni, anche con i tuoi jeans con l'orlo pestato".
Ci guardiamo a lungo attraverso lo specchio, poi Giuseppe mi bacia la spalla e mi accarezza il braccio.
"Dobbiamo andare".Scendiamo, dove ci attendono De Santis e Loi, oltre ovviamente gli altri nelle altre due macchine.
Entrambi rimangono a bocca aperta nel vedermi, nessuno si aspettava evidentemente un risultato del genere, se non dagli addetti agli effetti speciali di Hollywood. Anche Mauro è sinceramente ammirato e giurerei di aver visto De Santis indulgere qualche istante di troppo sul mio décolleté.
Tra l'altro sono entrambi in abito nero e papillon, come il Presidente, e devo dire che fanno tutti e due la loro porca figura.
"Mauro! Che ci fai qui?", gli chiedo una volta in macchina.
"Beh, siamo metà agenti della tua scorta e metà di quella del Presidente, per par condicio".
"Mi fa piacere che ci sia anche tu", gli dico toccandogli una spalla.
Giuseppe mi si avvicina e mi dice all'orecchio: "Ma toglimi una curiosità, sei senza reggiseno?"
"E secondo te?"
Lo vedo perplesso e gli spiego: "Guarda, la costruzione interna del bustier di questo abito è stata progettata dagli stessi ingegneri della Nasa che calcolano i percorsi di rientro degli Shuttle, quindi non ti devi preoccupare".
"Il Challenger però ha fatto una brutta fine".
"Sì, ma alla partenza, non al rientro, perciò stai tranquillo".
Ride, scuotendo la testa.
"Hai le mani gelide", mi dice.
"È normale quando sono nervosa".
"Stai. Tranquilla".
"Ok".Quando la macchina si ferma davanti all'ingresso del Plaza, noto subito l'assembramento di fotografi e giornalisti e mi giro a guardarlo con gli occhi sbarrati.
"Avevi detto che era un incontro riservato".
"Lo era, ma abbiamo deciso di rendere pubbliche le nostre conclusioni con una conferenza stampa domani mattina, perciò è venuta fuori la serata di stasera".
"Ti odio".
"Ti amo anch'io".
Mauro apre la mia portiera e De Santis quella del Presidente. Come scendiamo dall'auto i flash impazziscono e tutti i fotografi iniziano a scattare forsennatamente e a chiamare Giuseppe perché si giri nella loro direzione.
"Presidente!"
"Presidente!"
"Presidente, Eleonora, toglietevi un attimo la mascherina!"
Eseguiamo docilmente gli ordini, lui sfoderando il suo solito sorriso, io più con l'aria di un condannato al patibolo.
"Presidente, abbracci sua moglie!"
Si avvicina, cingendomi la vita con un braccio. Con i tacchi che mi ritrovo lo sovrasto di un paio di centimetri e mi viene da ridere.
"Brava Eleonora, sorridi, sorridi!"
"Dagli un bacio!"
"Sì, Presidente, baci sua moglie!"
Lui mi guarda con uno sguardo birichino, io con lo sguardo da "non pensarci nemmeno", ma una frazione di secondo dopo le sue labbra si poggiano sulle mie, per il tripudio dei fotografi, mentre io vorrei sprofondare."Grazie, grazie a tutti", saluta cordialmente mentre entriamo al Plaza dove tutti gli ospiti sono già arrivati, De Santis davanti a noi e Loi dietro.
Come avanziamo verso i potenti del mondo gli sussurro all'orecchio: "Comunque non porto neanche le mutande".
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Angolo autrice
Agevolo foto dell'espressione di Giuseppe quando Eleonora gli rivela di non indossare la biancheria intima: