Ventisei

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Questa discussione mi ha stremato e sì, anche affamato, un po'.
Ci alziamo dal letto per mangiare qualcosa. In cucina fa tutto lui, io metto giusto i piatti e le posate, è bello vederlo ai fornelli, mi fa sentire a casa, al posto giusto. Mentre ceniamo siamo silenziosi, ma è un silenzio calmo, sereno, non carico di risvolti negativi come spesso capita.

"Ti ricordi di Giovanni, domani mattina?", mi chiede a un certo punto.
"Certo", mi dice. "A che ora è stato convocato?"
"Alle 11, perché era l'unico orario in cui eravamo liberi sia io che Alfonso. Praticamente ci sono due opportunità per lui: una alla Presidenza del Consiglio, nella mia segreteria, si è liberato un posto dove però si tratterebbe di seguire prevalentemente i lavori della commissione bilancio e di fare da collegamento tra me e il ministro Gualtieri, l'altra alla Giustizia a stretto contatto con Bonafede per lavorare alla riforma del processo civile, che è fermo agli anni '40.
Tra l'altro, dato che questo argomento come puoi immaginare interessa moltissimo anche me, ci metterò lo zampino anche io molto spesso".
"Sono entrambi incarichi molto interessanti, tu quale pensi sia il migliore?"
"Mah, è difficile da dire. L'incarico alla giustizia è strettamente collegato anche al suo argomento di tesi di laurea, quindi se da grande volesse fare il giurista, questo sarebbe il trampolino di lancio ideale. D'altro canto invece con me potrebbe imparare tante cose e soprattutto avere una conoscenza a trecentosessanta gradi del meccanismo governativo, e anche questo è un bagaglio non da poco".
"E direi. Ma per voi, dico per te e Bonafede, fa differenza? Chi ne ha più bisogno?"
"Entrambi, avremmo bisogno del doppio dei collaboratori per fare tutto ciò che ci siamo prefissati. A questo proposito...", si ferma e mi guarda. "Hai deciso cosa farai da grande? Allora, vieni a lavorare con me?"
"Con te? Ma sei matto? E poi a fare che?"
"Potresti dare il tuo contributo in tantissimi campi. Dall'istruzione, ovviamente, visto poi quanto ti è simpatica Lucia (mi strizza l'occhio), all'innovazione tecnologica, visti i tuoi vent'anni nell'informatica, ai rapporti con il sindacato, visti i tuoi quindici anni di attività sindacale, alle pari opportunità. Avresti l'imbarazzo della scelta".
"Io ti ringrazio per la fiducia che riponi in me, ma non penso proprio che sia il caso. Oltrettutto se venisse fuori che io e te stiamo insieme, figurati, sarei quella che è lì perché si scopa il Presidente, e immagina anche ogni critica che verrebbe fatta a te, all'operato del governo... No, no".
"Mh, non mi convinci. Tornerò alla carica, fattene una ragione. E dovrà pur venire fuori che stiamo insieme, fatti una ragione anche di questo".
Mi bacia e risponde al telefono che ha iniziato a squillare. Mentre si sposta in un'altra stanza per parlare, io metto via tutto e faccio i piatti.
Finita la telefonata mi dice: "Io purtroppo devo lavorare, ho - questa volta davvero - da leggere gli emendamenti dell'opposizione".
"E lo puoi fare di là?", chiedo io indicando la camera da letto. "O hai bisogno di stare seduto a una scrivania, pc o altro?"
"No, no, è tutto qui", mi dice prendendo in mano due faldoni alti almeno 50 centimetri l'uno.
"Alla faccia della digitalizzazione", dico io.
"Eh, capito che intendo? Comunque sì, posso lavorare anche di là".
"Ok, grazie. Così mi posso mettere vicino a te e non ti disturbo, tranquillo".
Lui trascina i faldoni fino alla sua parte di letto, io vado in bagno a farmi una doccia e prepararmi per la notte. Quando torno in camera, con la mia magliettona a righe, mi guarda e mi dice: "Cavolo, sembri una ragazzina. Davvero".
"Grazie". Mi sdraio vicino a lui, ma senza toccarlo, che deve lavorare. Mi accoccolo lì, a fianco a lui.
"Non leggi?", mi chiede.
"Ho dimenticato il libro a casa di Giulia".
"Cosa stai leggendo?"
"Chirù, di Michela Murgia".
"Quella donna mi fa paura", mi dice continuando a sottolineare i suoi documenti.
"Fai bene ad averne", gli dico. "Se dovesse decidere di fare il Presidente del Consiglio tu ti troveresti ad andar per stracci".
Si mette a ridere e riprende a leggere.
Lo guardo lavorare, mordicchiarsi il labbro quando è concentrato, o l'indice quando si sta innervosendo. Lo guardo, e piano piano mi addormento.

*****

LUI

Sento il suo respiro regolare a fianco a me, dorme. Sembra una bambina quando dorme. Chissà com'era da bambina e se è stata una bambina felice, nonostante tutto. Oggi non ho voluto affrontare anche questo argomento, sarebbe stato veramente troppo, ma ci arriveremo.
Averla qui accanto mi da una sensazione di pace che non provavo da tempo. Nonostante la situazione che stiamo vivendo, le decisioni che sto prendendo e ho preso, e quelle da prendere in futuro, con lei a fianco mi sento in pace. È lei il mio porto sicuro.
Con questi pensieri poggio a terra i documenti, spengo la luce e mi addormento.

A un certo punto della notte, però, allungo il braccio nel letto e non la trovo accanto a me e questo mancato contatto mi fa svegliare di soprassalto. Mi alzo e vado in salone, dove la vedo in piedi davanti alla finestra aperta, a guardare il fondo della notte.
Mi avvicino, le cingo la vita da dietro e mi accorgo che sta piangendo, sommessamente.
"Ehi", le dico.
"Sto dando l'addio a una persona".
La stringo ancora di più a me.
"Preferisci rimanere sola?"
"No, resta con me".
E restiamo alla finestra, allacciati, ad aspettare le prime luci dell'alba.

And I believe in reinvention
Do you believe that life is holding the clue
Take away all the lonely moments
Give me full communication with you
Your smile shine a little light, alright
Don't hide, shine a little light
Give up on your pride

Syntax - Pride

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