Quattro

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Fuori da Palazzo Chigi Lucio mi raggiunge e mi strattona per farmi girare.
"Ma sei completamente rincoglionita? Ma che cazzo hai in quella cazzo di testa? Ma ha ragione Conte, ma come ti permetti di rivolgerti a lui in quel modo? Ma non ti rendo conto che così rischi di mandare a puttane il lavoro di tutti?"
"Lucio, mollami, non mi toccare! Io sarò stata anche cafona, ma porca troia in quanti siamo lì dentro, trenta? E nessuno che abbia fatto un'obiezione su questo ennesimo piano per smantellare l'istruzione pubblica! Ma sai che c'è? Che sono io a non voler più avere a che fare
con nessuno di voi, guarda, meglio così proprio."
Lucio gira i tacchi e ritorna all'incontro, lasciandomi da sola, nel mezzo di piazza Colonna.

Mi metto a camminare e dopo qualche minuto mi siedo in un tavolino all'aperto di quel bar dove avevo fatto colazione la mattina dopo il primo incontro. Sento una profonda spossatezza, ho bisogno di calmarmi un attimo e di riflettere. Passo un paio d'ore lì, faccio qualche telefonata
per cercare il conforto di cui ho bisogno, nel giorno della Grande Cazzata.
È quasi il tramonto quando mi alzo per andare via. È quell'ora particolare in cui il cielo inizia a cambiare colore, assumendo toni che in genere si vedono solo nei quadri della Galleria Borghese. Ed è in quel momento, in quel preciso momento, che guardando il cielo di Roma io sento distintamente - ne sento proprio il suono - qualcosa che si spezza dentro di me. Emetto un lamento e mi ripiego su me stessa, finendo a terra, raggomitolata a cercare di trattenere quel dolore che ha iniziato a defluire all'esterno, come una marea nera.

*****

LUI

Sono ancora incazzato dalla scenata di quella Serra di qualche ora fa. Abbiamo continuato la discussione, ma io non ero lucido, avevo la testa altrove, pensavo ancora a quanto mi aveva fatto incazzare. Non è da me trascendere in questo modo, non è da me.
Non so se tutti gli altri al tavolo se ne siano accorti, ma ho recepito le obiezioni della professoressa e ho iniziato una manovra di, come dire, distrazione di massa, cercando di distogliere l'attenzione di alcune parte sociali, in modo da modificare certe norme in un senso più vicino al mio sentire, all'essenza stessa dell'istituzione che chiamiamo scuola.
Voglio prendermi un caffè come Dio comanda, perciò, dato che la riunione è finita, esco verso il bar dove vado sempre, accompagnato dalla mia scorta. Non riesco a liberarmene per un secondo.
Come mi avvicino al bar, mancano davvero pochi passi, vedo una donna accasciarsi con un lamento. Scatto in avanti per soccorrerla, penso si sia sentita male, ma come arrivo vicino mi rendo conto che si tratta della professoressa Serra! Ed è scossa da singhiozzi così forti, in un pianto così sconvolgente, che non so davvero cosa fare, come comportarmi.

"Eleonora", le dico. "Eleonora, mi sente? Cosa è successo?"
Non mi risponde, dubito che mi abbia neanche sentito. Le do il mio fazzoletto, mi guarda per prenderlo ma è come se non mi riconoscesse.
Continua a piangere, seduta in terra. A vederla così sconvolta, sconfitta, è così... piccola.
Non è certo piccola d'età, né come corporatura, né tantomeno come temperamento, ma adesso ho solo voglia di prenderla tra le braccia e consolarla, cullarla, rassicurarla che qualunque cosa sia successo, tutto andrà bene.
Nel frattempo si sono avvicinati i miei due agenti.

"Andate a prendere la macchina", dico.
Dopo qualche minuto, arrivano. Io ho detto "la macchina", ma ovviamente le auto sono due, è la procedura, non si scappa.
Riusciamo a farla alzare e salire in macchina, senza che abbia diminuito l'intensità dei suoi singhiozzi né che abbia dato segno in qualche modo di accorgersi della nostra presenza.


Eleonora, che hai il nome di un'indomita regina della tua terra, che cosa ti ha straziato in questo modo?

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