LUI
Giulia mi ha dato appuntamento in un bar vicino al suo ufficio alle cinque del pomeriggio, appena finisce al lavoro. Mi ha anche detto che avrebbe fatto riservare la saletta interna in modo che la mia presenza non desse eccessivamente nell'occhio. È una ragazza intelligente, capisce al volo tante cose.
Quando le ho detto che avevo necessità di parlarle, lei mi ha risposto "Sì, anche io ho bisogno di dirti alcune cose".
Arriviamo praticamente assieme e ci sediamo. Il locale è comunque quasi vuoto perché è uno di quelli che vive sulle pause pranzo degli uffici, e a quest'ora quindi l'affluenza è scarsa. Meglio per noi.
"La proprietaria mi conosce molto bene e terrà la bocca chiusa", esordisce, "e in ogni caso le ho detto di non farsi film mentali che dobbiamo discutere di lavoro, così adesso penserà che sono anche io un pezzo grosso dell'INPS", ride.
"Non so se ti convenga in realtà", le dico.
"Hai perfettamente ragione", risponde lei. Poi mi guarda negli occhi e va dritta al sodo: "Chi inizia?"
Tiro un sospiro profondissimo appoggiandomi allo schienale della poltroncina e dico: "Comincio io"."Eleonora ti avrà raccontato come ci siamo conosciuti e che i nostri primi incontri sono stati più degli scontri in realtà".
Mi guarda con aria interrogativa: "Sì, mi aveva raccontato i vostri scontri, ma ovviamente non sapevo niente di voi".
"Oh, beh, all'epoca non c'era niente e pure io in quel momento non avrei speso parole gentili nei suoi confronti, ma allo stesso tempo stava già iniziando a scavarmi dentro, anche se non me ne rendevo conto. Ma ti ha detto cosa è successo l'ultimo giorno?"
"Che l'hai cacciata dal tavolo delle contrattazioni".
"E quello che è successo dopo?"
"No, non mi ha detto niente".Le racconto allora tutta quella notte, iniziata da quando l'avevo raccolta in lacrime fuori dal bar di via del Corso fino alla mattina dopo, quando l'avevo lasciata al suo albergo.
Le racconto di una notte fatta sì di lacrime, ma anche di baci che sapevano di infinito, di anime che si aprivano l'una all'altra, e di come io, allo spuntare dell'alba fossi già irrimediabilmente e perdutamente innamorato di Eleonora.Adesso è lei che sospira e si butta all'indietro sulla sedia.
"Mi sembra di rivedere l'inizio della storia con Esse".
"Esse?"
"Stefano. Il suo grande amore. Non te ne ha parlato?"
"Me ne ha accennato, ma non mi ha detto il nome. Ho capito che è tuttora un capitolo così doloroso da non riuscire a toccarlo".
"Lo è. La situazione, fatte salve le debite differenze, è molto simile alla vostra attuale. Stefano era una persona incredibile. Se credessi ai poteri paranormali direi che fosse in grado di leggere dentro le persone, sicuramente era dotato di una sensibilità non comune che lo portava e entrare in un'empatia profondissima con chi si trovava di fronte, soprattutto con quelle che lui sceglieva. E aveva scelto Eleonora.
Erano davvero anime complementari, non uguali ma appunto si completavano a vicenda. La loro era un'unione fortissima, intellettuale, soprattutto, sentirli parlare di qualunque cosa era uno spettacolo, non perché infarcissero i loro discorsi di citazioni o nozioni, ma per la profondità
delle loro considerazioni. Poi avevano lo stesso tipo di ironia, con loro due potevi ridere per ore fino a pregarli di smettere perché ti stavi per sentire male. In più Stefano era veramente bellissimo e Eleonora non si capacitava che un ragazzo così bello potesse stare con lei, non solo, ma trovarla attraente".
"Ecco, questa cosa negli anni non l'ha persa", dico sconsolato.
"Tu pensa", prosegue Giulia, "che dato che parliamo di quindici anni fa, allora Eleonora era davvero una gran figa e lei non se ne rendeva conto. Non fraintendermi, è bellissima anche adesso, ma quando sei nel pieno dei tuoi trent'anni è un'altra cosa, per tutti noi eh. Ma lei no, era convinta di essere brutta e di essere grassa, quando aveva un corpo, pieno sì, ma che faceva girare la testa agli uomini e anche a qualche donna, te lo dico io".
"Non stento a crederlo", le dico sorridendo. "Ma cosa è successo esattamente a Stefano? Come è morto, perché è morto, giusto?"
"Eh... Stefano era comunque una persona complessa, con tante luci ma anche molte ombre. Era un giovane tormentato, con i suoi fantasmi che faceva fatica a scacciare e che spesso si impadronivano di lui. Era un amante della pesca subacquea, molto esperto, la praticava sempre in sicurezza. Ma un giorno, un giorno in cui le condizioni meteo erano pessime, e lui stesso non stava bene, aveva problemi alle orecchie da diverse settimane, ha deciso lo stesso di uscire per una battuta di pesca. Da solo. Non si va mai da soli, mai. E lui lo sapeva perfettamente, lo ripeteva milioni di volte ai ragazzi a cui faceva da istruttore di immersione, in estate. Il suo corpo non è stato mai ritrovato".
Mi guarda negli occhi, con uno sguardo fisso e fermo che mi entra fin dentro il cuore.
Io mi passo le mani nei capelli e poi me le porto entrambe davanti alla bocca, incapace di parlare. Giulia riprende il racconto."Tra gli amici è girato il pensiero, molto sottovoce, che Stefano fosse andato volontariamente a pescare quel giorno, sapendo che il rischio di incidente fosse molto alto, ma come a lasciare al caso la scelta fra vivere o morire. E probabilmente l'ha pensato anche Eleonora, anche se non me l'ha mai detto con chiarezza".
"Tu cosa pensi?"
"Mah, io non penso che si sia suicidato, al contrario. Stefano spesso si comportava come se lui non potesse essere toccato dalla morte. Ma non con un atteggiamento spavaldo o di sfida, non ti so spiegare. È come se lui vivesse su un altro piano dell'esistenza rispetto a tutti gli altri".
"Dopo l'incidente, ho assistito alla cosa più spaventosa a cui una persona possa assistere", continua Giulia, "ho visto una persona - Eleonora nella fattispecie - muoversi, lavorare, ma guardandola negli occhi non c'era traccia di vita. Erano occhi spenti, Giuseppe, ma spenti davvero. È stato terrificante, perché se uno non la conosceva, o la conosceva superficialmente, vedeva una persona normale, io invece vedevo un simulacro, uno zombie nel vero senso della parola".
Giulia si asciuga gli occhi con le mani. Le porgo il mio fazzoletto e poi le accarezzo il braccio, in segno di comprensione e vicinanza.
"Nella vostra storia io rivedo la loro e tremo, tremo perché se le cose dovessero andare male, ma senza colpe eh, non voglio dire che tu ncessariamente debba comportarti male o chissà che, però questa volta temo che Eleonora crolli irrimediabilmente. E tremo perché con la vita che fai, il ruolo che ricopri, temo che questa possibilità sia molto alta".
Si ferma e beve un sorso dal bicchiere d'acqua che ha davanti, intonso, da un'ora.
Ora è il mio turno di parlare.